notaio informatico Riccardo Ricciardi
RASSEGNA DELLE RECENTI
NOVITÀ NORMATIVE DI INTERESSE NOTARILE
Secondo
semestre 2010
RETTIFICA
DI ERRORI MATERIALI NEGLI ATTI NOTARILI
ATTO NOTARILE INFORMATICO –
DISPOSIZIONI GENERALI E COMUNI
ATTO NOTARILE INFORMATICO –
ATTO PUBBLICO
ATTO NOTARILE INFORMATICO –
AUTENTICAZIONE DI FIRME DIGITALI ED ELETTRONICHE
ATTO NOTARILE INFORMATICO –
COPIE AUTENTICHE
ATTO NOTARILE INFORMATICO -
ALLEGATI
ATTO NOTARILE INFORMATICO -
CONSERVAZIONE DEGLI ATTI, REGISTRI E REPERTORI INFORMATICI.
TERMINE PER L’ANNOTAZIONE
DEGLI ATTI NOTARILI NEL REPERTORIO
PUBBLICITÀ IMMOBILIARE E
CATASTO. CONFORMITÀ CATASTALE E PLANIMETRIE
PUBBLICITÀ IMMOBILIARE E
CATASTO. TERMINI DEI PROCEDIMENTI
PUBBLICITÀ IMMOBILIARE E
CATASTO. TRASMISSIONE TELEMATICA DEL TITOLO
CANCELLAZIONE SEMPLIFICATA
DELLE IPOTECHE
SURROGAZIONE NEI CONTRATTI DI
FINANZIAMENTO. PORTABILITÀ
ESTINZIONE ANTICIPATA DEI
MUTUI IMMOBILIARI
CONTRATTI BANCARI – RECESSO
DAI CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO
CONTRATTI BANCARI – CONTENUTO
DEI CONTRATTI E NULLITÀ “DI PROTEZIONE”
CONTRATTI BANCARI – MODIFICA
UNILATERALE DELLE CONDIZIONI CONTRATTUALI
CONTRATTI BANCARI – SPESE
ADDEBITABILI AL CLIENTE
CONTRATTI BANCARI –
COMUNICAZIONI ALLA CLIENTELA
CONTRATTI BANCARI – CREDITO
AL CONSUMO
DIRITTO INTERNAZIONALE
PRIVATO – LEGGE APPLICABILE AL DIVORZIO E ALLA SEPARAZIONE PERSONALE
CERTIFICAZIONE ENERGETICA
DEGLI EDIFICI – NORMATIVA REGIONALE
CONFERIMENTI IN NATURA E DI
CREDITI SENZA RELAZIONE DI STIMA
SOCIETÀ OPERANTI NEL SETTORE
FINANZIARIO
PARTECIPAZIONE A SOCIETÀ DA
PARTE DEI COMUNI
SOCIETÀ DI GESTIONE DEI
SERVIZI PUBBLICI LOCALI
PROCEDURE CONCORSUALI –
FINANZIAMENTI PER RISTRUTTURAZIONI E RISANAMENTI
VALORE DEI DIRITTI DI
USUFRUTTO, USO E ABITAZIONE
INTERESSI DI MORA - RITARDI
DI PAGAMENTO NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI
SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI
INIZIO ATTIVITÀ – SCIA
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA
UTILITÀ – OCCUPAZIONE ACQUISITIVA
REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DEL
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
ANNULLAMENTO DI
AGGIUDICAZIONE DI APPALTI PUBBLICI
NUOVO CODICE DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO
AGEVOLAZIONI PER LA PICCOLA
PROPRIETÀ CONTADINA
TRATTAMENTO TRIBUTARIO DEL LEASING
IMMOBILIARE
COMUNICAZIONI TELEMATICHE DI
OPERAZIONI IVA
COMUNICAZIONI TELEMATICHE A
FINI DI CONTRASTO ALLE FRODI FISCALI INTERNAZIONALI
REGISTRAZIONE DEI CONTRATTI
DI LOCAZIONE, AFFITTO E COMODATO DI IMMOBILI
DETRAZIONE FISCALE PER
RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA
PREZZI DI TRASFERIMENTO DA
PARTE DELLE IMPRESE MULTINAZIONALI
COMUNICAZIONI ALL’ANAGRAFE
TRIBUTARIA
CONTRIBUTO UNIFICATO PER LE
SPESE DI GIUSTIZIA
REGISTRO DELLE IMPRESE –
DIRITTI DI SEGRETERIA
DETASSAZIONE DEI PREMI DI
PRODUTTIVITÀ
SOPPRESSIONE DEL RUOLO DEGLI
AGENTI D'AFFARI IN MEDIAZIONE
FINANZIAMENTI DEGLI
INVESTIMENTI DEGLI ENTI LOCALI
SPORTELLO UNICO DELLE ATTIVITÀ
PRODUTTIVE
CONSULENZA IN MATERIA DI
INVESTIMENTI
CAPITALE SOCIALE DELLE SOCIETÀ
DI RISCOSSIONE
COOPERATIVE A MUTUALITÀ PREVALENTE
CODICE DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
PROCEDIMENTO SEMPLIFICATO DI
AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA
TRAPIANTO DI ORGANI DA
DONATORE VIVENTE
ATTI RELATIVI AGLI ALLOGGI DI
SERVIZIO PER IL PERSONALE MILITARE
DISMISSIONE DI IMMOBILI
MILITARI
MEDIAZIONE A FINI DI
CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE – ISCRIZIONE NEL REGISTRO
SILENZIO ASSENSO NEI
PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI
AMMINISTRAZIONE DEI BENI
CONFISCATI
FONDO DI SOLIDARIETÀ – MUTUI
PER L’ACQUISTO DELLA PRIMA CASA
RICONOSCIMENTO E VERIFICA DEI
DOCUMENTI INFORMATICI
MODELLO UNICO INFORMATICO
CATASTALE
TARIFFA PROFESSIONALE DEI
COMMERCIALISTI
ABROGAZIONI E SEMPLIFICAZIONE
NORMATIVA
LIBRI FONDIARI IN
FRIULI-VENEZIA GIULIA
PROVVEDIMENTI COMUNITARI IN
MATERIA DI IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO..
DIRETTIVA COMUNITARIA IN
MATERIA DI OICVM (ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO IN VALORI MOBILIARI)
DIRETTIVA COMUNITARIA IN
MATERIA DI PARITÀ DI TRATTAMENTO
LEGISLAZIONE REGIONALE –
SECONDO SEMESTRE 2010
Con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110 (in G.U. n. 166 del 19.7.2010), in vigore dal 3 agosto 2010, in attuazione della delega contenuta nell’art. 65 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è stata prevista la possibilità di rettifica di errori di trascrizioni di dati degli atti notarili, e più precisamente l’attribuzione al notaio della facoltà di provvedere, mediante propria certificazione, a rettificare errori od omissioni materiali di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto, fatti salvi i diritti dei terzi.
A tal fine è introdotto nella legge notarile il seguente nuovo art. 59-bis:
“Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”.
A) – RAFFRONTO CON ULTERIORI FATTISPECIE DI RETTIFICA DI ATTI GIURIDICI.
La fattispecie di rettifica in oggetto si aggiunge alle altre, già esistenti nell’ordinamento italiano, tutte configurate come rimedio contro gli “errori materiali” degli atti giuridici di più svariata natura. Il relativo esame appare della più grande importanza, in assenza di una compiuta disciplina della rettifica degli atti notarili, al fine di colmare – mediante il procedimento analogico – le lacune della nuova disciplina, e più in generale al fine dell’interpretazione sistematica e assiologica.
Cfr., in particolare:
- l’art. 287 c.p.c. (correzione di omissioni o in errori materiali o di calcolo delle sentenze e delle ordinanze non revocabili nel processo civile);
- l’art. 130 c.p.p. (correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti nel processo penale, che siano “inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto”;
- l’art. 86 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (correzione di omissioni o errori materiali dei provvedimenti del giudice amministrativo);
- l’art. 32 della Deliberazione della Corte Costituzionale del 7 ottobre 2008, in G.U. n. 261 del 7 novembre 2008 (correzione delle omissioni o degli errori materiali delle sentenze e delle ordinanze della Corte Costituzionale);
- l’art. 17 del d.p.r. 14 marzo 1986, n. 217 (correzione del testo di atti normativi, aventi ad oggetto “errori od omissioni che non influiscono sul contenuto normativo dei testi pubblicati”);
- l’art. 36-bis, comma 2, lett. a) e b), del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (correzione da parte dell’Amministrazione finanziaria degli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nelle dichiarazioni dei redditi, “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”);
- l’art. 1430 c.c. (rettifica dell’errore di calcolo nel contratto, quando non si concreti in errore sulla quantità e non sia stato determinante del consenso);
- l’art. 17, ultimo comma, della legge 27 febbraio 1985, n. 52 (rettifiche eseguibili d’ufficio dal conservatore dei registri immobiliari aventi ad oggetto “errori materiali dell'ufficio”);
- gli artt. 2841, comma 2, e 2886, comma 2, c.c. (rettifiche che possono essere ordinate dal giudice, da eseguirsi a margine dell’iscrizione ipotecaria, in relazione ad omissioni o inesattezze di alcune delle indicazioni nel titolo, in base al quale è presa l'iscrizione, o nella nota di iscrizione, che non inducano incertezza sulla persona del creditore o del debitore o sull'ammontare del credito ovvero sulla persona del proprietario del bene gravato, o sull'identità dei singoli beni gravati).
Tutti i suddetti casi presuppongono che la rettifica, o “correzione”, rimedi ad un “errore materiale”, o ad una “omissione” caratterizzata anch’essa dall’attributo della “materialità”, nel senso che verrà infra chiarito.
Non è invece “rettifica” nel senso proprio del termine la “modificazione” del contenuto del contratto, disciplinata dagli artt. 1432, 1450 e 1467, comma 3, c.c., la quale opera sul contenuto precettivo del regolamento negoziale, e postula una nuova dichiarazione di volontà, caratterizzata come tale da discrezionalità.
Tutte le altre fattispecie sopra elencate sono invece ipotesi di vera e propria rettifica, intendendosi per tale una “dichiarazione di scienza”, scomponibile in due momenti logici: nel primo si accerta l’esistenza di un errore materiale (nel senso infra specificato), e nel secondo si provvede alla relativa “correzione” (ossia all’enunciazione del reale contenuto del dato (oggettivo) cui l’enunciazione erronea si riferiva).
La natura “inequivoca” dell’errore materiale, e l’assenza di discrezionalità in capo al soggetto chiamato a “correggerlo”, giustificano alcune “costanti” nella disciplina della rettifica nei casi suesposti, in alcuni casi sancìte espressamente dalla legge, in altri comunque pacificamente affermate dalla giurisprudenza: l’esclusione della rettifica in presenza di nullità, o quando la stessa darebbe luogo a “modificazione essenziale dell’atto” (art. 130, comma 1, c.p.p.); la previsione di modalità “semplificate” di decisione, come la decisione in camera di consiglio con ordinanza o decreto (art. 288, commi 1 e 2, c.p.c.; art. 130, comma 2, c.p.p.; art. 86, commi 1 e 2, d. lgs. n. 104/2010; art. 32 Del. Corte Cost. del 7 ottobre 2008); la semplificazione sotto il profilo formale, che conduce ad operare la rettifica o correzione mediante “annotazione” a margine dell’atto originale, anziché mediante la rinnovazione dell’atto (art. 288, comma 2, secondo periodo, c.p.c.; art. 130, comma 2, c.p.p.; art. 86, comma 3, d. lgs. n. 104/2010; art. 32 Del. Corte Cost. del 7 ottobre 2008; art. 2886, comma 2, c.c.); in alcuni casi, la possibilità di rettifica “d’ufficio”, senza cioè che siano necessari la richiesta o il consenso delle parti interessate o degli organi competenti (art. 130, comma 1, c.p.p.; art. 32 Del. Corte Cost. del 7 ottobre 2008; art. 17 del d.p.r. n. 217/1986; art. 17, ult. comma, legge n. 52/1985).
In ogni caso, oggetto della rettifica non è la “ricostruzione” del processo mentale e psicologico che ha condotto alla formazione dell’atto errato, bensì l’individuazione e correzione dell’errore su basi rigorosamente oggettive e documentali (cfr. ad es. l’art. 36-bis, comma 2, del d.p.r. n. 600/1973). Ciò spiega perché la rettifica possa essere effettuata anche da persona fisica diversa dall’autore dell’atto, ad esempio dal giudice dell’impugnazione anziché da quello che ha commesso effettivamente l’errore (art. 130, comma 1, secondo periodo, c.p.p.).
B) – CONCETTO, NATURA GIURIDICA E DISCIPLINA DELLA RETTIFICA CERTIFICATA DAL NOTAIO.
È possibile, a questo punto, soffermarsi specificamente sul nuovo istituto disciplinato dall’art. 59-bis l. not., che attribuisce al notaio la “facoltà” di rettificare l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata, “mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”.
La legge parla, innanzitutto, di “certificazione” del notaio: si tratta di una dichiarazione di scienza del pubblico ufficiale, che attesta determinati fatti di cui lo stesso ha acquisito, direttamente o indirettamente, conoscenza (v. su tale concetto STOPPANI, Certificazione, in Enc. dir., VI, p. 793 ss.; GALLO, Copia, estratto, certificato notarile, in Novissimo Dig. It., IV, Torino 1959, p. 845 ss.; TENTOLINI, Certificati ed attestati, in Novissimo Dig. It., III, p. 129 ss..; BOERO, Copia, estratto e certificato notarile, in Digesto discipline privatistiche - Sez. civ., IV, Torino 1989, p. 406 ss.; GIRINO, Copia, estratto, certificato notarile, in Novissimo Dig. It., Appendice, II, Torino 1980, p. 815 ss.).
Come già detto, detta dichiarazione di scienza è scomponibile logicamente in due segmenti: la ricognizione dell’errore materiale, sulla base di supporti documentali affidabili riferiti a “dati preesistenti” alla formazione dell’atto; e la vera e propria “rettifica”, o “correzione”, consistente nell’enunciazione del dato corretto in luogo di quello errato.
È invece del tutto estraneo ad entrambe le fasi qualsiasi apporto discrezionale del notaio, da ritenersi pertanto rigorosamente escluso: la rettifica è mera dichiarazione di scienza e mai dichiarazione di volontà; essa è pertanto preclusa ogni qualvolta sussistano elementi di incertezza riguardo all’esistenza o al contenuto dell’errore, ed in particolare ogni qualvolta sia necessaria un’attività di interpretazione del contenuto dell’atto, e di indagine nel processo psicologico degli autori dello stesso.
Stante quanto sopra, è importante che dalla certificazione di rettifica emerga il processo logico che ha condotto all’individuazione dell’errore: la rettifica è cioè necessariamente integrata da una parte narrativa, nella quale il notaio deve dar conto di quali sono i “dati preesistenti” dalla cui oggettiva ricognizione emerge l’errore o l’omissione “materiale” (eventualmente allegando documentazione a supporto, ove si tratti di documenti diversi dall’atto rettificato).
La forma giuridica dell’atto di rettifica è – per espressa previsione di legge – quella dell’atto pubblico, che come già detto contiene unicamente una “certificazione del notaio”, anziché una dichiarazione delle parti interessate. Trovano, pertanto, applicazione, le norme della legge notarile relative all’atto pubblico, con l’eccezione di quelle che presuppongono la comparizione in atto delle parti, e sono ad essa funzionali. Profilo, questo, che ha già costituito oggetto di studio in relazione ai c.d. atti notarili senza parti (verbali di constatazione, verbali di assemblea non contestuali, ecc.).
Nessun dubbio, pertanto, sulla necessità di annotazione a repertorio dell’atto pubblico di rettifica, e sulla necessità di sua conservazione nella raccolta degli atti del notaio.
Non sussiste alcun problema alla formazione dell’atto di rettifica in esame quale parte di un più complesso atto notarile, che contenga ad esempio anche la successiva alienazione del medesimo oggetto a cui si riferisce la rettifica: in questo caso è peraltro opportuno, a livello di tecnica redazionale, tenere distinta la parte della rettifica (imputabile esclusivamente al notaio) dall’ulteriore atto (negozio) imputabile alle parti, o inserendola in una parte autonoma dell’atto, ovvero comunque esplicitando che la paternità della “certificazione” è riconducibile esclusivamente al notaio.
C) – L’ATTO GIURIDICO OGGETTO DI RETTIFICA.
L’atto da rettificare deve essere, a norma dell’art. 59-bis l. not., un atto pubblico o una scrittura privata autenticata.
La legge non contempla la “scrittura privata non autenticata”. Non perché non vi siano, astrattamente, ipotesi in cui l’esigenza di rettifica di tali documenti non possa presentarsi (es., atto costitutivo o modificativo di associazione non riconosciuta), ma evidentemente per una precisa scelta focalizzata sul “documento autentico”, quale veicolo per la pubblicità legale di determinati atti giuridici, che richiede un ulteriore documento autentico ai fini della correzione della pubblicità già eseguita. In questi casi, era necessaria una norma giuridica che autorizzasse il notaio, pubblico ufficiale terzo rispetto all’atto da rettificare, ad operare la correzione con effetti giuridici nella sfera giuridica delle parti. Ciò non esclude la possibilità di rettifica di scritture private non autenticate, ma in tali casi ad essa possono provvedere senz’altro le parti interessate senza necessità di interpellare il notaio. Fermo restando che, ove richiesto, il notaio potrà ricevere un atto di rettifica di una scrittura privata non autenticata, nel qual caso però si applicano le regole ordinarie (la rettifica, cioè, deve essere consentita dalle parti interessate). Così, ad esempio, non può costituire oggetto di rettifica a norma dell’art. 59-bis l. not. il testamento olografo, il quale – ancorché pubblicato – conserva sempre la propria natura di scrittura privata non autenticata: è addirittura dubbio che una rettifica in senso tecnico del medesimo testamento olografo sia possibile, stante la pluralità indeterminata di possibili interessati (si tratterà, piuttosto, di interpretazione o accertamento della relativa volontà testamentaria, che potrà eventualmente costituire oggetto di apposito negozio giuridico). Può invece costituire oggetto della rettifica in esame il testamento pubblico, il quale rientra a tutti gli effetti nella categoria dell’“atto pubblico” (non distinguendo tra legge tra atti tra vivi e atti di ultima volontà).
Quanto alla scrittura privata autenticata, il notaio come è noto non ha giuridicamente la paternità del relativo contenuto (a differenza dell’atto pubblico), pur quando le parti gli abbiano conferito l’incarico professionale per la relativa redazione, oltre che per l’autenticazione. D’altra parte, l’art. 59-bis non distingue tra le scritture private redatte dal notaio, e quelle che invece siano state redatte dalle parti o da terzi. Giusta quanto si dirà a proposito dei provvedimenti giudiziari (che possono essere corretti anche dal giudice dell’impugnazione, ed in genere da una persona fisica diversa dall’estensore del provvedimento, ancorché facente parte del medesimo ufficio giudiziario), ciò si giustifica in quanto la rettifica non tende alla ricostruzione del procedimento psicologico dell’autore, ma unicamente alla ricostruzione su basi oggettive e documentali dell’effettivo contenuto dell’atto. Pertanto, il notaio potrà senz’altro rettificare la scrittura privata autenticata, da chiunque la stessa sia stata redatta, prescindendo altresì dalla circostanza che la stessa sia o meno conservata nella raccolta degli atti del notaio autenticante.
Così, ad esempio, può costituire oggetto della rettifica in esame la procura (sia che la stessa sia redatta per atto pubblico che per scrittura privata autenticata, e a prescindere dal fatto che la stessa sia o meno rilasciata in originale): la procura potrà essere rettificata a norma dell’art. 59-bis l. not. anche mediante certificazione del notaio richiesto di ricevere o autenticare l’atto da compiersi da parte del procuratore, previa ricognizione dell’esistenza dell’errore materiale – di solito riguardante dati anagrafici o catastali – nei limiti rigorosi di cui infra; e quindi, tendenzialmente, ove dallo stesso tenore della procura emerga inequivocabilmente la “materialità” dell’errore.
Quanto sopra consente di fare un passo ulteriore, con particolar riferimento all’atto pubblico. L’art. 59-bis l. not. non circoscrive espressamente l’àmbito di applicazione della relativa disciplina all’atto pubblico notarile; in senso lato, sono atti pubblici anche quelli ricevuti in forma pubblica amministrativa (da ufficiali roganti, segretari comunali, consoli, ecc.), ma anche gli atti amministrativi, ed i provvedimenti giudiziari. È stato da taluno escluso che, in particolare, i provvedimenti del giudice possano essere rettificati con il consenso delle parti interessate, in quanto esiste sul punto un rimedio specifico (cfr. in particolare l’art. 287 c.p.c.), la cui applicazione per di più è prevista anche nel caso in cui le parti concordano nel chiedere la stessa correzione (art. 288, comma 1, c.p.c.). Nonostante ciò, la soluzione lascia insoddisfatti: le parti possono, anche in presenza di sentenza passata in giudicato, successivamente disporre del relativo rapporto giuridico; anche la transazione sulla lite risolta con il giudicato è possibile, nel caso in cui entrambe le parti abbiano notizia della sentenza (art. 1974 c.c.). A maggior ragione, trattandosi di correggere un mero errore materiale, che emerga inequivocabilmente dal contesto del provvedimento, non si vede per quale ragione le parti dovrebbero necessariamente scegliere la via processuale, con spreco di attività processuale ed inconvenienti in termini di tempi e costi, in luogo di una diretta ricognizione e correzione dell’errore, anche ai fini della pubblicità legale. Ciò che sembra rilevare, in altri termini, non è tanto la natura dell’atto da rettificare, quanto piuttosto la disponibilità o meno del rapporto giuridico di cui trattasi (arg. ex art. 1966, comma 2, c.c.; art. 806, comma 1, c.p.c.; art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 28/2010). Trattandosi di rapporti giuridici disponibili, nulla osta ad una rettifica consensuale delle parti; e, conseguentemente, nulla sembra ostare ad una rettifica “certificata” dal notaio a norma dell’art. 59-bis l. not.: si pensi a sentenze di trasferimento ex art. 2932 c.c., o di divisione giudiziale, o a decreti di trasferimento ex art. 586 c.p.c., nei quali per mero errore materiale, agevolmente ed inequivocabilmente definibile come tale sulla base del contesto del provvedimento, siano stati indicati erroneamente un dato catastale, o un dato anagrafico. In tutti questi casi, il provvedimento giudiziario, una volta emesso, si distacca dalla sfera del suo autore per divenire un “titolo” della circolazione giuridica, fonte di un rapporto giuridico privatistico e soggetto a pubblicità legale: riguardo alla quale ultima, i titoli di provenienza giudiziale sono per legge equiparati a quelli autentici negoziali (cfr., tra le altre disposizioni, l’art. 2657 c.c.). Deve pertanto ritenersi che il notaio possa senz’altro, in tali casi, formare un atto pubblico di rettifica ex art. 59-bis l. not., nei limiti rigorosi in cui quest’ultima norma può trovare applicazione (v. infra), e che costituirà tra l’altro “titolo” per la pubblicità legale in rettifica.
In ogni caso, deve ritenersi che la rettifica notarile sia esperibile con riferimento agli atti pubblici negoziali formati nel corso di un procedimento civile (con riferimento ai quali è quantomeno dubbia l’applicabilità del rimedio ex art. 287 c.p.c.): verbali che documentano accordi dei coniugi in sede di separazione consensuale o divorzio; accordi con cui si approva un progetto divisionale; accordi documentati in un verbale di conciliazione giudiziale. Si tratta, in tutti questi casi, di “atti pubblici”, rientranti nella lettera e nella ratio dell’art. 59-bis l. not.
Più difficile la risposta riguardo agli atti o provvedimenti amministrativi. Se appare plausibile l’esclusione della rettifica notarile per quegli atti o provvedimenti (es., certificati di destinazione urbanistica, sentenze amministrative, ecc.), che investono situazioni giuridiche pubblicistiche, estranee alla sfera del diritto privato a cui deve ritenersi circoscritta – per ovvie ragioni sistematiche – l’operatività dell’art. 59-bis l. not., qualche dubbio sorge invece per i provvedimenti che incidono su situazioni giuridiche di diritto privato e costituiscono titolo per la pubblicità legale (es., decreti di espropriazione per pubblica utilità), per i quali sembrano prevalere le ragioni a favore della rettificabilità con atto di notaio.
Un discorso particolare va svolto riguardo alla rettifica dell’atto di concessione di ipoteca. L’art. 2841, comma 2, c.c., disciplina l’ordine giudiziale di rettifica in presenza di errori od inesattezze, non solo nella nota di iscrizione ma anche nel titolo, che non inducano incertezza sui soggetti, l’oggetto o il rapporto giuridico. Da ciò una parte della dottrina ha desunto che in questo caso non sarebbe operabile una rettifica consentita dalle parti. In contrario, può osservarsi che – a condizione che la rettifica venga rigorosamente delimitata agli “errori ed omissioni materiali”, di cui all’oggetto – i terzi non possono comunque subire alcun pregiudizio; e d’altra parte l’art. 2886, comma 2, c.c., fa espresso riferimento al consenso delle parti. L’art. 59-bis l. not. fornisce ora un argomento in più nel senso dell’interpretazione più liberale, prevedendo espressamente che la rettifica notarile costituisca titolo per la pubblicità legale, e facendo salvi comunque i diritti dei terzi: non avrebbe senso discriminare sul punto tra diverse pubblicità legali, ammettendo la rettifica notarile per gli atti soggetti a trascrizione e non per quelli soggetti ad iscrizione.
D) – LA LEGITTIMAZIONE AD ESEGUIRE LA RETTIFICA.
Le superiori riflessioni forniscono già una risposta alla domanda, se sia possibile per il notaio rettificare un atto pubblico ricevuto da altro notaio.
Come dimostrano sia la fattispecie della rettifica della scrittura privata autenticata (che può essere redatta anche dalle parti o da terzi, e quindi non dal notaio), testualmente prevista dall’art. 59-bis l. not., sia l’altro esempio testuale della correzione della sentenza effettuata dal giudice dell’impugnazione, non è necessario che l’autore della rettifica coincida con l’autore dell’atto da rettificare, non essendo in questione la ricostruzione di un processo psicologico ma unicamente quello del significato effettivo di un dato testuale.
Ciò significa che nulla osta alla rettifica di un atto pubblico rogato da altro notaio; e che è anche possibile, come già detto, la rettifica notarile di un atto redatto in forma pubblica amministrativa, o anche di un provvedimento giudiziario.
E) – “FACOLTÀ” DEL NOTAIO DI ESEGUIRE LA RETTIFICA. RAPPORTO CON LA RETTIFICA CONSENTITA DALLE PARTI.
L’art. 59-bis l. not. attribuisce al notaio la “facoltà” di rettificare, come sopra evidenziato. Si tratta di chiarire se si tratti di “facoltà” in senso proprio, nel senso che il notaio possa rifiutare di formare l’atto di rettifica in oggetto quando richiesto dagli interessati; ovvero se all’espressione possa attribuirsi un diverso significato.
In realtà, non sembra potersi configurare, per assenza di ragioni sostanziali che depongano in tal senso, una così grave deroga al principio sancìto dall’art. 27 l. not., che obbliga il notaio a prestare il suo ministero ogni qualvolta richiesto. Ciò in quanto, come si è già detto e come si dimostrerà ulteriormente, la rettifica in oggetto non richiede alcun apporto discrezionale del pubblico ufficiale, ma al contrario è ammessa solo in presenza di un errore inequivocabile e certo, la cui individuazione e “correzione” non presenti alcun tasso di problematicità. Non si vede, pertanto, perché il notaio dovrebbe poter rifiutare di formare l’atto di rettifica in oggetto, una volta che le parti (a norma dell’art. 28, ult. comma, l. not.) abbiano depositato preventivamente presso di lui l’importo degli onorari e delle spese necessari.
Il termine “facoltà” deve quindi ritenersi impiegato dall’art. 59-bis l. not. con un diverso significato: il notaio può “scegliere” la modalità di rettifica in questione, in luogo della modalità alternativa (rettifica consentita dalle parti interessate), che rimane pur sempre praticabile. Questa seconda modalità potrebbe essere preferita, vuoi per evitare qualsivoglia contestazione in futuro, vuoi per accompagnare alla rettifica un’interpretazione autentica del precedente atto, che solo le parti possono effettuare, o ancora per qualsiasi altra ragione.
F) – NECESSITÀ O MENO DI INCARICO DELLE PARTI INTERESSATE AD EFFETTUARE LA RETTIFICA.
Si è posto il problema se il notaio possa formare l’atto di rettifica ex art. 59-bis l. not. anche in assenza di un qualsiasi incarico ad opera delle parti interessate; potrebbe, infatti, sostenersi che solo in presenza di un tale incarico possa essere formato un atto del genere, formato e sottoscritto solamente dal notaio. Sembra, in realtà, che un tale incarico non sia necessario, per diverse ragioni.
Innanzitutto, la lettera della legge non richiede in alcun modo un previo incarico delle parti del precedente atto da rettificare, o comunque dei titolari del rapporto giuridico da esso derivato, e una tale interpretazione restrittiva appare arbitraria ed ingiustificata.
In secondo luogo, l’esigenza pratica di redigere un atto senza parti, come quello in esame, nasce proprio dalla opportunità di apprestare uno strumento agile, finalizzato ad operare la rettifica di errori materiali imputabili a parti non più reperibili, o defunte, o per varie ragioni (liti in corso, e simili) indisponibili a prestare il proprio consenso o a fornire qualsiasi incarico. Proprio su tali basi si è tentato, in passato, di legittimare l’atto di rettifica “unilaterale”, formato cioè da una sola delle parti del precedente atto. Sarebbe, d’altra parte, del tutto arbitrario ipotizzare la necessità di incarico da parte di taluno soltanto dei soggetti che hanno partecipato all’atto da rettificare (si pensi all’ipotesi di incarico fornito da uno solo degli acquirenti, in caso di parte complessa, per indisponibilità o assenza degli altri acquirenti e dell’alienante, o per altre ragioni). Nulla, in definitiva, autorizza una tale interpretazione praeter legem. La veste giuridica di “parte” si acquisisce unicamente con la partecipazione all’atto notarile e con la relativa sottoscrizione; quando la legge autorizza la formazione dell’atto senza parti, non vi è alcun ruolo che le stesse debbano rivestire.
In terzo luogo, il notaio può avere un interesse proprio (in quanto, ad esempio, autore dell’atto da rettificare) a rimediare all’errore (che potrebbe essere da esso stesso commesso), senza dover essere costretto a dipendere, per tale correzione, da un incarico delle parti. Il notaio deve, d’altronde, assicurare – a norma dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985 – la conformità delle risultanze catastali con quelle dei registri immobiliari ai fini del ricevimento o autenticazione di un successivo atto di disposizione: per fare ciò, egli potrebbe dover procedere anche in assenza di incarico delle parti del precedente atto (trattandosi di obbligo pubblicistico che non può dipendere dalla decisione delle parti interessate).
In definitiva, il notaio può formare l’atto di rettifica in oggetto di propria iniziativa, senza necessità di alcuna richiesta da parte di uno o più interessati, e senza che gli stessi possano opporsi: riflesso, questo, della più generale funzione pubblica del notaio, anche in omaggio al principio di verità, che richiede l’affidabilità e veridicità delle risultanze dei pubblici registri.
G) – PRESUPPOSTI DELLA RETTIFICA: “ERRORI OD OMISSIONI MATERIALI RELATIVI A DATI PREESISTENTI ALLA REDAZIONE DELL’ATTO”.
La rettifica in oggetto è destinata a rimediare ad “errori od omissioni materiali”. Si tratta di ben definire – anche con l’ausilio della tradizione interpretativa formatasi sulle altre norme, sopra elencate, che contemplano tale concetto – il concetto di “materialità” dell’errore od omissione.
Secondo l’interpretazione unanime di dottrina e giurisprudenza, si ha “materialità” dell’errore ogni qualvolta lo stesso riguardi il documento in sé considerato, a prescindere dal processo psicologico di formazione della volontà, che ha condotto alla sua formazione (Cass. 30 agosto 2004, n. 17392; Cass. 20 settembre 1999, n. 10129; Cass. 14 marzo 1985, n. 1971; Cass. 4 maggio 1982, n. 2777), e senza che sia necessaria un’attività di “interpretazione” (Cass. 23 novembre 1999, n. 12998; Cons. Stato 23 dicembre 1998, n. 1907; Comm. trib. centr. 30 maggio 1996, n. 2860; Cass. 14 febbraio 1984, n. 1117). Errore materiale è il lapsus calami, la svista, che non incide sul contenuto sostanziale dell’atto giuridico, e che come tale non ne impedisce l’idoneità dichiarativa, in applicazione del più generale principio falsa demonstratio non nocet. La giurisprudenza parla sul punto di “inesattezza rilevabile ictu oculi”, o “mera svista o disattenzione nella redazione”, che è “emendabile de plano utilizzando i criteri che emergono” dall’atto stesso da rettificare, quando si tratti di “non corrispondenza tra la materiale esteriorizzazione del pensiero ed i concetti cui tale esteriorizzazione è seguita”, o di “mero difetto di corrispondenza tra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica”, che come tale non incide sul “contenuto concettuale e sostanziale” dell’atto; o in altri termini di “fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione” (Cons. Stato 7 novembre 2007, n. 5760; Cons. Stato 8 maggio 2007, n. 2172; Cons. Stato 20 dicembre 2005, n. 7200; Cons. Stato 1 ottobre 2004, n. 6371; Cons. Stato 27 dicembre 2004, n. 8218; Cass. 11 aprile 2002, n. 5196; Cass. 7 giugno 2000, n. 7712; Cass. 20 settembre 1999, n. 10129; Corte Conti 12 aprile 1991, n. 709/A).
Errore materiale è, pertanto, quello che non ingenera incertezza sul reale contenuto dell’atto (Cass. 30 agosto 2004, n. 17392; Cass. 24 maggio 2003, n. 8242; Cass. 20 settembre 1999, n. 10129; Cass. 14 febbraio 1997, n. 1386; Cass. 25 novembre 1996, n. 10448; Cass. 28 ottobre 1995, n. 11259; Cass. 22 aprile 1992, n. 4843; Cons. Stato 27 ottobre 1988, n. 826; Cass. 9 novembre 1984, n. 5662). Non incidendo su tale contenuto sostanziale, l’errore materiale per definizione non determina invalidità dell’atto (arg. ex artt. 2665 e 2841 c.c.; art. 130, comma 1, c.p.p.), ma semplice “irregolarità” dello stesso, rimediabile appunto, “senza difficoltà” (Cass. 18 febbraio 1981, n. 977), con la rettifica.
Questo profilo della “materialità” emerge chiaramente dal testo dell’art. 65 della legge delega n. 69/2009 (“errori od omissioni materiali di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto”). Occorre, perciò, distinguere tra “errore nella dichiarazione” (divergenza tra volontà e dichiarazione) commesso dalla parte (in conseguenza di errore ostativo ex art. 1433 c.c.), ed “errore nella documentazione”, commesso dal notaio nell’atto pubblico ex art. 47 l. not. e dalle parti nella scirttura privata autenticata, e consistente nella erronea “trascrizione” di dati preesistenti nel documento: solo quest’ultimo errore rientra nell’àmbito di applicazione della disciplina in esame.
Il riferimento a “dati preesistenti” esclude inequivocabilmente la “rettifica” della dichiarazione di volontà delle parti, che è un dato formatosi contestualmente all’atto da rettificare: cosicché, ad esempio, non potrebbe operarsi questa rettifica sostenendosi che era “comune intenzione delle parti” trasferire una cantina pertinenziale in luogo di un’altra.
D’altra parte, l’errore nella documentazione è “materiale”, e quindi rettificabile a norma dell’art. 59-bis, sono nella misura in cui sia “inequivoco”, e non dia luogo ad incertezza alcuna, né implichi la necessità di ricostruire mediante un’attività di interpretazione il reale contenuto della dichiarazione.
Vi è pertanto un ulteriore elemento necessario per poter parlare di errore materiale rettificabile: i “dati preesistenti” da ricostruire devono emergere o dallo stesso documento autentico da rettificare, o da altro documento o pubblico registro preesistente, avente la medesima efficacia probatoria. In questo senso è pacifica la giurisprudenza formatasi in tema di rettifica di provvedimenti giudiziari: il reale contenuto dichiarativo dell’atto deve emergere dal contesto del medesimo documento (Cass. 24 maggio 2003, n. 8242; Cons. Stato 28 agosto 2001, n. 4546; Cons. Stato 19 marzo 2001, n. 1623; Cons. Stato 2 marzo 2001, n. 1170; Cass. 25 gennaio 2000, n. 816; Cass. 14 febbraio 1997, n. 1386; Cass. 25 novembre 1996, n. 10448; Cass. 8 giugno 1995, n. 6494; Cass. 1 marzo 1994, n. 2030; Cons. Stato 28 ottobre 1993, n. 950; Cass. 22 aprile 1992, n. 4843). Solo in alcuni casi è stato consentito il riferimento ai precedenti atti processuali, con esclusione comunque di altri documenti (Cass. pen. 28 ottobre 2003; Cass. 16 maggio 2003, n. 7706; Cass. 21 dicembre 1999, n. 14367). È invece precluso l’accertamento mediante documenti preesistenti non fidefacienti, in quanto sarebbe insito in esso un elemento di incertezza incompatibile con l’istituto in esame.
L’errore materiale può consistere, per espressa disposizione di legge, in una “omissione” (errore negativo): omissione, o lacuna, che evidentemente per costituire oggetto di rettifica non deve aver dato luogo a nullità; d’altra parte, deve trattarsi di un “dato” che ancorché non espresso a causa dell’omissione, sia comunque ricavabile inequivocabilmente dall’atto da rettificare, e non rappresentare invece una “assenza di decisione” su quel punto (Cass. 24 aprile 2008, n. 10765; Cass. 23 giugno 2005, n. 13513; Cass. 14 dicembre 1993, n. 12297). Detto in altri termini, la lacuna è “materiale” solo quando nell’atto sia ravvisabile con assoluta certezza il positivo atto di volizione del suo autore; cosicché l’integrazione dell’atto consista in un’operazione “meramente meccanica”. Per sua intrinseca natura, l’omissione tollera meno dell’errore positivo l’integrazione mediante il riscontro di documenti diversi rispetto all’atto da rettificare (si tratta, comunque, di aspetto da verificarsi caso per caso, tenendo sempre presente la regola per cui non deve in alcun modo farsi luogo ad attività di “interpretazione”).
H) – CASISTICA DI POSSIBILI ERRORI OD OMISSIONI SUSCETTIBILI DI RETTIFICA.
Si espongono, di seguito, alcuni esempi paradigmatici, tra i più frequenti, di errori od omissioni materiali soggetti a rettifica.
1) – Dati catastali.
L’esempio più frequente di errore materiale relativo a dati preesistenti è quello relativo ai dati catastali: in particolare, erronea indicazione del foglio o del numero di mappa, ovvero omissione degli stessi. In questi casi, la correzione (mediante indicazione del numero esatto in luogo di quello errato) o l’integrazione (mediante indicazione del numero omesso) in tanto è possibile, in quanto dal complesso degli altri elementi risultanti dall’atto (descrizione, ubicazione, consistenza, confini, planimetrie allegate, riferimento ad atti di provenienza) sia possibile, senza possibilità di equivoco o incertezza, affermare che era a quel particolare dato catastale che le parti si erano effettivamente riferite. Tenendo conto anche del costante orientamento giurisprudenziale che assegna prevalenza ai dati “fattuali” (confini, consistenza, ecc.), rispetto a quelli catastali.
La rettifica non è invece tale – trattandosi piuttosto di stipulare un atto “dispositivo” di diversa natura (permuta, vendita, ecc.), ovvero di agire per l’annullamento a causa di errore vizio od ostativo, o di operare una “rettifica” negoziale ex art. 1432 c.c., con l’intervento delle parti – quando tutti gli elementi suindicati siano errati.
Quando, invece, alcuni elementi siano esatti ed alcuni siano errati (ad es., i confini sono errati come i dati catastali; sono invece indicati esattamente ubicazione e consistenza), sorge un’incertezza, a fronte della quale non è possibile stipulare una rettifica (ma semmai – con l’ausilio delle regole legali di interpretazione – un negozio di accertamento o una transazione, ovvero richiedere un accertamento giudiziale).
A maggior ragione, la rettifica in esame non può riguardare la qualità di pertinenza di un immobile rispetto ad un altro (qualifica non accertabile a mezzo di documenti fidefacienti preesistenti all’atto, ma dipendente dall’effettiva destinazione del bene).
Da rilevare, ulteriormente, come la rettifica dei dati catastali sia possibile anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 19 del d.l. n. 78/2010 (cfr. in tal senso PETRELLI, Conformità catastale e pubblicità immobiliare. L’art 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, Giuffré, Milano, 2010, p. 56, nota 14).
2) – Dati anagrafici delle parti.
Altro caso frequente di errore materiale è quello che riguarda i dati anagrafici delle parti (in particolare, cognome, nome, luogo e data di nascita), i quali hanno un’indubbia rilevanza, come i dati catastali, ai fini della pubblicità immobiliare: come a più riprese affermato dalla giurisprudenza, nel sistema di pubblicità a base personale, l’erronea indicazione di uno di tali dati può, a seconda dei casi, determinare incertezza ai sensi degli artt. 2665 e 2841 c.c. e, quindi, invalidità della pubblicità (anche quando l’atto trascritto o iscritto è perfettamente valido). Da ciò, a seconda dei casi, la necessità od opportunità della rettifica.
Si ha errore “materiale”, suscettibile di rettifica, quando dal contesto dell’atto emerga inequivocabilmente che si tratta di quella determinata persona e non di un’altra (ad es., raffrontando la data di nascita errata con il codice fiscale, con i riferimenti all’atto di provenienza richiamato espressamente, in cui la persona è esattamente indicata, con riferimento al matrimonio con altra persona indicato nel medesimo atto, che consente anch’esso di risalire con certezza all’effettivo soggetto di cui trattasi). In assenza, invece, di elementi univoci nel senso suindicato, non è possibile stipulare la rettifica in oggetto, ma semmai un negozio di accertamento, con l’intervento di tutte le parti interessate.
3) – Regime patrimoniale delle parti.
Potrebbe essere errata la dichiarazione del regime patrimoniale, effettuata a norma dell’art. 2659, comma 1, c.c. La rettifica di una tale dichiarazione di scienza – perché tale è la sua natura – è certamente effettuabile, potendosi riscontrare con certezza, mediante l’esame dell’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio, l’effettivo regime opponibile ai terzi.
Laddove una tale certezza non sia ottenibile, l’errore non può essere invece rettificato con la procedura in esame. Si pensi alla dichiarazione di acquistare con denaro personale, ex art. 179, lett. f), c.c., che richiede complessi accertamenti, basati su elementi di diversa natura e non soltanto su documenti fidefacienti, e comunque non eseguibili con garanzia di assoluta certezza, come è richiesto dalla ratio dell’art. 59-bis l. not.
Parimenti, ed ovviamente, non può essere oggetto di rettifica la dichiarazione di volontà consistente nella destinazione del bene acquistato all’attività professionale o imprenditoriale dell’acquirente (perché trattasi di dichiarazione di volontà e non di scienza, e non si riferisce a dati preesistenti all’atto).
4) – Dichiarazioni fiscali.
Possono costituire oggetto di rettifica le dichiarazioni di scienza, riferite a dati preesistenti all’atto: ad esempio, la circostanza di essere residente nel Comune in cui si acquista la prima casa, o di svolgervi la propria attività lavorativa, o ancora la circostanza di essere iscritto come imprenditore agricolo professionale nell’apposita gestione dell’Inps. Nella misura in cui la legge non richieda una dichiarazione di parte da formalizzarsi in atto, l’errore può essere rettificato anche dal notaio a norma dell’art. 59-bis l. not.
Non può essere, invece, rettificata una dichiarazione di volontà (ad esempio l’impegno a trasferire la residenza nel Comune), né può essere “rettificato” con lo strumento in esame un atto che non contenga una richiesta di agevolazioni fiscali, prescritta dalla legge (essendo in tal caso richiesta una dichiarazione della parte interessata).
5) – Dichiarazioni urbanistiche.
Si è già visto che lo strumento della rettifica in esame non può essere utilizzato al fine di rimediare ad errori od omissioni riguardanti dati, o dichiarazioni, richiesti a pena di nullità. Così, ad esempio, non è possibile inserire con una semplice “rettifica” il riferimento alle planimetrie catastali, richiesto dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985.
Parimenti, non è possibile rimediare con lo strumento della rettifica ad omesse od inesatte dichiarazioni riguardanti il regime urbanistico dei fabbricati, ovvero l’assenza di modifiche agli strumenti urbanistici quanto alla destinazione dei terreni (artt. 46 e 30 del d.p.r. n. 380/2001). Gli “estremi” dei titoli abilitativi edilizi potrebbero, tuttavia, essere indicati in modo errato, anche solo parzialmente (ad es., numero errato di una licenza edilizia, la cui data è indicata esattamente): in tali ipotesi, salvo valutare caso per caso, la rettifica notarile deve ritenersi ammessa ogni qualvolta l’errore o l’omissione non danno luogo a nullità.
6) – Errore di calcolo.
Un caso specifico di errore materiale è l’errore di calcolo, al primo espressamente equiparato quanto al relativo trattamento giuridico ed in particolare alla rettifica (art. 1430 c.c.; art. 287 c.p.c.; art. 36-bis, comma 2, lett. a), del d.p.r. n. 600/1973). Per potersi parlare di errore materiale e quindi di rettifica occorre però che i dati matematici, sulla base dei quali effettuare il calcolo, risultino dal contesto dell’atto, in modo tale da rendere rilevabile ictu oculi l’errore, e certo il procedimento di correzione mediante ricalcolo (Cass. 21 marzo 2008, n. 7801; Cass. 28 gennaio 1987, n. 835; Cass. 6 luglio 1983, n. 4567). Così, ad esempio, se il prezzo di una compravendita è indicato in modo errato, ma dall’atto risulta che esso è stato convenuto a misura, si ha errore di calcolo rettificabile solo quando dall’atto risulti sia il prezzo per unità di misura, sia la superficie di riferimento; altrimenti non può farsi luogo a rettifica. Altro esempio di dato numerico rettificabile in quanto errore materiale (non di calcolo) è l’errore nell’indicazione del prezzo, quando dallo stesso atto risultino gli estremi degli assegni con cui è pagato un prezzo diverso.
I) – GLI EFFETTI GIURIDICI DELL’ATTO DI RETTIFICA.
Se l’errore “materiale” non incide sul contenuto sostanziale e sulla validità dell’atto, la relativa “rettifica” non può, evidentemente, produrre alcun effetto giuridico innovativo o preclusivo: alla stessa può essere ricollegato unicamente un effetto ricognitivo o dichiarativo, in ogni caso utile al fine di fare chiarezza, ma non modificativo di situazioni giuridiche preesistenti. Questo sul piano del diritto sostanziale, e dei rapporti inter partes, salvi gli effetti della pubblicità, di cui infra. È, questa, un’ulteriore ragione che spiega l’attribuzione al solo notaio – senza necessità di consenso delle parti – della facoltà di formare l’atto di rettifica.
L) – CONSEGUENZE DELLA RETTIFICA ESEGUITA IN ASSENZA DEI PRESUPPOSTI DI LEGGE.
La facoltà, attribuita dall’art. 59-bis l. not. al notaio di rettificare, senza il consenso delle parti, errori materiali od omissioni commesse in atti notarili, formando in tal modo un titolo idoneo alla pubblicità legale, valorizza la centralità della funzione notarile e la fides ricollegata all’operato del notaio. Contropartita di tale fiducia dell’ordinamento nella figura del notaio è la responsabilità del notaio che ponga in essere l’atto in oggetto al di fuori delle proprie attribuzioni.
Potrebbe infatti darsi il caso in cui un notaio ponga in essere un atto contenente la “certificazione” di rettifica in oggetto, al di fuori dei casi in cui ciò è consentito: ad esempio perché non vi è errore nella documentazione (“erronea trascrizione di dati preesistenti”), ma piuttosto errore nella dichiarazione della parte ex art. 1433 c.c., come tale non rettificabile dal solo notaio; ovvero perché il contenuto complessivo dell’atto non consente in modo univoco di accertare che si tratta di mero errore materiale (perché, ad esempio, non solo i dati catastali, ma anche confini, descrizione, ubicazione sono errati, il che potrebbe voler dire che le parti possono aver voluto trasferire, effettivamente, il bene contraddistinto dai dati catastali indicati in atto).
In questi casi il notaio porrebbe in essere un atto non consentito dalla legge ed al di fuori delle sue attribuzioni, incorrendo nella violazione dell’art. 28 della legge notarile (paradigmatico è l’orientamento giurisprudenziale formatosi in passato con riferimento ai verbali di constatazione, o alla precostituzione di prove testimoniali ad opera del notaio). È, quindi, di estrema importanza la delimitazione dell’impiego del nuovo istituto nei rigorosi limiti di applicazione segnati dai concetti di “erronea trascrizione di dati preesistenti”, “errore materiale” ed “omissione”, tra loro collegati.
Nei casi più gravi, di falsa certificazione da parte del notaio riguardo all’esistenza di un errore materiale da rettificare, è da ritenersi integrata la fattispecie della falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati (art. 480 c.p.).
Quanto al rimedio civilistico a disposizione delle parti per reagire contro una rettifica eseguita dal notaio al di fuori dei presupposti di legge, esse possono esperire – oltre all’azione di danni – anche una azione di accertamento, diretta a far constare l’inefficacia nei loro confronti della rettifica notarile eseguita al di fuori dei presupposti di legge (ed a costituire titolo per la relativa pubblicità legale, che superi quella eseguita sulla base della certificazione notarile, salvi sempre i diritti dei terzi).
M) – PUBBLICITÀ LEGALE E DIRITTI DEI TERZI.
A norma dell’art. 59-bis l. not., il notaio provvede alla redazione dell’atto di rettifica “anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità”. La legge integra quindi il catalogo degli atti soggetti a trascrizione o iscrizione nei pubblici registri (tra cui l’art. 2657 c.c.), aggiungendovi questo particolare atto pubblico contenente unicamente la certificazione del notaio: sulla base di esso, il conservatore del pubblico registro di volta in volta interessato sarà pertanto obbligato a trascrivere o iscrivere l’atto nei confronti delle parti dell’atto rettificato.
La pubblicità legale della rettifica è da sempre ammessa, nonostante essa non rientri nel catalogo degli atti espressamente assoggettati a pubblicità legale (con riguardo alla trascrizione immobiliare, v. sul punto PETRELLI, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Esi, Napoli, 2009, p. 315). La disposizione in oggetto fornisce un argomento ulteriore alla tesi della soggezione di tale atto a pubblicità legale.
Quanto alle modalità della pubblicità immobiliare, si discute se debba farsi luogo a trascrizione o ad annotazione (riguardo alla pubblicità ipotecaria, in quest’ultimo senso dispone l’art. 2886, comma 2, c.c.). Senza poter affrontare in questa sede la complessa questione, va evidenziato da un lato come la prassi amministrativa sia orientata nel senso della trascrizione della rettifica (v. la Circ. Min. Fin. 2 maggio 1995, n. 128/T); d’altro lato, come almeno in alcuni casi (rettifica di dati anagrafici) il funzionamento tecnico del sistema personale di pubblicità immobiliare richieda la trascrizione, perché la rettifica sia resa effettivamente conoscibile.
Quanto agli effetti della trascrizione della rettifica, occorre tener conto del fatto che, per pacifica dottrina e giurisprudenza, i terzi hanno unicamente l’onere di consultare le note di trascrizione, e non i titoli; anche ipotizzando – per quanto qui interessa – il caso in cui un dato (catastale, o anagrafico) sia indicato in modo errato sia nel titolo che nella nota, l’errore nel primo è in genere individuabile agevolmente mediante il raffronto con tutti gli altri elementi indicati in atto (come sopra chiarito). Invece, nella nota di trascrizione potrebbero essere inseriti solo alcuni dati (in particolare dati catastali, senza confini, descrizione e consistenza effettive): ciò significa che il requisito della “materialità” dell’errore sussisterebbe nel titolo, ma non nella nota, nella quale invece esso assumerebbe carattere “essenziale”. Da ciò l’importanza della trascrizione della rettifica (riconosciuta anche dalla giurisprudenza, ai fini dell’opponibilità ai terzi del trasferimento sull’effettivo oggetto dell’atto: utile, sul punto, la lettura della motivazione di Cass. 30 luglio 2002, n. 11265, in Foro it., Rep. 2002, voce Trascrizione, n. 21). In questo senso, può dirsi che l’atto originario (traslativo o costitutivo) e l’atto di rettifica vengono a comporre una fattispecie complessa, che la trascrizione della rettifica rende opponibile nella sua reale consistenza. Il che costituisce un argomento ulteriore per la scelta della formalità di trascrizione, in luogo di quella dell’annotazione della rettifica. Del resto, l’art. 59-bis l. not. fa “salvi i diritti dei terzi”, a ribadire il principio secondo cui, quando l’errore o l’omissione sia in sé idoneo ad ingenerare affidamento nei terzi, questo affidamento deve essere tutelato. Pertanto, che sia stata oggetto di pubblicità legale o meno, la rettifica non può mai retroagire a danno dei terzi stessi, ma può produrre effetto riguardo agli stessi unicamente a partire dal momento della relativa pubblicità legale.
N) – REGIME FISCALE DELLA RETTIFICA.
Ai fini fiscali, infine, non sembra dubbio che la rettifica in oggetto sia soggetta alle imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale, in quanto atto privo di valore patrimoniale (art. 11 della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986), che non comporta trasferimento o costituzione di diritti reali (art. 10 del d. lgs. n. 347/1990, e art. 3 della tariffa allegata). In tal senso – con riferimento alla rettifica di dati catastali – v. espressamente la Ris. Min. Fin., Direzione generale Tasse, 18 febbraio 1983, n. 250850 (la quale, coerentemente con quanto sopra precisato riguardo alla natura della rettifica, afferma che “deve essere applicata l'imposta fissa di registro, e non quella proporzionale dovuta per gli atti di trasferimento, allorquando risulta in modo inequivoco la identità dei beni menzionati nel primo atto di trasferimento e in quello di rettifica e quando il secondo di tali atti si limita semplicemente a precisare i dati catastali del bene trasferito”, in particolare quando “i confini insieme agli altri elementi principali di identificazione del bene compravenduto risultano gli stessi in ambedue gli atti di cui si tratta”, dovendosi dare “rilievo solo alla indicazione dei confini contro quella dei mappali, e ciò per il valore meramente presuntivo ed indicativo del catasto”. In tale circostanza l’Amministrazione finanziaria ha comunque affermato essere compito “dell'Ufficio esaminare attentamente i due atti in parola per riscontrare quella identità di contenuto sostanziale sostenuta dai contribuenti”). Cfr. anche sul punto BASILAVECCHIA, Atto integrativo e di rettifica, in Studi e materiali, 2008, 2, p. 552.
Sulla
nuova disciplina in oggetto, cfr. anche C.N.N. (estensore LEO), Osservazioni
sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio, Studio n.
618-2010/C, del 15 dicembre 2010, in CNN Strumenti del 27 dicembre
2010; CONDÒ, Una prima lettura dell'art. 59-bis
Legge Notarile, in FederNotizie, 2010, 6, p. 251; VALENZA, Testamento
scritto dal notaio e decesso del testatore prima della sottoscrizione, in FederNotizie,
2010, 6, p. 245.
Per precedenti riflessioni in ordine all’istituto della rettifica degli atti notarili, cfr. FALZONE-ALIBRANDI, Rettifica di atti, in Dizionario Enciclopedico del Notariato, III, Roma, 1977, p. 590; ID., Rettifica catastale, in Dizionario Enciclopedico del Notariato, III, Roma, 1977, p. 592; CASU-MATTIA, Erronea indicazione dei dati anagrafici e atto di rettifica, in Studi e materiali, 2009, 4, p. 1616; RUOTOLO-BOGGIALI, Società di capitali sciolta ma non cancellata dal registro delle imprese e atto unilaterale di rettifica, in Studi e materiali, 2008, 2, p. 844; FABIANI-LEO, Rettifica notarile di sentenza giudiziale: esclusione, in Studi e materiali, 2008, 3, p. 1365; VOMERO, Errore materiale ed ermeneutica contrattuale (nota a Cass. 19 dicembre 2003 n. 19558), in Nuova giur. civ., 2005, I, p. 195; RUOTOLO, Rettifica di dati catastali erronei, in Studi e materiali, 2005, 1, p. 863; IACCARINO, Rettifica unilaterale di dati catastali, in Notariato, 2004, p. 623; COVINO, Omissioni, inesattezze e rettifiche nell'iscrizione ipotecaria: analisi alla luce dei principi che regolano la pubblicità immobiliare (nota a Trib. Perugia 30 settembre 2002), in Rass. giur. umbra, 2003, p. 550; RUOTOLO, Rettifica unilaterale di dati anagrafici, in Studi e materiali, 2003, 2, p. 747; SCIUMBATA, L'atto di rettifica nell'attività notarile, in Vita not., 1998, p. CCLXI; BELLUCCI, Negozio trascritto in base a generalità erronee e atto di rettifica (nota a Trib. Perugia 8 maggio 1997), in Rass. giur. umbra, 1997, p. 370; FEDELI, Unilateralità o bilateralità dell'atto di rettifica dell'errore catastale e della menzione urbanistica, in Vita not., 1997, p. 1083; CACCIA, La rettifica stragiudiziale degli atti pubblici ed alcune applicazioni concernenti la L. 28 febbraio 1985 n. 47, in Vita not., 1988, p. 63; TRIOLA, Generalità erronee delle parti e c.d. "atto di rettifica", in Vita not., 1975, p. 429; C.N.N., In tema di rettifica di atto pubblico, in Studi su argomenti di interesse notarile, VI, Roma 1968, p. 121.
Sulla casistica e le problematiche riguardanti la correzione
degli errori materiali ed omissioni nei provvedimenti giudiziali, cfr.
MONTESANO-ARIETA, La correzione delle sentenze e delle ordinanze, in Trattato
di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2001, p. 1611; ACONE, Correzione
e integrazione dei provvedimenti del giudice (dir. proc. civ.), in Enc.
giur. Treccani, IX, Roma, 1988; SPIAZZI, Correzione e integrazione dei
provvedimenti del giudice, in Novissimo dig. it., Appendice, II,
Torino, 1981, p. 835; TORREGROSSA, Correzione e integrazione dei
provvedimenti del giudice, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 717;
MASSARI, Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice, in Novissimo
dig. it., IV, Torino, 1959, p. 878.
La
problematica in oggetto si incrocia, e va attentamente delimitata, rispetto a
quella dell’interpretazione dell’atto notarile (quale atto del quale il
notaio ha, giuridicamente, la paternità, e che nel contempo deve rispecchiare
le dichiarazioni delle parti rese al notaio stesso a norma dell’art. 47 l.
not.): cfr. sulla tematica SPECIALE, L'interpretazione
del negozio notarile e le scritture antecedenti, in Riv. dir. civ.,
1984, II, p. 632; BETTI, Interpretazione dell'atto notarile, in Riv.
not., 1960, p. 1. Per l’inidoneità dell'attestazione successiva del notaio
quale interpretazione autentica dell'atto notarile, Cass. 5 marzo 2010, n.
5440, in Vita not., 2010, p. 948.
Occorre, infine, delimitare l’àmbito di operatività della rettifica rispetto agli elementi la cui indicazione non veritiera dà luogo a falso ideologico in atto pubblico: cfr. BOERO, Indicazione del domicilio e falso ideologico, in Studi e materiali, I, Milano, 1986, p. 15; GIAMPICCOLO, Sulla rettifica di atto solenne viziato da falsità ideologica, in Giur. compl. cass. civ., 1949, III, p. 214.
Con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110 (in G.U. n. 166 del 19.7.2010), in vigore dal 3 agosto 2010, sono state emanate disposizioni in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio, in attuazione della delega contenuta nell’art. 65 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
La delega al Governo comprendeva in realtà, più in generale, le procedure informatiche e telematiche per la redazione dell’atto pubblico, l’autenticazione di scrittura privata, la tenuta dei repertori e registri e la conservazione dei documenti notarili; prevedendosi il ricorso generalizzato ai sistemi ed alle procedure informatiche, assicurando in ogni caso la certezza, sicurezza e correttezza dello svolgimento della funzione notarile, in conformità alle disposizioni di carattere generale contenute nel codice dell’amministrazione digitale. Nella delega era anche contemplata la rettifica di errori di trascrizioni di dati degli atti notarili, e più precisamente l’attribuzione al notaio della facoltà di provvedere, mediante propria certificazione, a rettificare errori od omissioni materiali di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto, fatti salvi i diritti dei terzi.
Secondo la relazione governativa, il decreto è finalizzato a dare attuazione alle disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. n. 82/2005) in materia di documento informatico redatto dal notaio, inserendo nell’ordinamento di settore del notariato delle opportune disposizioni di dettaglio, coordinate con quelle del citato Codice. Il tutto perseguendo “l’obiettivo dell’innovazione tecnologica mediante il ricorso alle procedure informatiche nell’ambito della circolazione giuridica dei beni e dei diritti, in modo da consentire all’autonomia privata di esplicarsi anche attraverso l’utilizzo del documento informatico, mantenendo integre, nel contempo, tutte quelle garanzie di sicurezza e di conservazione del documento negoziale, che sono proprie dell’atto notarile e che devono essere preservate anche in una moderna economia di mercato”.
A) – FIRMA DIGITALE DEL NOTAIO.
1) – A norma del nuovo art. 23-bis l.not.:
“1.
Il notaio per l'esercizio delle sue funzioni deve munirsi della firma digitale
di cui all’articolo 1, comma 1, lettera s), del decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82, rilasciata dal Consiglio nazionale del notariato.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al coadiutore e al notaio delegato”.
Il notaio può quindi utilizzare unicamente la firma digitale, che è – a norma dell’art. 1, comma 1, lett. s), del d. lgs. n. 82/2005, “un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”. Firma digitale che offre le maggiori garanzie in termini di sicurezza, con esclusione della firma elettronica e della firma elettronica qualificata (art. 1, lett. q) ed r), del d. lgs. n. 82/2005).
Non solo, ma il notaio può utilizzare, per l’esercizio delle sue funzioni, unicamente la firma digitale rilasciata dal Consiglio nazionale del notariato (con esclusione, pertanto, di altre firme digitali, rilasciate da altre autorità di certificazione).
2) – A norma del nuovo art. 23-ter l. not.:
“1.
Il certificato qualificato, di cui all’articolo 1, comma 1, lettera f),
del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, rilasciato al notaio per
l'esercizio delle sue funzioni nel rispetto delle regole tecniche di cui
all’articolo 34, commi 3 e 4, dello stesso decreto, attesta, sulla base delle
comunicazioni inviate dai consigli notarili distrettuali, anche la sua
iscrizione nel ruolo.
2.
Le modalità di gestione del certificato di cui al comma 1 devono comunque
garantirne l'immediata sospensione o revoca, a richiesta dello stesso titolare
o delle autorità competenti, in tutti i casi previsti dalla normativa vigente
in materia di firme elettroniche o quando il notaio è sospeso o cessa
dall'esercizio delle sue funzioni per qualsiasi causa, compreso il
trasferimento ad altro distretto.
3. Il notaio custodisce ed utilizza personalmente, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, il dispositivo di firma collegato al certificato di cui al comma 1”.
La disciplina dei primi due commi dell’art. 23-ter l. not. si coordina, pertanto, con quella del d. lgs. n. 82/2005, che richiede per la generazione della firma digitale l’impiego di un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso, stabilendo anche che attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71, la validità del certificato stesso, nonché gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d'uso (art. 24, commi 3 e 4, del d. lgs. n. 82/2005).
Si consideri anche la previsione dell’art. 28, comma 3, lett. a), del d. lgs. n. 82/2005, a norma del quale il certificato qualificato “può contenere”, tra le altre informazioni, l’indicazione delle “qualifiche specifiche del titolare, quali l'appartenenza ad ordini o collegi professionali, la qualifica di pubblico ufficiale, l'iscrizione ad albi o il possesso di altre abilitazioni professionali, nonché poteri di rappresentanza”: in deroga alla previsione generale del codice dell’amministrazione digitale, la legge notarile novellata dispone quindi che il certificato qualificato rilasciato al notaio “deve” contenere l’indicazione della qualifica specifica del titolare, in particolare la qualifica di notaio e la relativa iscrizione a ruolo.
Dalle disposizioni speciali della legge notarile emerge, in particolare, che:
- il certificato qualificato rilasciato al notaio per l’esercizio delle sue funzioni è basato sulle comunicazioni da effettuarsi da parte dei consigli notarili distrettuali al consiglio nazionale del notariato quale autorità di certificazione;
- in questo senso, il riferimento alle “autorità competenti” a richiedere la sospensione o revoca “immediata” del certificato, indicate dall’art. 23-ter, comma 2, l. not., deve intendersi effettuato proprio ai consigli notarili distrettuali (in tal senso, espressamente, la relazione al decreto);
- su tali basi, il certificato qualificato deve attestare l’iscrizione a ruolo del notaio; ciò al fine di porre i terzi in condizione di conoscere in ogni momento se il notaio è nell’esercizio delle sue funzioni;
- parimenti, in attuazione della previsione generale dell’art. 36 del d. lgs. n. 82/2005, l’art. 23-ter, comma 2, l. not. impone che sia richiesta e fatta rilevare dal certificato qualificato la relativa sospensione e revoca, in caso di sospensione o cessazione delle funzioni notarili per qualsiasi causa, compreso il trasferimento ad altro distretto; non vi è invece necessità di una tale revoca in caso di trasferimento nell’ambito dello stesso distretto.
Di estrema rilevanza la previsione del terzo comma dell’art. 23-ter l. not., a norma del quale il notaio deve custodire ed utilizzare “personalmente”, a norma dell’art. 32 del d. lgs. n. 82/2005, il dispositivo di firma (c.d. smart card). Cfr. anche, al riguardo, le fattispecie penali contemplate dall’art. 491-bis c.p., nonché dall’art. 617-sexies c.p.
3) – l’art. 3 del d. lgs. n. 110/2010 ha inserito il seguente art. 2-bis nella legge 3 agosto 1949, n. 577:
“Il Consiglio nazionale del notariato svolge l'attività di certificatore della firma rilasciata al notaio per l'esercizio delle sue funzioni.”
La disposizione non era evidentemente necessaria per attribuire al Consiglio nazionale del notariato la qualifica di autorità di certificazione, ma costituisce piuttosto il logico pendant del nuovo art. 23-bis l. not., che obbliga il notaio a servirsi unicamente della firma digitale rilasciata dal Consiglio nazionale del notariato.
B) – ANNOTAZIONI SUGLI ORIGINALI:
L’art. 2 del d. lgs. n. 110/2010 ha aggiunto il nuovo art. 23-bis al r.d.l. 23 ottobre 1924, n. 1737, disponendo che:
“Per gli atti pubblici e le scritture private autenticate informatiche, le annotazioni di cui all'articolo 23 e le altre annotazioni previste dalla legge sono eseguite secondo le modalità determinate ai sensi dell’articolo 68-bis, comma 1, della legge 16 febbraio 1913, n. 89”.
Si tratta, come dirà di seguito, di modalità attuative che dovranno essere previste negli appositi decreti da emanarsi.
C) – DECRETI ATTUATIVI ED ENTRATA IN VIGORE.
L’art. 4 del d. lgs. n. 110/2010 dispone:
“Con uno o più decreti del Ministro della giustizia aventi natura non regolamentare sono stabilite la data in cui acquistano efficacia le disposizioni di cui all’articolo 66-bis, comma 1, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nonché la data di inizio dell'operatività della struttura di cui all’articolo 68-bis, comma 1, e quella in cui acquista efficacia l'obbligo di conservazione delle copie di cui all'articolo 62-ter della medesima legge”.
A norma del nuovo art. 68-bis l. not.:
“1.
Con uno o più decreti non aventi natura regolamentare del Ministro della
giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il
Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro per la
semplificazione normativa sentiti il Consiglio nazionale del notariato ed il
Garante per la protezione dei dati personali e la DigitPA, sono determinate,
nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.
82:
a)
le tipologie di firma elettronica ulteriori rispetto a quella prevista
dall'articolo 52-bis che possono essere utilizzate per la sottoscrizione
dell'atto pubblico, ferma restando l'idoneità dei dispositivi di cui
all'articolo 1, comma 1, lettere q), r) e s), dello stesso
decreto;
b)
le regole tecniche per l'organizzazione della struttura di cui al comma 1
dell'articolo 62-bis;
c)
le regole tecniche per la trasmissione telematica, la conservazione e la
consultazione degli atti, delle copie e della documentazione di cui agli
articoli 62-bis e 62-ter;
d)
le regole tecniche per il rilascio delle copie da parte del notaio di quanto
previsto alla lettera c);
e)
le regole tecniche per l'esecuzione delle annotazioni previste dalla legge
sugli atti di cui all'articolo 62-bis;
f)
le regole tecniche per l'esecuzione delle ispezioni di cui agli articoli da 127
a 134, per il trasferimento agli archivi notarili degli atti, dei registri e
dei repertori formati su supporto informatico e per la loro conservazione dopo
la cessazione del notaio dall'esercizio o il suo trasferimento in altro
distretto.
2.
Con decreto adottato ai sensi del comma 1 sono stabilite, anche al fine di
garantire il rispetto della disposizione di cui all'articolo 476, primo comma,
del codice di procedura civile, le regole tecniche per il rilascio su supporto
informatico della copia esecutiva, di cui all'articolo 474 del codice di
procedura civile.
3. Agli atti e alle copie di cui agli articoli 62-bis e 62-ter si applicano le disposizioni di cui agli articoli 50-bis e 51 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
Sostanzialmente, è posticipata l’entrata in vigore di tutte le nuove disposizioni riguardanti la conservazione degli atti, repertori e registri informatici nell’apposita struttura.
Ciò significa che non sono ancora operative neanche le nuove norme della legge notarile che consentono di redigere su supporto informatico l’originale dell’atto pubblico, o della scrittura privata autenticata da conservarsi nella raccolta del notaio, e che regolano il rilascio delle relative copie conformi, per il semplice motivo che le relative regole tecniche di conservazione non sono state ancora emanate.
Non può essere, inoltre, rilasciata attualmente copia esecutiva su supporto informatico, dovendo essere emanate le regole tecniche che ne garantiscano la necessaria “unicità”, in conformità agli artt. 474 ss. c.p.c.
Sono, invece, già vigenti (in realtà, erano già possibili prima del 3 agosto 2010) le disposizioni che consentono:
1) - l’autenticazione delle firme digitali o elettroniche apposte alle scritture private, quando queste ultime non sono soggette a conservazione obbligatoria a norma dell’art. 72, comma 3, l. not.;
2) - il rilascio di copie autentiche cartacee di documenti informatici, salvo quanto sopra;
3) - il rilascio di copie autentiche informatiche di documenti cartacei.
Deve, altresì, ritenersi che, su richiesta delle parti interessate, il notaio sia obbligato all’utilizzo dei documenti informatici, nei casi sopra descritti, e che non possa quindi imporre alle parti l’impiego del supporto cartaceo (arg. ex art. 68-ter, comma 2, l. not.).
In materia di atto pubblico informatico, v. anche di recente NASTRI, Le opportunità dell'atto pubblico informatico, in Notariato, 2010, p. 566; AMBROSI, L'atto pubblico informatico: il d. lgs. 2.7.2010, n. 110, in Famiglia, persone e successioni, 2010, p. 798; MAZZEO, Il notaio dalla ceralacca al bit (art. 1, d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110), in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 711.
1) – A norma del nuovo art. 47-bis, comma 1, l. not., come introdotto dal D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 110:
“1.
All'atto pubblico di cui all'articolo 2700 del codice civile, redatto con
procedure informatiche si applicano le disposizioni della presente legge e
quelle emanate in attuazione della stessa”.
Secondo la Relazione al decreto, tale disposizione ha “lo scopo di completare il quadro normativo delineato dal codice dell’amministrazione digitale, al fine di dare piena equiparazione, sul piano degli effetti giuridici, all’atto pubblico ed alla scrittura privata autenticata con strumenti informatici rispetto ai corrispondenti documenti cartacei”.
2) – a norma del nuovo art. 47-ter, comma 2, l. not.:
“2.
L'atto pubblico informatico è ricevuto in conformità a quanto previsto
dall'articolo 47 ed è letto dal notaio mediante l'uso e il controllo personale
degli strumenti informatici”.
Vale quindi anche per l’atto pubblico informatico la regola del ricevimento dell’atto in presenza delle parti e, eventualmente, di due testimoni, come pure quella del comma 2 dell’art. 47, in base alla quale “Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell'atto”. Anche se non specificamente richiamati, si applicano ovviamente anche all’atto pubblico informatico l’art. 28 della legge notarile (controllo di legalità), e l’art. 54 reg. not. (verifica delle autorizzazioni, della legittimazione e dei poteri di rappresentanza). Più in generale, trovano applicazione all’atto pubblico informatico tutte quelle disposizioni “sostanziali” della legge notarile, la cui ratio ha carattere generale, e prescinde dal tipo di supporto utilizzato (cartaceo o informatico).
La lettura dell’atto è operata dal notaio “mediante l’uso e il controllo personale degli strumenti informatici”. Generalmente, quindi, detta lettura avrà luogo direttamente “dallo schermo del computer”; anche se deve ritenersi conforme alla lettera e alla ratio della disposizione – in particolare, alla garanzia di “corrispondenza” del testo letto dal notaio con quello che verrà sottoscritto dalle parti – e quindi ammissibile la lettura di un supporto cartaceo, che il notaio abbia personalmente stampato in presenza delle parti.
3) – a norma del nuovo art. 47-ter, comma 3, l. not.:
“3. Il notaio nell'atto pubblico e nell'autenticazione delle firme deve attestare anche la validità dei certificati di firma eventualmente utilizzati dalle parti”.
Nell’atto pubblico informatico il notaio deve quindi attestare espressamente che i certificati di firma, eventualmente utilizzati dalle parti, sono validi. La legge non ricollega peraltro alcuna conseguenza della omessa menzione dell’accertamento della validità dei certificati di firma delle parti, né in termini di validità dell’atto pubblico, né in termini di conseguenze disciplinari per il notaio.
Diverso è il piano dell’accertamento effettivo della validità dei certificati di firma. La ratio della disciplina esige che l’accertamento in oggetto sia effettuato dal notaio in un momento successivo rispetto a quello in cui le parti appongono la propria firma digitale, e prima evidentemente che lo stesso notaio apponga la propria: solo in tal modo, infatti, è possibile garantire certezza in ordine alla validità del certificato di firma.
Per comprendere l’importanza dell’accertamento della validità del certificato di firma, occorre tener conto del contenuto di esso: a norma dell’art. 28 del d. lgs. n. 82/2005, il certificato qualificato deve contenere almeno alcune informazioni essenziali (natura qualificata del certificato; numero di serie o altro codice identificativo; generalità del certificatore; nome e cognome e codice fiscale del titolare del certificato; dati per la verifica della firma; indicazione del termine iniziale e finale del periodo di validità del certificato; firma elettronica del certificatore. Il medesimo certificato qualificato può contenere, in aggiunta, altre importanti informazioni (le qualifiche specifiche del titolare, quali l'appartenenza ad ordini o collegi professionali, la qualifica di pubblico ufficiale, l'iscrizione ad albi o il possesso di altre abilitazioni professionali, nonché poteri di rappresentanza; i limiti d'uso del certificato, inclusi quelli derivanti dalla titolarità delle qualifiche e dai poteri di rappresentanza; i limiti del valore degli atti unilaterali e dei contratti per i quali il certificato può essere usato, ove applicabili). Il titolare, ovvero il terzo interessato se richiedente, comunicano tempestivamente al certificatore il modificarsi o venir meno delle circostanze oggetto delle informazioni suddette. A norma dell’art. 36 del d. lgs. n. 82/2005, il certificato qualificato deve essere, a cura del certificatore, revocato o sospeso nei casi ivi previsti (cessazione dell’attività del certificatore, provvedimento dell’autorità, richiesta del titolare o del terzo dal quale derivano i poteri del titolare; cause limitative della capacità del titolare, abusi o falsificazioni; casi previsti dalle regole tecniche).
Estremamente importante la previsione dell’art. 36, comma 3, del d. lgs. n. 82/2005: la revoca o la sospensione del certificato qualificato, qualunque ne sia la causa, ha effetto dal momento della pubblicazione della lista che lo contiene. Il momento della pubblicazione deve essere attestato mediante adeguato riferimento temporale. Ciò significa che revoca o sospensione sono senz’altro opponibili ai terzi per effetto della relativa pubblicazione. Pertanto, un certificato scaduto, sospeso o revocato non ha alcuna idoneità a ricondurre la firma digitale al suo titolare, e il documento sottoscritto con una firma digitale non valida è per certi aspetti equiparabile al documento sottoscritto da soggetto diverso dall’autore apparente: esso quindi non produce effetti nella sfera giuridica del presunto autore dell’atto. Per tale motivo, l’accertamento della validità del certificato è suscettibile di collocarsi su un piano analogo a quello dell’accertamento dell’identità personale, e comporta una analoga responsabilità del notaio rogante o autenticante.
4) – A norma del nuovo art. 52-bis l. not.:
“1.
Le parti, i fidefacenti, l'interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente
l'atto pubblico informatico in presenza del notaio con firma digitale o con
firma elettronica, consistente anche nell'acquisizione digitale della
sottoscrizione autografa.
2. Il notaio appone personalmente la propria firma digitale dopo le parti, l'interprete e i testimoni e in loro presenza”.
Alle parti è quindi consentito – a differenza che al notaio – sottoscrivere non solo con firma digitale, ma anche con firma elettronica non qualificata: ciò, come rileva la Relazione al decreto, “al fine di incentivare l’utilizzo delle tecnologie informatiche da parte della generalità dei cittadini, rendendo così possibile, anche a soggetti che non siano in possesso di firma digitale o altri strumenti qualificati, di sottoscrivere l’atto pubblico informatico. La minore affidabilità delle firme elettroniche non qualificate viene superata dalla funzione del notaio, alla presenza del quale l’atto viene sottoscritto dalle parti”.
A norma dell’art. 52-bis, comma 1, l. not., la firma elettronica delle parti può consistere “anche nell'acquisizione digitale della sottoscrizione autografa”: in pratica, le parti (ed eventuali testimoni, fidefacienti e interprete) possono apporre la propria sottoscrizione autografa su un supporto cartaceo (contenente il testo dell’atto pubblico), che verrà successivamente “scannerizzato”, e quindi, una volta così trasformato in documento informatico, sottoscritto dal notaio con la propria firma digitale.
L’art. 68-bis, comma 1, lett. a), l. not., rinvia a decreti attuativi da emanarsi riguardo a tipologie di firma elettronica ulteriori rispetto a quella prevista dall'articolo 52-bis che possono essere utilizzate per la sottoscrizione dell'atto pubblico, ferma restando l'idoneità dei dispositivi di cui all'articolo 1, comma 1, lettere q), r) e s), del d. lgs. n. 82/2005.
La violazione, da parte del notaio, dell’obbligo di apporre “personalmente” la propria firma digitale, dopo le parti, l’interprete e i testimoni e “in loro presenza”, è sanzionata disciplinarmente con la sospensione da sei mesi ad un anno e, in caso di recidiva, con la destituzione del notaio (per effetto delle modifiche apportate dal d. lgs. n. 110/2010 all’art. 138, comma 2, e all’art. 142, comma 1, lett. b), l. not.).
1) – A norma del nuovo art. 47-bis, comma 2, l. not., come introdotto dal D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 110:
“2. L'autenticazione di cui all'articolo 2703, secondo comma, del codice civile, è regolata, in caso di utilizzo di modalità informatiche, dall’articolo 25 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
Secondo la Relazione al decreto, la disposizione ha “lo scopo di completare il quadro normativo delineato dal codice dell’amministrazione digitale, al fine di dare piena equiparazione, sul piano degli effetti giuridici, all’atto pubblico ed alla scrittura privata autenticata con strumenti informatici rispetto ai corrispondenti documenti cartacei”.
2) – Con particolar riguardo all’autenticazione di firme digitali o elettroniche, l’art. 25 del d. lgs. n. 82/2005 recita:
“1.
Si ha per riconosciuta, ai sensi dell'articolo 2703 del codice civile, la firma
digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata autenticata dal notaio o
da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
2.
L'autenticazione della firma digitale o di altro tipo di firma elettronica
qualificata consiste nell'attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la
firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della
sua identità personale, della validità del certificato elettronico utilizzato e
del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento
giuridico.
3.
L'apposizione della firma digitale o di altro tipo di firma elettronica
qualificata da parte del pubblico ufficiale ha l'efficacia di cui all'articolo
24, comma 2.
4. Se al documento informatico autenticato deve essere allegato altro documento formato in originale su altro tipo di supporto, il pubblico ufficiale può allegare copia informatica autenticata dell'originale, secondo le disposizioni dell'articolo 23, comma 5”.
Pertanto, in base all’art. 25 surriportato, che va coordinato con le previsioni dell’art. 2703 c.c. e dell’art. 72 l. not.:
a) - l’autenticazione della firma digitale o elettronica delle parti consiste in una “attestazione” del notaio;
b) - detta attestazione può essere contenuta nello stesso documento informatico, o in un documento informatico ulteriore e collegato con quello che reca le firme digitali o elettroniche delle parti (arg. ex artt. 1, comma 1, lett. q), 23, commi 3 e 5, 24, comma 1, del d. lgs. n. 82/2005);
c) – quanto al contenuto di detta attestazione, da essa devono risultare:
c1) – la dichiarazione del notaio che la firma digitale o elettronica della parte è stata apposta in sua presenza (art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 82/2005; art. 2703 c.c.; art. 72, comma 1, l. not.; art. 86, comma 2, reg. not.). Si tratta di aspetto di notevolissima importanza, idoneo a garantire che il dispositivo di firma (smart card) sia effettivamente utilizzato dal relativo titolare, e non da un terzo che lo detenga illecitamente per qualsiasi ragione (garanzia che manca invece per la firma digitale non autenticata, ex art. 24 del d. lgs. n. 82/2005);
c2) – l’indicazione della data e del luogo (art. 72, comma 1, l. not.);
d) – occorre inoltre il previo accertamento, da parte del notaio:
d1) – dell’identità personale della parte (art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 82/2005; art. 2703 c.c.);
d2) – della validità del certificato elettronico utilizzato (art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 82/2005);
d3) – del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l’ordinamento giuridico (disposizione che richiama, implicitamente, l’art. 28 l.not.);
e) – dell’accertamento dell’identità personale, e del mancato contrasto con l’ordinamento giuridico, non è espressamente prescritta la menzione nell’attestazione in cui consiste l’autentica; dell’accertamento della validità del certificato di firma è invece prescritta la menzione nell’art. 47-ter, comma 2, l. not. Deve tuttavia ritenersi assolutamente opportuna – come del resto avviene da sempre nella prassi riguardo all’accertamento dell’identità personale nell’autenticazione delle firme autografe – la menzione dell’accertamento dell’identità personale nell’autentica;
f) – in caso di necessità di allegazione di un documento (es., procura) al documento informatico autenticato, il notaio può allegare copia informatica autenticata dell’originale (cartaceo o informatico) (art. 25, comma 4, del d. lgs. n. 82/2005).
3) – a norma del nuovo art. 47-ter , comma 3 l. not.:
“3. Il notaio nell'atto pubblico e nell'autenticazione delle firme deve attestare anche la validità dei certificati di firma eventualmente utilizzati dalle parti”.
Vale quindi anche per l’autenticazione delle firme elettroniche e digitali quanto già precisato in ordine all’accertamento della validità dei certificati di firma utilizzato dalle parti, ed alla relativa menzione (che in questo caso deve essere effettuata nell’autentica).
Anche se non specificamente richiamato, si applica anche all’autenticazione delle firme digitali ed elettroniche l’art. 54 reg. not. (verifica delle autorizzazioni, della legittimazione e dei poteri di rappresentanza). Più in generale, trovano applicazione all’autenticazione delle firme digitali ed elettroniche tutte quelle disposizioni “sostanziali” della legge notarile, la cui ratio ha carattere generale, e prescinde dal tipo di supporto utilizzato (cartaceo o informatico).
4) – Ancorché espressamente riferita solamente all’atto pubblico informatico, deve ritenersi analogicamente applicabile anche all’autenticazione di firme elettroniche la previsione dell’ultima parte del comma 1 dell’art. 52-bis l. not., a norma della quale la firma elettronica può consistere “anche nell'acquisizione digitale della sottoscrizione autografa”. Ciò perché ricorre anche in questo caso la eadem ratio, consistente nella maggior garanzia che dà l’intervento del notaio, rispetto alle altre fattispecie; e d’altra parte – essendo gli accertamenti notarili riguardo all’identità personale del soggetto che sottoscrive in tutto identici nei casi dell’autenticazione e dell’atto pubblico, sarebbe irragionevole una disparità di trattamento tra le due ipotesi. In pratica, le parti (ed eventuali testimoni e fidefacienti) possono apporre la propria sottoscrizione autografa su un supporto cartaceo (contenente il testo della scrittura privata da autenticare), che verrà successivamente “scannerizzato”, e quindi, una volta così trasformato in documento informatico, sottoscritto dal notaio con la propria firma digitale.
Deve quindi ritenersi parzialmente derogata dalla normativa speciale la disciplina contenuta nell’art. 25 del d. lgs. n. 82/2005, che considera, accanto alla firma digitale, unicamente la “firma elettronica qualificata” delle parti. Il minor rigore della normativa notarile sul punto si giustifica, come rileva la Relazione al decreto, “al fine di incentivare l’utilizzo delle tecnologie informatiche da parte della generalità dei cittadini, rendendo così possibile, anche a soggetti che non siano in possesso di firma digitale o altri strumenti qualificati, di sottoscrivere l’atto pubblico informatico. La minore affidabilità delle firme elettroniche non qualificate viene superata dalla funzione del notaio, alla presenza del quale l’atto viene sottoscritto dalle parti”.
A) – TIPOLOGIE DI COPIE AUTENTICHE.
La legge notarile novellata contempla tre diverse tipologie di copie autentiche.
1) – Vi sono innanzitutto le copie autentiche degli atti conservati dal notaio rogante o autenticante, regolate dal nuovo art. 68-ter l. not., come introdotto dal D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 110:
“1.
Il notaio può rilasciare copie su supporto informatico degli atti da lui
conservati, anche se l'originale è stato formato su un supporto analogico.
Parimenti, può rilasciare copie su supporto cartaceo, degli stessi atti, anche
se informatici.
2.
Quando l'uso di un determinato supporto non è prescritto dalla legge o non è
altrimenti regolato, il notaio rilascia le copie degli atti da lui conservati
sul supporto indicato dal richiedente.
3. Il notaio attesta la conformità del documento informatico all'originale o alle copie apponendo la propria firma digitale”.
È, quindi, contemplata sia la copia informatica di originale cartaceo, sia la copia cartacea di originale informatico.
È importante, in entrambi i casi, la prescrizione del secondo comma dell’art. 68-ter l. not.: spetta al richiedente scegliere il tipo di supporto (cartaceo o informatico) sul quale ottenere la copia autentica, e il notaio ha l’obbligo di rilasciare detta copia nel supporto richiestogli.
Rilevante è anche la disposizione dell’art. 68-ter, comma 3, l. not., che autorizza il notaio, con previsione avente portata generale, a rilasciare copie autentiche informatiche non solo di documenti originali, ma anche di copie (copie di copie), a cui deve essere quindi riconosciuta – in presenza di detta autorizzazione legislativa – l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2714, comma 2, c.c.
2) – In secondo luogo, vi sono le copie autentiche di documenti “esibiti al notaio”, disciplinate dal nuovo art. 73 l. not.:
“Il notaio può attestare la conformità all'originale di copie, eseguite su supporto informatico o cartaceo, di documenti formati su qualsiasi supporto ed a lui esibiti in originale o copia conforme”.
La previsione dell’art. 73 riguarda le copie autentiche (cartacee o informatiche) di documenti (formati su qualsiasi supporto, cartaceo o informatico) esibiti al notaio “in originale o copia conforme”, che lo stesso notaio può rilasciare attestandone la conformità all’originale (rectius, al documento esibitogli in originale o in copia conforme).
Si tratta di disposizione che, in deroga alla previsione generale dell’art. 18 del d.p.r. n. 445/2000, consente al notaio di rilasciare copie autentiche non solo di documenti originali, ma anche di copie (certificate) conformi. Ciò in tutti i casi (qualunque sia il supporto su cui è redatto il documento esibito al notaio, e qualunque sia il supporto su cui è redatta la copia autentica dallo stesso rilasciata).
Anche per questa categoria di copie deve ritenersi valido il principio – sancìto dall’art. 68-ter, comma 2, l. not. – che obbliga il notaio a rilasciare la copia autentica nel supporto scelto dal richiedente (in tal senso la Relazione al decreto legislativo, nel commento all’art. 73).
3) – Vi sono, infine, le copie autentiche di documenti cartacei o informatici, da allegarsi ad atti notarili rispettivamente informatici o cartacei, regolate dal nuovo art. 57-bis l. not. (da considerarsi come “sottospecie” dell’ipotesi regolata dall’art. 73 l. not., copie autentiche di documenti “esibiti” al notaio e dallo stesso non conservati):
“1.
Quando deve essere allegato un documento redatto su supporto cartaceo ad un documento
informatico, il notaio ne allega copia informatica, certificata conforme ai
sensi dell’articolo 22, commi 1 e 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n.
82.
2. Quando un documento informatico deve essere allegato ad un atto pubblico o ad una scrittura privata da autenticare, redatti su supporto cartaceo, il notaio ne allega copia conforme ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, formata sullo stesso supporto”.
La disciplina di queste tre tipologie di copie autentiche è sostanzialmente corrispondente: identica è, in tutti e tre i casi, la possibilità di formare senza limitazioni copie informatiche di documenti cartacei e viceversa; identica è la facoltà di scelta del richiedente del supporto da utilizzarsi per la copia, quando un vincolo non sia previsto dalla legge; in tutti e tre i casi la copia informatica deve essere formata mediante l’impiego della firma digitale del notaio. Dettando tre distinte disposizioni, il legislatore non ha voluto pertanto assoggettare le copie autentiche ad una disciplina differente, ma unicamente ribadire la possibilità di impiego delle nuove tecnologie in tutti i casi in cui ciò sia astrattamente possibile.
B) – COPIA INFORMATICA DI DOCUMENTO CARTACEO.
Trova in questo caso applicazione la previsione del comma 3 dell’art. 22, a norma del quale “le copie su supporto informatico di documenti formati in origine su altro tipo di supporto sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono tratte, se la loro conformità all'originale è assicurata” dall’attestazione di conformità resa dal notaio, mediante l’utilizzo della propria firma digitale. Quest’ultima regola è ribadita dall’art. 68-ter, comma 3, l. not., che richiede necessariamente l’utilizzo della firma digitale del notaio nell’attività di rilascio di copie autentiche informatiche.
Vengono inoltre i considerazione i commi 3, 4 e 6 dell’art. 23 del d. lgs. n. 82/2005:
“3.
I documenti informatici contenenti copia o riproduzione di atti pubblici,
scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti
amministrativi di ogni tipo, spediti o rilasciati dai depositari pubblici
autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli
articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi è apposta o associata, da
parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma
elettronica qualificata.
4.
Le copie su supporto informatico di qualsiasi tipologia di documenti analogici
originali, formati in origine su supporto cartaceo o su altro supporto non
informatico, sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali da cui sono
tratte se la loro conformità all'originale è assicurata da chi lo detiene
mediante l'utilizzo della propria firma digitale e nel rispetto delle regole
tecniche di cui all'articolo 71.
6. La spedizione o il rilascio di copie di atti e documenti di cui al comma 3, esonera dalla produzione e dalla esibizione dell'originale formato su supporto cartaceo quando richieste ad ogni effetto di legge”.
Presupposto, quindi, per la piena efficacia probatoria della copia autentica redatta su supporto informatico è, a norma dell’art. 23, comma 3, del d. lgs. n. 82/2005, che essa sia spedita dai depositari pubblici autorizzati “e dai pubblici ufficiali”, mediante impiego della propria firma digitale (per il notaio, come si è già visto, è escluso l’impiego di altra firma elettronica qualificata). La disposizione, nonostante le apparenze, deroga solo in parte al disposto dell’art. 2714 c.c., che ricollega l’efficacia di prova privilegiata unicamente alla copia spedita dal depositario pubblico autorizzato. In realtà, un’interpretazione sistematica ed assiologica, che tenga conto della necessità di assicurare la collazione con l’originale tenuto da un pubblico depositario (a norma dell’art. 746 c.p.c.), depone nel senso che una tale efficacia probatoria sia ipotizzabile solo laddove il documento originale sia custodito da un pubblico depositario italiano, ancorché il soggetto che ha rilasciato la copia sia un pubblico ufficiale diverso. È ipotizzabile, a titolo esemplificativo, che la procura sia ricevuta su supporto cartaceo dal notaio Tizio, che ne rilascia copia su supporto informatico, e che successivamente il notaio Caio rilascia una copia cartacea di detta copia informatica: in questo caso l’esigenza fondamentale di assicurare la collazione con l’originale detenuto da un pubblico depositario, ancorché diverso dal notaio che ha spedito la copia, è rispettata, e quindi la copia rilasciata dal notaio Caio ha comunque l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2714 c.c., come risulta espressamente dall’art. 23, comma 3, del d. lgs. n. 82/2005.
Con riferimento al contenuto della certificazione di copia conforme, si applica l’art. 18, comma 2, del d.p.r. n. 445/2000, a norma del quale la copia autentica “consiste nell'attestazione di conformità con l'originale scritta alla fine della copia, a cura del pubblico ufficiale autorizzato”. Quest’ultimo deve altresì indicare la data e il luogo del rilascio, il proprio nome e cognome e la qualifica rivestita. Non si applicano invece le ulteriori previsioni dell’art. 18 suddetto, che presuppongono la natura cartacea del supporto su cui è redatta la copia (indicazione del numero dei fogli impiegati, apposizione della firma del pubblico ufficiale “per esteso” e del timbro dell'ufficio, apposizione della firma a margine di ciascun foglio intermedio).
B) – COPIA CARTACEA DI DOCUMENTO INFORMATICO.
La disciplina relativa è dettata dall’art. 23 del d. lgs. n. 82/2005, comma 2 e, soprattutto, comma 2-bis:
“2.
I duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se
riprodotti su diversi tipi di supporto, sono validi a tutti gli effetti di
legge, se conformi alle vigenti regole tecniche.
2-bis. Le copie su supporto cartaceo di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, sostituiscono ad ogni effetto di legge l'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Con riferimento al contenuto della certificazione di copia conforme, viene innanzitutto in considerazione l’art. 18, comma 2, del d.p.r. n. 445/2000, a norma del quale la copia autentica “consiste nell'attestazione di conformità con l'originale scritta alla fine della copia, a cura del pubblico ufficiale autorizzato, il quale deve altresì indicare la data e il luogo del rilascio, il numero dei fogli impiegati, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell'ufficio. Se la copia dell'atto o documento consta di più fogli il pubblico ufficiale appone la propria firma a margine di ciascun foglio intermedio”.
La suddetta disciplina è però integrata dalla previsione dell’art. 23, comma 2-bis, del d. lgs. n. 82/2005: nell’attestazione di conformità della copia autentica al documento da cui è tratta, il notaio deve quindi, per espressa disposizione di legge, attestare “la conformità all’originale in tutte le sue componenti”.
Quest’ultima disposizione merita una ulteriore riflessione. Tra le “componenti” del documento informatico vi è la firma elettronica o digitale del relativo autore; ciò significa che perché sia conforme all’originale documento informatico, la copia autentica deve riportare anche gli estremi identificativi del certificato di firma, corrispondente alla firma elettronica o digitale suddetta, e più precisamente deve identificare il titolare della firma digitale con nome, cognome e qualifica, e indicare il termine di validità del certificato di firma suddetto. Il notaio che rilascia la copia autentica deve quindi verificare la validità del certificato di firma utilizzato dal soggetto che ha firmato elettronicamente il documento originale (mediante uno dei software disponibili a tal fine, ad es. tramite il sito internet http://vol.ca.notariato.it/). Può dirsi, quindi, che l’autenticazione della copia comprende in sé anche il riferimento alla firma elettronica o digitale dell’autore del documento originale: ciò comporta quanto meno l’opportunità di inserire nella certificazione di copia conforme l’attestazione della validità del certificato di firma utilizzato, in applicazione analogica dell’art. 47-ter, comma 3, l. not.
C) – NON NECESSITÀ DI ANNOTAZIONE NEL REPERTORIO DELLA COPIA AUTENTICA.
Ai fini della valutazione della necessità, o meno, dell’annotazione della copia autentica nel repertorio degli atti tra vivi, occorre effettuare alcune precisazioni preliminari.
L’annotazione nel repertorio è stata prevista dall’art. 2 del R.D.L. 14 luglio 1937, n. 1666 per le copie autentiche di documenti esibiti al notaio: si trattava, evidentemente, di una cautela a garanzia ulteriore della veridicità della copia e della relativa data, in considerazione del fatto che l’originale non era custodito dal notaio che aveva rilasciato la copia. Nessuna annotazione nel repertorio è invece richiesta riguardo alle copie autentiche degli atti conservati nella raccolta degli atti del notaio.
Successivamente, con la legge n. 15 del 1968, la facoltà di rilasciare copie autentiche di documenti “esibiti” è stata estesa a diverse categorie di pubblici ufficiali, alcuni dei quali erano sprovvisti del repertorio. Conseguentemente, l'art. 1 della legge 11 maggio 1971, n. 390, ha escluso l’obbligo di annotare le suddette copie nel repertorio (abrogando implicitamente l’art. 2 del r.d.l. n. 1666/1937). In data ancora successiva, l’art. 18 del d.p.r. n. 445/2000 ha sostituito le previsioni della legge n. 15/1968, senza peraltro abrogare la legge n. 390/1971, che è quindi ancora in vigore.
Con il d. lgs. n. 110/2010 è stato introdotto il nuovo art. 73 l. not., che – a parte estendere la possibilità di rilasciare copie conformi, a prescindere dal supporto utilizzato e dal fatto che il documento esibito sia un originale o una copia conforme – si affianca quindi all’art. 18 del d.p.r. n. 445/2000: le due norme non regolano fattispecie diverse, né sul piano soggettivo (il notaio è autorizzato in via generale al rilascio di copie) né sul piano oggettivo (in entrambi i casi al notaio è consentito di rilasciare copie di qualsiasi documento allo stesso esibito). D’altra parte, sia l’art. 73 l. not. che l’art. 18 del d.p.r. n. 445/2000 non disciplinano soltanto le copie autentiche da prodursi in un procedimento amministrativo, ma in generale le copie autentiche. È quindi certo che la previsione dell’art. 1 della legge n. 390/1971 è tuttora applicabile alle copie autentiche di documenti esibiti al notaio (oggi regolate dall’art. 73 l. not.), e che conseguentemente dette copie non devono essere annotate nel repertorio degli atti tra vivi.
È, infine, del tutto indifferente che il supporto su cui è redatto l’originale o la copia autentica sia un documento informatico piuttosto che cartaceo: la disciplina dei due tipi di documento è, per quanto concerne la disciplina dell’annotazione nel repertorio, totalmente identica (cfr. l’art. 62 l. not., come modificato dal d. lgs. n. 110/2010).
Cfr. anche, sull’argomento, CHIBBARO-MOLINARI, Dal documento informatico alla carta e viceversa: la copia conforme rivisitata, in FederNotizie, 2010, 3, p. 101; NASTRI, Copie autentiche e documento informatico, in Studi e materiali, 2007, 1, p. 463.
1) – A norma del nuovo art. 57-bis l. not.:
“1.
Quando deve essere allegato un documento redatto su supporto cartaceo ad un
documento informatico, il notaio ne allega copia informatica, certificata
conforme ai sensi dell’articolo 22, commi 1 e 3, del decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82.
2. Quando un documento informatico deve essere allegato ad un atto pubblico o ad una scrittura privata da autenticare, redatti su supporto cartaceo, il notaio ne allega copia conforme ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, formata sullo stesso supporto”.
I due commi dell’art. 57-bis disciplinano, pertanto, le due ipotesi simmetriche di atto notarile informatico a cui deve essere allegato un documento redatto su supporto cartaceo, e di atto notarile su supporto cartaceo a cui deve essere allegato un documento informatico.
Nel primo caso, il notaio allega all’atto notarile informatico copia informatica certificata conforme, a norma dell’art. 22, commi 1 e 3, del d. lgs. n. 82/2005.
Nel secondo caso il notaio allega all’atto notarile cartaceo copia conforme, sempre cartacea, del documento informatico, a norma dell’art. 23 del d. lgs. n. 82/2005.
Pertanto, una volta che sia stata confezionata secondo la disciplina sopra descritta la copia autentica (su supporto cartaceo o informatico, rispettivamente nelle ipotesi regolate dai commi primo e secondo dell’art. 57-bis l. not.), nessun adempimento ulteriore deve essere osservato da parte del notaio.
Infine, come già rilevato nel commento alla disciplina delle copie autentiche, non è necessaria alcuna annotazione della copia autentica in oggetto nel repertorio degli atti tra vivi.
1) – a norma del nuovo art. 47-ter, comma 1, l. not.:
“1. Le disposizioni per la formazione e la conservazione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate si applicano, in quanto compatibili, anche ai documenti informatici di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-bis”.
Pertanto:
a) – quanto all’atto pubblico, valgono in quanto compatibili le previsioni dell’art. 61, comma 1, l. not., oltre alle previsioni speciali infra commentate;
b) – quanto alla scrittura privata autenticata, anche in caso di autenticazione di firme elettroniche e digitali, il documento informatico contenente la scrittura privata autenticata deve essere conservato nella raccolta degli atti del notaio autenticante, quando si tratti di scritture private soggette a pubblicità immobiliare o commerciale (art. 72, comma 3, l. not., come modificato dalla legge n. 246/2005), ovvero su richiesta delle parti.
2) – a norma del nuovo art. 62-bis l. not.:
“1.
Il notaio per la conservazione degli atti di cui agli articoli 61 e 72, terzo
comma, se informatici, si avvale della struttura predisposta e gestita dal
Consiglio nazionale del notariato nel rispetto dei principi di cui all’articolo
60 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Gli atti di cui agli articoli
61 e 72, terzo comma conservati nella suddetta struttura costituiscono ad ogni
effetto di legge originali informatici da cui possono essere tratti duplicati e
copie.
2.
Il Consiglio nazionale del notariato svolge l'attività di cui al comma 1 nel
rispetto dei principi di cui agli articoli 12 e 50 del decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82 e delle regole tecniche di cui all’articolo 71 dello stesso
decreto e predispone strumenti tecnici idonei a consentire, nei soli casi
previsti dalla legge, l'accesso ai documenti conservati nella struttura di cui
al comma 1.
3. Le spese per il funzionamento della struttura sono poste a carico dei notai e sono ripartite secondo i criteri determinati dal Consiglio nazionale del notariato, escluso ogni onere per lo Stato”.
Come risulta dalla Relazione al decreto legislativo, la scelta che impone al notaio di avvalersi, per la conservazione degli atti informatici, di una struttura realizzata a cura del Consiglio nazionale del notariato, ente pubblico nazionale, “è dettata dall’esigenza di garantire la massima sicurezza nella conservazione dei dati, demandando ad un soggetto pubblico la predisposizione e la gestione delle strutture necessarie, essendo risultata evidente la difficoltà, per i singoli notai, di dotarsi di una struttura autonoma che dia uguali garanzie in conformità alla normativa vigente”.
A norma dell’art. 62-bis, comma 1, secondo periodo, gli atti pubblici e autenticati conservati nella suddetta struttura “costituiscono ad ogni effetto di legge originali informatici da cui possono essere tratti duplicati e copie”. In più, a norma del successivo secondo comma, il Consiglio nazionale del notariato deve predisporre “strumenti tecnici idonei a consentire, nei soli casi previsti dalla legge, l'accesso ai documenti conservati nella struttura”. Il combinato disposto delle due previsioni deve essere interpretato nel senso che l’accesso ai documenti deve essere consentito al solo notaio rogante o autenticante, titolare dell’obbligo di custodia a norma degli artt. 61 e 72, comma 3, l. not. (come anche risulta dal nuovo art. 67, comma 1, l. not.), e da considerarsi unico “pubblico depositario” dei suddetti originali informatici (la legge dice infatti che “Il notaio per la conservazione degli atti … se informatici, si avvale della struttura” suddetta): quindi le copie da egli rilasciate devono considerarsi a tutti gli effetti munite della speciale efficacia probatoria prevista dall’art. 2714 c.c.
Oltre a ciò, dal primo comma dell’art. 62-bis risulta che soltanto dall’originale informatico custodito presso la struttura suddescritta possono essere tratti duplicati e copie “ad ogni effetto di legge”: ciò, come spiega la Relazione al decreto legislativo, “al fine di introdurre una regola nuova e certa in ordine all’identificazione dell’originale informatico dell’atto pubblico redatto e delle scritture private autenticate dal notaio”.
3) – A norma del nuovo art. 62-ter l. not.:
“1.
Nella struttura di cui al comma 1 dell'articolo 62-bis il notaio conserva anche
le copie informatiche degli atti rogati o autenticati su supporto cartaceo, con
l'indicazione degli estremi delle annotazioni di cui all’articolo 23 del regio
decreto-legge 23 ottobre 1924, n. 1737, convertito dalla legge 18 marzo 1026,
n. 562.
2. Il notaio attesta la conformità all'originale delle copie di cui al comma 1”.
La norma – che impone di custodire presso l’apposita struttura anche le copie informatiche degli atti notarili cartacei – è evidentemente finalizzata a garantire “completezza” all’archivio informatico degli atti redatti o autenticati dal notaio. Deve, peraltro, ritenersi che detta disposizione operi soltanto per gli atti ricevuti o autenticati a partire dall’entrata in vigore dei nuovi obblighi di conservazione.
4) – a norma del nuovo art. 67, comma 1, l. not.:
“1. Il notaro, finché risiede nel distretto dello stesso Consiglio notarile, e continua nell'esercizio del notariato, ha egli solo il diritto di permettere l'ispezione e la lettura, di rilasciare le copie, gli estratti e i certificati degli atti da lui ricevuti, o presso di lui depositati, ivi compresi quelli conservati presso la struttura di cui all'articolo 62-bis”.
La norma ribadisce quanto già desunto dall’art. 62-bis l. not.: solo il notaio rogante o autenticante può accedere ai documenti informatici dallo stesso ricevuti o autenticati, custoditi presso l’apposita struttura, in quanto egli soltanto è il pubblico depositario autorizzato a consentirne ispezione e lettura, ed a rilasciarne copie, estratti o certificati.
5) – Il nuovo art. 38, ultimo comma, l. not., dispone quanto segue:
“Il capo dell'archivio notarile, avuta notizia della morte del notaro, richiede al Consiglio nazionale del notariato il trasferimento immediato agli archivi notarili degli atti, dei registri e dei repertori dallo stesso conservati nella struttura di cui all'articolo 62-bis. Il Consiglio nazionale del notariato, accertato il corretto trasferimento dei dati, provvede alla loro cancellazione”.
Anche per gli archivi notarili, a cui deve essere trasferito l’archivio informatico degli atti notarili dopo la morte del notaio, vale la previsione dell’art. 62-bis, comma 1, l. not., che identifica gli originali informatici come gli unici documenti da cui possono essere tratti copie e duplicati ad ogni effetto di legge. Ciò non vale invece per gli atti notarili cartacei di cui sia stata eseguita copia informatica a norma dell’art. 62-ter l. not.
6) – A norma del nuovo art. 62-quater l. not.:
“1.
In caso di perdita degli atti, dei repertori e dei registri informatici, alla
cui conservazione e tenuta è obbligato il notaio, egli provvede a chiederne la
ricostruzione con ricorso al presidente del tribunale competente, ai sensi del
regio decreto-legge 15 novembre 1925, n. 2071.
2.
La ricostruzione degli atti di cui al comma 1 può essere, altresì, richiesta da
chiunque ne ha interesse.
3.
Ai fini della ricostruzione possono essere utilizzate anche altre registrazioni
informatiche conservate presso lo stesso notaio che ha formato l'atto ovvero
presso pubblici registri ovvero, in mancanza, una copia autentica dello stesso
da chiunque posseduta.
4. Non si fa luogo al procedimento di ricostruzione se è disponibile una copia di sicurezza eseguita nell'ambito delle procedure di conservazione cui all'articolo 68-bis, comma 1”.
La previsione del necessario ricorso al presidente del tribunale competente, ai fini della procedura di ricostruzione degli atti, registri e repertori informatici, si giustifica, secondo la Relazione al decreto, trattandosi di materia che incide su diritti soggettivi e di documenti aventi valore negoziale. Previsione particolare a questo àmbito è l’esclusione del procedimento di ricostruzione nei casi in cui esista una copia di sicurezza.
7) – a norma del nuovo art. 66-bis l. not.:
“1.
Tutti i repertori e i registri dei quali è obbligatoria la tenuta per il notaio
sono formati e conservati su supporto informatico, nel rispetto dei principi di
cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
2.
Il notaio provvede alla tenuta dei repertori e dei registri di cui al comma 1
avvalendosi della struttura di cui all'articolo 62-bis.
3. Con uno o più decreti non aventi natura regolamentare del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per i beni e le attività culturali, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro per la semplificazione normativa, sentiti il Consiglio nazionale del notariato ed il Garante per la protezione dei dati personali e la DigitPA, sono determinate le regole tecniche per la formazione e la conservazione dei repertori, per il controllo periodico del repertorio di cui all’articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e per la ricerca nei repertori stessi delle annotazioni compiute dal notaio”.
Viene quindi, in primo luogo, posto l’obbligo a carico del notaio di tenere repertori e registri, la cui tenuta è obbligatoria, esclusivamente su supporto informatico. La conservazione nell’apposita struttura, da parte del notaio, riguarda quindi anche i suddetti repertori e registri informatici.
Si tratta di obbligo che non è ancora in vigore, ma che diverrà tale solo dopo l’emanazione dei decreti attuativi previsti dall’art. 66-bis, comma 3, l. not., che dovranno anche assicurare il controllo da parte degli uffici competenti dell’Agenzia delle entrate dei repertori informatici, a norma dell’art. 68 del d.p.r. n. 131/1986.
Fino ad allora, il notaio continuerà ad annotare nei repertori cartacei tutti i propri atti, compresi quelli informatici.
8) – a norma del nuovo art. 66-ter l. not.:
“La tenuta del repertorio informatico, sostituisce gli indici previsti dall'articolo 62, comma sesto”.
Si tratta di norma la cui ratio appare evidente, posto che le funzionalità dello strumento informatico consentono agevolmente la ricerca nei repertori informatizzati, rendendo superflua la tenuta di un separato indice.
Il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110 (in G.U. n. 166 del 19.7.2010), in vigore dal 3 agosto 2010, ha modificato l’art. 62 della legge notarile (n. 89 del 1913), stabilendo che il notaio – obbligato a tenere i repertori per gli atti tra vivi e per gli atti di ultima volontà – deve annotare in detti repertori non più “giornalmente”, bensì “entro il giorno successivo”, “tutti gli atti ricevuti rispettivamente tra vivi e di ultima volontà, compresi tra i primi quelli rilasciati in originale, le autenticazioni apposte agli atti privati, e i protesti cambiari”.
La modifica è stata introdotta, come spiega la Relazione al decreto legislativo, in considerazione del fatto che, dopo l’introduzione dell’atto notarile informatico, “la marcatura temporale di un atto informatico potrebbe impedire al notaio di adempiere nello stesso giorno l’obbligo di annotarlo a repertorio”. In realtà la modifica è stata introdotta in modo generalizzato, e riguarda tutti gli atti notarili (pubblici e autenticati, tra vivi e di ultima volontà, protesti cambiari): per tutti i suddetti atti il notaio dovrà quindi eseguire l’annotazione repertoriale entro il giorno successivo a quello del ricevimento o dell’autenticazione.
Dal repertorio risulterà, in ogni caso, non la data in cui materialmente il notaio ha effettuato la relativa annotazione, ma solamente la data dell’atto notarile (art. 62, comma 2, n. 2, l. not.).
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha apportato alcune modifiche, in particolare, all’art. 19 del suddetto decreto, in materia di aggiornamento del catasto e rapporto con la pubblicità immobiliare.
In particolare, oltre a meglio coordinare le attribuzioni dell’Agenzia del territorio con quelle dei Comuni, e fare salva la competenza legislativa delle regioni a statuto speciale in cui vigono i libri fondiari (prevedendo, al comma 16, che le regioni a statuto speciale e le province autonome adottino disposizioni al fine di assicurare il necessario coordinamento con l’ordinamento tavolare), è stato modificato il comma 14, capoverso 1-bis, inserendo dopo le parole: «già esistenti» le seguenti: «, ad esclusione dei diritti reali di garanzia,» e inserendo dopo le parole «dei dati catastali e delle planimetrie» le seguenti: «, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale».
Sulle tematiche a cui ha dato origine l’art. 19 del d.l. n. 78/2010, con le modificazioni apportate dalla legge n. 122/2010, cfr. PETRELLI, Conformità catastale e pubblicità immobiliare. L’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, Giuffré, Milano, 2010.
Con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio in data 16 settembre 2010 (Pubblicato sul sito internet dell'Agenzia del territorio il 16.9.2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), in vigore dal 17 settembre 2010, è stata dettata la disciplina delle modalità di consultazione telematica delle planimetrie catastali da parte dei soggetti abilitati alla presentazione telematica degli atti di aggiornamento catastale.
Le suddette disposizioni si applicano alla consultazione delle planimetrie catastali delle unità immobiliari urbane, con esclusione di quelle relative agli immobili censiti nelle categorie B/3 (prigioni e riformatori), D/5 (istituti di credito, cambio ed assicurazione), E/5 (fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze); inoltre non è in ogni caso consentito l’utilizzo delle planimetrie degli immobili che, ancorché non censiti nelle categorie suddette, hanno la medesima destinazione d’uso e di quelle relative ad obiettivi sensibili per la sicurezza dello Stato. Infine, non sono consultabili le planimetrie dichiarate non conformi dagli Uffici, in quanto non redatte sulla base delle regole catastali (art. 1).
L’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del Territorio (SISTER) per la consultazione telematica delle planimetrie catastali è consentito – oltre che ai soggetti abilitati alla presentazione telematica degli atti tecnici di aggiornamento del catasto dei fabbricati – ai notai, nonché ai segretari o delegati della pubblica amministrazione abilitati all’utilizzo delle procedure telematiche (c.d. modello unico) (art. 2).
A norma dell’art. 3, la consultazione telematica della planimetria avviene previa sottoscrizione, con firma digitale, di apposita richiesta attraverso l’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del Territorio; in tale circostanza il soggetto richiedente deve dichiarare – in forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio – di essere professionista abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale, incaricato da parte di uno dei soggetti titolari di diritti reali sull’immobile, della redazione di atti tecnici di aggiornamento del catasto edilizio urbano, ovvero di adempimenti connessi alla stipula di atti concernenti l’immobile, nonché dall’autorità giudiziaria (in questo caso l’incarico professionale è conservato, in originale, dal soggetto richiedente, per un periodo di 5 anni); ovvero deve dichiarare di essere notaio od altro pubblico ufficiale incaricato della stipula di atti concernenti l’immobile (in questi ultimi casi non è prescritta la documentazione o conservazione dell’incarico professionale).
I dati acquisiti per via telematica, in relazione all’incarico ricevuto, possono essere utilizzati esclusivamente per i fini consentiti e nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di riutilizzazione commerciale e di protezione dei dati personali (art. 4). L’Agenzia del Territorio ha facoltà di effettuare i controlli volti a verificare l’osservanza degli obblighi suddescritti (art. 6, comma 2).
Come risulta dal Comunicato del Direttore dell’Agenzia del Territorio in data 19 ottobre 2010 (pubblicato sul sito internet dell’Agenzia del territorio in data 19.10.2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), il servizio di consultazione telematica delle planimetrie catastali è stato attivato con decorrenza dal 20 ottobre 2010.
L’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), in collegamento con la tabella 1, allegata al medesimo decreto, ha prorogato al 31 marzo 2011 il termine, previsto dai commi 8, 9 e 10 dell’art. 19 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, entro il quale i titolari di diritti reali sugli immobili che non risultano dichiarati in Catasto, ovvero che siano stati oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato una variazione di consistenza ovvero di destinazione non dichiarata in Catasto, devono presentare la relativa dichiarazione di aggiornamento catastale.
Con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio in data 25 giugno 2010 (in G.U. n. 153 del 3.7.2010), in vigore dal 4 luglio 2010, è stato approvato il Regolamento di attuazione dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), della legge 18 giugno 2009, n. 69, relativo alla determinazione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza degli uffici dell'Agenzia del territorio.
La nuova disciplina sostituisce, pertanto, quella già contenuta nella Determinazione dell’Agenzia del Territorio del 27 settembre 2004 (in G.U. n. 231 del giorno 1 ottobre 2004) con cui era stato approvato il Regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della L. 7 agosto 1990, n. 241.
I procedimenti – riguardanti, tra l’altro, il servizio di pubblicità immobiliare e quello catastale – devono concludersi nel termine stabilito, per ciascuno di essi, nelle tabelle allegate al provvedimento, che costituiscono parte integrante del regolamento e che contengono, per ciascun provvedimento, l'indicazione dell'unità organizzativa responsabile del procedimento e il riferimento delle principali fonti normative (art. 1, comma 2).
Per quanto riguarda, in particolare, i servizi di pubblicità immobiliare e catastale, si evidenziano, tra gli altri termini:
- il termine per l’accettazione delle formalità ipotecarie, che deve aver luogo nello stesso giorno della richiesta;
- il termine per la registrazione delle comunicazioni di cancellazione semplificata delle ipoteche, stabilito in due giorni dalla comunicazione;
- il termine di un giorno per la cancellazione semplificata delle ipoteche;
- il termine di novanta giorni per procedere all’annotazione delle formalità ipotecarie (unica eccezione, il termine di un giorno per l’annotazione di permanenza dell’ipoteca), accompagnato dalla previsione di sospensione del termine stesso per il periodo intercorrente tra la conferma della liquidazione e la ricezione del versamento, e comunque per un tempo non superiore a novanta giorni;
- il termine per il rilascio delle certificazioni ipotecarie, stabilito in sessanta giorni per le certificazione infraventennali, e in novanta giorni per le certificazioni ventennali e ultraventennali;
- il termine di tre giorni per il rilascio di singole copie di formalità e titoli;
- il termine di un giorno per l’ispezione dei registri immobiliari, e per il rilascio dell’elenco dei soggetti presenti nelle formalità di un determinato giorno;
- il termine per la rettifica di errori nella banca dati catastale su istanza di parte, fissato in sessanta giorni, che sono ridotti a quattordici giorni nei casi di presentazione telematica;
- il termine per l’esecuzione delle domande di voltura catastale, fissato in trenta giorni, ridotto a cinque giorni in caso di presentazione su supporto informatico.
In caso di mancata inclusione di un procedimento nell'allegata tabella n. 1 o di mancanza di termini di legge, si applica il termine di trenta giorni fissato dall’art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Con Provvedimento interdirigenziale del 21 dicembre 2010 (in G.U. n. 302 del 28.12.2010) è stato attivato, a titolo sperimentale, il regime transitorio di facoltatività della trasmissione, per via telematica, del titolo da presentare al conservatore dei registri immobiliari, agli effetti dell’art. 2878 c.c., nell'ambito delle procedure telematiche (c.d. adempimento unico informatico) di cui all'art. 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463.
A decorrere dal 29 dicembre 2010, i notai possono trasmettere per via telematica il titolo per gli atti da presentare al conservatore presso gli uffici di Bologna, Firenze, Lecce e Palermo. La suddetta trasmissione telematica del titolo è quindi, al momento, facoltativa. Con successivo provvedimento del direttore dell'Agenzia del territorio di concerto con il Ministero della giustizia sono stabiliti modalità e termini per l'estensione della trasmissione telematica agli atti notarili da presentare su tutto il territorio nazionale (art. 1, commi 3 e 4).
La trasmissione telematica riguarda la copia autenticata di un atto notarile integralmente predisposta con strumenti informatici e l'impiego della firma digitale prevista dall'art. 23-bis della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (art. 1, comma 2). Detta copia informatica sostituisce in toto la copia autentica da prodursi al conservatore a norma dell’art. 2658 c.c., ed anche la copia da prodursi ai fini della voltura catastale (che avviene automaticamente, a seguito della trascrizione dell’atto).
Agli atti trasmessi per via telematica ai sensi del provvedimento in esame si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 3-bis e seguenti del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, e al decreto del Presidente della Repubblica 18 agosto 2000, n. 308 (art. 2).
L’art. 3 del Provvedimento regola, durante il regime transitorio, l’ordine di presentazione delle formalità integralmente trasmesse per via telematica, agli effetti dell'art. 2678 c.c. e dell’art. 7, comma 3, del provvedimento interdirigenziale 6 dicembre 2006. Più precisamente, si tiene conto del relativo ordine di ricezione telematica, e su tale base le formalità si intendono presentate:
a) – nello stesso giorno di trasmissione, di seguito a tutte le formalità fisicamente presentate allo sportello di accettazione, se la trasmissione è stata effettuata fino al termine dell'orario di apertura al pubblico;
b) – nel giorno successivo, di seguito a tutte le formalità fisicamente presentate allo sportello di accettazione, se la trasmissione è stata effettuata dopo il termine dell'orario di apertura al pubblico.
La regola che prevede lo spostamento “di seguito a tutte le formalità fisicamente presentate allo sportello di accettazione” determina, peraltro, un potenziale pregiudizio per chi trasmette telematicamente il titolo, rispetto a chi invece lo consegna allo sportello, nell’àmbito dell’orario di apertura al pubblico. Tra coloro che, invece, trasmettono il titolo telematicamente, vale l’ordine di ricezione quale registrato dal sistema telematico (art. 3, comma 2). Il tutto in conformità a quanto già disposto dall’art. 7 del Provvedimento del 6 dicembre 2006.
Per tutte le formalità trasmesse per via telematica ai sensi del presente provvedimento, il certificato di eseguita formalità è sottoscritto dal conservatore ovvero da suo delegato con firma digitale che ne attesta le relative funzioni e viene restituito al richiedente tramite il servizio telematico (art. 4).
in caso di irregolare funzionamento del servizio telematico, l'Agenzia assicura l'eseguibilità degli adempimenti mediante presentazione di copia conforme del titolo su supporto cartaceo, nel rispetto di quanto previsto dal medesimo decreto interdirigenziale, nonché la restituzione del certificato di eseguita formalità mediante consegna del secondo originale della nota, formato su supporto cartaceo (art. 5).
Sono, infine, approvate le specifiche tecniche per l'inserimento della copia digitale del titolo nel file da trasmettere per gli adempimenti in materia di registrazione, trascrizione, iscrizione e voltura, nonché le specifiche tecniche concernenti il rilascio, per via telematica, del certificato di eseguita formalità (art. 6, e allegati al provvedimento).
Il provvedimento in oggetto fa seguito, sul punto, al Provvedimento interdirigenziale in data 6 dicembre 2006 (in Suppl. ord. n. 232 alla G.U. n. 288 del 12.12.2006) è stata data attuazione all'art. 1, commi 3 e 4, del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito in legge 11 marzo 2006 n. 81 (su di esso, per un’illustrazione in particolare delle norme riguardanti la trasmissione telematica del titolo, v. la Rassegna relativa al secondo semestre 2006, in http://www.gaetanopetrelli.it).
A) – PREMESSA.
Il D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), ha inserito nel testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) il nuovo art. 40-bis, in tema di cancellazione semplificata delle ipoteche.
Si riporta di seguito il testo integrale dell’articolo:
“Art.
40-bis. - Cancellazione delle ipoteche.
1.
Ai fini di cui all'articolo 2878 del codice civile e in deroga all'articolo
2847 del codice civile, l'ipoteca iscritta a garanzia di obbligazioni derivanti
da contratto di mutuo stipulato o accollato a seguito di frazionamento, anche
ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 ancorché annotata su
titoli cambiari, si estingue automaticamente alla data di estinzione
dell'obbligazione garantita.
2.
Il creditore rilascia al debitore quietanza attestante la data di estinzione
dell'obbligazione e trasmette al conservatore la relativa comunicazione entro
trenta giorni dalla stessa data, senza alcun onere per il debitore e secondo le
modalità determinate dall'Agenzia del territorio.
3.
L'estinzione non si verifica se il creditore, ricorrendo un giustificato motivo
ostativo, comunica all'Agenzia del territorio e al debitore, entro il termine
di cui al comma 2 e con le modalità previste dal codice civile per la
rinnovazione dell'ipoteca, che l'ipoteca permane. In tal caso l'Agenzia, entro
il giorno successivo al ricevimento della dichiarazione, procede
all'annotazione in margine all'iscrizione dell'ipoteca e fino a tale momento
rende comunque conoscibile ai terzi richiedenti la comunicazione di cui al
presente comma.
4.
Decorso il termine di cui al comma 2 il conservatore, accertata la presenza
della comunicazione di cui al medesimo comma e in mancanza della comunicazione
di cui al comma 3, procede d'ufficio alla cancellazione dell'ipoteca entro il
giorno successivo e fino all'avvenuta cancellazione rende comunque conoscibile
ai terzi richiedenti la comunicazione di cui al comma 2.
5.
Per gli atti previsti dal presente articolo non è necessaria l'autentica
notarile.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, nei casi e alle condizioni ivi previsti, anche ai finanziamenti concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti”.
Il D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010) ha peraltro apportato alcune modifiche ed integrazioni al suddetto d. lgs. n. 141/2010, di seguito descritte.
B) – ABROGAZIONE ESPRESSA DELLE NORME DEL D.L. N. 7/2007 – APPLICAZIONE DELLA NUOVA DISCIPLINA AI SOLI MUTUI FONDIARI.
Il nuovo art. 6, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, dichiara espressamente abrogati, tra gli altri, l’art. 13, commi 8-sexies, 8-septies, 8-octies, 8-novies, 8-decies, 8-undecies, 8-quaterdecies del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 (c.d. decreto Bersani-bis), che disciplinava l’istituto della c.d. cancellazione semplificata delle ipoteche. Ciò in ragione del fatto che la materia è ora interamente disciplinata dal nuovo art. 40-bis del t.u.b. (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385), la cui applicazione è peraltro circoscritta ai soli mutui fondiari (ed, eccezionalmente, ai mutui concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti); e che si rendeva opportuna una abrogazione espressa al fine di eliminare qualsiasi dubbio sulla abrogazione implicita della disciplina preesistente, peraltro già desumibile in via interpretativa (abrogazione implicita, quindi, inizialmente a decorrere dal 3 dicembre 2010, come confermato nella Relazione al d. lgs. n. 218/2010).
C) – ENTRATA IN VIGORE DELL’ART. 40-BIS T.U.B. – DECORRENZA DELL’ABROGAZIONE.
L'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010 ha sostituito il comma 2 dell'art. 6 del d. lgs. n. 141/2010: l’originaria previsione dell'entrata in vigore delle norme, contenute nel titolo II del medesimo d. lgs. n. 141/2010, dopo novanta giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale (cioé il 3 dicembre) è stata sostituita dalla nuova vacatio legis di centoventi giorni, con la conseguenza che, quindi, le disposizioni del suddetto titolo II sono in vigore dal 2 gennaio 2011.
Anche l’abrogazione espressa di cui sopra fa parte delle previsioni contenute nel titolo II, ed entra in vigore il 2 gennaio 2011; circostanza, questa, confermata anche dalla previsione dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010 ("Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141").
D) – LIMITI DI APPLICAZIONE RETROATTIVA DELL’ART. 40-BIS.
Il nuovo art. 161, comma 7-bis, del d. lgs. n. 385/1993, contiene una speciale disciplina transitoria, in forza della quale l’art. 40-bis disciplina la procedura di cancellazione “semplificata”, già regolata dall’art. 13, commi 8-sexies e seguenti, del d.l. n. 7/2007, riguardo ai contratti di mutuo stipulati dal 2 giugno 2007, e per certi aspetti (diritto del mutuatario all’attivazione della procedura di cancellazione) ai contratti di mutuo estinti prima del 3 aprile 2007. Ovviamente, per il periodo dal 2 giugno (o 3 aprile) 2007 al giorno 1 gennaio 2011, la procedura di cancellazione semplificata riguarda tutti i mutui immobiliari, anche non fondiari (come si desume dalla stessa lettera del comma 7-bis dell’art. 161), mentre a partire dal 2 gennaio 2011 essa riguarderà solo i mutui fondiari. L’art. 40-bis t.u.b. si riferisce, infatti, solamente ai “mutui” fondiari, con esclusione dei finanziamenti diversi dai mutui (in ciò differenziandosi rispetto alle previsioni degli artt. 38 ss. t.u.b. che riguardano genericamente i “finanziamenti fondiari”).
Va peraltro segnalata, a complicare ulteriormente il quadro di riferimento sul piano del diritto transitorio, la permanenza in vigore dei commi 8-duodecies e 8-terdecies dell’art. 13 del d.l. n. 7/2007, come modificati dalla legge di conversione n. 40/2007, che non sono inclusi tra le norme abrogate dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, e che continuano a far riferimento ai commi 8-sexies e seguenti, ora abrogati. Sul piano pratico, in realtà, assodato che fino al 1° gennaio 2011 la disciplina della cancellazione semplificata trova applicazione a tutti i mutui, fondiari o meno, la questione dell’applicabilità, per il pregresso, dei commi 8-sexies e seguenti dell’art. 13 del d.l. n. 7/2007, ovvero dell’applicazione retroattiva del nuovo art. 40-bis t.u.b., appare sostanzialmente irrilevante, stante l’identità della relativa disciplina. Né può ritenersi che la nuova sanzione prevista dall’art. 144 t.u.b., in relazione alla violazione dell’art. 40-bis, possa avere effetto retroattivo, essendo impossibile, in base ai princìpi del diritto intertemporale, attribuire un tale effetto all’art. 161, comma 7-bis, t.u.b. Vale, quindi, soltanto per il futuro la sanzione prevista dal nuovo art. 144, comma 3-bis, del t.u.b. (di cui infra).
E) – DIVIETO DI ADDEBITO DI SPESE AL CLIENTE. SANZIONI A CARICO DEI DIPENDENTI BANCARI.
Il nuovo art. 6, comma 1-ter, lett. b), del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, modifica l’art. 8-bis del d.l. n. 7/2007, il cui nuovo testo è il seguente:
“Art. 8-bis. Disposizioni a tutela dei cittadini utenti.
1. Nell'ambito dei rapporti assicurativi e bancari è fatto assoluto divieto di addebitare al cliente spese relative alla predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate, relative alle comunicazioni di cui agli articoli 5 del presente decreto e agli articoli 40-bis, 120-ter, 120-quater del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”.
Per limitarsi al profilo delle sanzioni, applicabili in relazione alle clausole che addebitano “al cliente spese relative alla predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate, relative alle comunicazioni di cui” all’art. 40-bis del t.u.b., l’art. 144, comma 3-bis, lett. b), di quest’ultimo, commina, a carico di amministratori e dipendenti bancari, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555 – sul presupposto della “rilevanza” della violazione – all’ipotesi dell’ “inserimento nei contratti di clausole nulle o applicazione alla clientela di oneri non consentiti, in violazione dell'articolo 40-bis o del titolo VI”, mentre nessuna sanzione è comminata per la violazione dell’art. 8-bis del d.l. n. 7/2007.
F) – DISCIPLINA TRANSITORIA – COMUNICAZIONI DI ESTINZIONE EFFETTUATE ANTERIORMENTE AL 2 GENNAIO 2011.
La legge non individua espressamente il momento rilevante ai fini dell’applicazione della nuova disciplina: se si tratti dell’estinzione dell’obbligazione garantita, ovvero della comunicazione da parte della banca mutuante al conservatore dei registri immobiliari, ovvero infine della cancellazione da quest’ultimo eseguita. Si tratta, in altri termini, di stabilire cosa avvenga quando l’estinzione del mutuo (non fondiario), e/o la comunicazione della banca al conservatore, abbiano luogo anteriormente al 2 gennaio 2011, mentre la cancellazione non sia ancora avvenuta: se sia, cioè, legittimo eseguire a partire dal 2 gennaio 2011 una cancellazione “semplificata” riguardante un’ipoteca non fondiaria, quando l’estinzione del mutuo e/o la comunicazione siano anteriori a tale data.
In assenza di una specifica disciplina di diritto transitorio sul punto, occorre far riferimento ai princìpi generali del diritto intertemporale. A norma dell’art. 11, comma 1, delle preleggi, “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. In applicazione del tradizionale principio tempus regit actum, ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, ciascun fatto che sia giuridicamente rilevante è sottoposto, salva diversa determinazione normativa, alla legge del tempo in cui viene in essere. Correlativamente, in aderenza al principio tempus regit actum, non può riconoscersi alcun effetto precettivo ad una legge successiva rispetto ad una vicenda sostanzialmente conclusasi sotto la previgente disciplina. In definitiva, solo quando un atto ha esaurito i propri effetti nel vigore della normativa previgente, risulta ad esso inapplicabile la nuova disciplina, la quale invece trova “applicazione immediata” anche ai fatti precedentemente perfezionatisi, in quanto i relativi effetti non si siano ancora verificati, o non si siano comunque esauriti. Principio, questo, che spiega l’applicazione “immediata” della nuova legge, in presenza di un procedimento (qual è quello che conduce alla cancellazione dell’ipoteca), nel quale non siano configurabili fasi subprocedimentali autonome caratterizzate da propri effetti esterni, ed in cui quindi l’effetto giuridico “esterno” si produce unicamente in conseguenza dell’atto finale del procedimento (posto in essere dopo la relativa entrata in vigore): nel caso di specie, l’atto di “cancellazione”, prima del quale non sussiste alcun effetto esterno giuridicamente rilevante, nel senso che non può configurarsi alcun “fatto compiuto” ed alcun “effetto esaurito”.
Quest’ultimo punto merita qualche ulteriore precisazione. Nei rapporti tra debitore e creditore, l’estinzione dell’obbligazione garantita determina comunque l’estinzione dell’ipoteca (art. 2878, n. 3, c.c.); in tale àmbito, pertanto, l’effetto disciplinato dal comma 8-sexies dell’art. 13 del d.l. n. 7/2007 (e ora dall’art. 40-bis, comma 1, t.u.b.) non aggiunge sostanzialmente nulla a quanto già previsto dal codice civile. La cancellazione “semplificata” rileva, quindi, essenzialmente nei rapporti con i terzi. Peraltro, né riguardo ai terzi, né riguardo al debitore, può riconoscersi alcun effetto “esterno” alla mera “comunicazione” di estinzione, che la banca abbia anteriormente trasmesso al conservatore: atto, questo, avente valore solo procedimentale e privo di effetti giuridici sostanziali (e dal quale, per inciso, non scaturisce alcun “diritto acquisito” del debitore, stante anche la facoltà della banca di depositare successivamente dichiarazione di permanenza dell’ipoteca).
Le superiori riflessioni consentono di giungere ad una conclusione sufficientemente sicura: nella misura in cui il procedimento di cancellazione “semplificata”, avente ad oggetto ipoteche non fondiarie, sia iniziato nel vigore del d.l. n. 7/2007 (con la relativa “comunicazione di estinzione”) ma non sia ancora “esaurito”, e non abbia quindi prodotto alcun “effetto esterno”, è precluso al conservatore eseguire la cancellazione semplificata a partire dal 2 gennaio 2011, in quanto la nuova disciplina dell’art. 40-bis t.u.b., di applicazione “immediata”, non attribuisce al medesimo conservatore alcun “potere” di eseguire detta cancellazione per le ipoteche non fondiarie,
Pertanto:
a) - per i procedimenti di cancellazione semplificata, riferiti a mutui ipotecari non fondiari, esauriti anteriormente al 2 gennaio 2011 con la relativa “cancellazione”, deve ritenersi che la materia continui ad essere regolata, secondo il principio tempus regit actum, dal d.l. n. 7/2007; con la conseguenza che la cancellazione semplificata già perfezionata anteriormente alla suddetta data produce senz’altro i suoi effetti, anche se il mutuo non era fondiario;
b) - se la cancellazione semplificata non è stata, invece anteriormente eseguita, la stessa è regolata dall’art. 40-bis del t.u.b. (ed opera nei limiti segnati da quest’ultima disciplina), anche se il procedimento, non esaurito, sia iniziato anteriormente con la relativa “comunicazione di estinzione”. In quest’ultimo caso il conservatore non dovrà dare seguito alla procedura di cancellazione “d’ufficio”, ed occorrerà ricorrere alla procedura ordinaria (cancellazione previo atto di consenso, ricevuto o autenticato da notaio, ex art. 2882 c.c.).
Quest’ultima conclusione riveste notevole rilevanza pratica, relativamente alle estinzioni di mutui non fondiari, che abbiano luogo (magari contestualmente ad un atto di alienazione, o di concessione di nuova ipoteca) anteriormente al 2 gennaio 2011: in questi casi il notaio deve diligentemente consigliare alle parti la stipula contestuale di un atto di consenso a cancellazione di ipoteca ex art. 2882 c.c., in quanto l’eventuale comunicazione di estinzione ex d.l. 7/2007 non potrà avere seguito a partire dal 2 gennaio 2011 (e d’altra parte il conservatore non potrà cancellare prima del decorso del termine di trenta giorni previsto dalla legge, prima quindi dell’entrata in vigore della nuova disciplina).
G) – EFFICACIA DELLA CANCELLAZIONE SEMPLIFICATA E RESPONSABILITÀ DEL CONSERVATORE.
Le innovazioni sopra commentare offrono anche l’occasione per riesaminare – alla luce anche della più recente giurisprudenza – la questione dell’efficacia della cancellazione semplificata in oggetto, in rapporto all’esigenza di tutela dei terzi subacquirenti. Una recente sentenza (Trib. Venezia 16 marzo 2010, in www.ilcaso.it) ha affermato l’estinzione automatica dell’iscrizione ipotecaria per effetto della cancellazione semplificata in esame (considerata alla stregua di qualsiasi altra cancellazione), e ricollegato a tale affermazione l’applicabilità, a beneficio dei terzi subacquirenti, dell’art. 2881 c.c., escludendo quindi la reviviscenza dell’iscrizione ipotecaria in caso di invalidità o inefficacia della causa di estinzione dell’obbligazione garantita. A ciò conseguirebbe l’impossibilità di eseguire – una volta effettuata la “cancellazione d’ufficio” – la cancellazione ordinaria su presentazione dell’atto di consenso del creditore ipotecario, ex art. 2882 c.c., in quanto “una richiesta (priva di causa ed effetti) di annotazione tradizionale dell’atto di consenso a margine di un’iscrizione ipotecaria ormai inesistente va rifiutata a tutela della coerenza del sistema per non indurre i terzi a credere che i registri immobiliari, da cui emerga la cancellazione dell’iscrizione (nella c.d. forma semplificata), non siano affidabili e non diano quindi sicurezza dell’effettiva cancellazione dell’iscrizione ipotecaria”.
La conclusione del Tribunale di Venezia, nei termini in cui è formulata (in senso analogo v. Trib. Roma 25 febbraio 2010, in Riv. not., 2010, p. 1392; Contra, Trib. Roma 1 giugno 2009, in Riv. not., 2009, p. 1225; Trib. Bologna 1 dicembre 2009, in Riv. not., 2010, p. 476), non appare pienamente condivisibile, in quanto occorre tenere nettamente distinto il piano dell’estinzione del diritto reale di garanzia, e quello (essenzialmente “formale”) dell’estinzione della formalità di iscrizione ipotecaria. La legge (v. ora l’art. 40-bis, comma 1, t.u.b.) dispone che “l’ipoteca si estingue” per effetto dell’estinzione dell’obbligazione garantita, come del resto stabilisce la disciplina generale codicistica (art. 2878, n. 3, c.c.), ma non dice in alcun modo che “cessano gli effetti dell’iscrizione” (profilo, quest’ultimo, regolato da altre disposizioni non derogate dalla disciplina speciale, in primis dall’art. 2881 c.c.). Purtuttavia, alla base della pronuncia del Tribunale di Venezia sussiste un’esigenza reale ed importante, quella di garantire la “sicurezza della circolazione immobiliare”; alla luce della quale è necessario approfondire l’esame del diritto vigente, e verificare se sia possibile realizzare tale necessità, salvaguardando nel contempo la coerenza sistematica della pubblicità immobiliare.
Occorre, a tal fine, verificare se la “cancellazione d’ufficio” in esame possa – almeno in alcuni casi – configurarsi alla stregua di una vera e propria cancellazione; occorre, allora, definire il concetto di “cancellazione”, espressamente impiegato dall’art. 40-bis, comma 4, del t.u.b.
Sul piano degli “effetti”, la cancellazione costituisce autonoma causa di estinzione dell’ipoteca (art. 2878, n. 1, c.c.), ed una volta eseguita produce definitivamente i propri effetti (anche ai sensi dell’art. 2881 c.c.), pur quando il “titolo” sulla base del quale essa è stata eseguita sia invalido o inesistente (Pugliatti). Sul piano della “fattispecie”, l’art. 2886, comma 2, c.c. (non derogato dalla disciplina speciale in commento) dispone che “la cancellazione di un’iscrizione … deve essere eseguita in margine all’iscrizione medesima”, con le modalità quindi della “annotazione”. L’art. 20, comma 3, della legge n. 52/1985 stabilisce che l’elenco delle formalità, rilasciato a chiunque esegua un’ispezione ipotecaria, deve contenere anche le “annotazioni eventualmente eseguite”. In definitiva, presupposto indispensabile affinché sia realizzata la conoscibilità legale, e possa quindi dirsi sussistente la pubblicità nella forma della cancellazione (con gli effetti dell’art. 2881 c.c.) è che – anche mediante interrogazione a distanza, ex art. 20, ult. comma, della legge n. 52/1985 – sia possibile visionare la cancellazione, alla stregua delle altre “annotazioni”, già nell’elenco delle formalità riferite al soggetto, contro il quale l’iscrizione ipotecaria era stata eseguita. È, in ogni caso indispensabile – perché possa parlarsi di valida pubblicità legale – che la “cancellazione” risulti, in tutti i suoi estremi, dalla banca dati informatica dell’Agenzia del territorio: a seguito dell’evoluzione normativa, infatti, la pubblicità è data prioritariamente dal contenuto degli archivi magnetici (cfr. l’art. 19-bis della legge n. 52/1985), non più da quello dei registri cartacei.
Tornando alla “cancellazione d’ufficio” in oggetto, l’Agenzia del Territorio (Decreto interdirigenziale 23 maggio 2007; Circ. 1 giugno 2007, n. 5/T) ha affermato che la stessa possa aver luogo senza una annotazione vera e propria a margine della nota di iscrizione; ed ha conseguentemente affermato – nell’evidente tentativo di evitare azioni di responsabilità nei propri confronti, in conseguenza di possibili cancellazioni erronee in assenza del controllo notarile di legaliltà – la natura di pubblicità notizia della “cancellazione” medesima. A prescindere, in questa sede, dalla valutazione della correttezza o meno di tale impostazione (per una acuta e condivisibile critica alla posizione dell’amministrazione, v. BIANCA, La cancellazione d'ufficio dell'ipoteca: profili sistematici, in Vita not., 2008, 2, p. 623), sul piano fattuale occorre verificare – posto che l’annotazione non ha una “forma sacramentale”, e può dirsi realizzata purché risulti, dall’elenco delle formalità e a margine della nota, la circostanza oggetto di pubblicità accessoria – se “concretamente” ricorrono, nella prassi, gli “elementi costitutivi” dell’annotazione di cancellazione richiesta dall’art. 2886, comma 2, c.c.
Occorre, allora, distinguere i seguenti casi:
a) – comunicazione di avvenuta estinzione del debito garantito, alla quale non abbia ancora fatto seguito la cancellazione d’ufficio: stante anche la possibilità di comunicare entro trenta giorni la dichiarazione di permanenza dell’ipoteca, detta comunicazione non è in alcun modo idonea a fornire sicurezza al terzo subacquirente, e non costituisce “titolo idoneo alla cancellazione” agli effetti dell’art. 8 del d. lgs. n. 122/2005;
b) – “cancellazione d’ufficio totale”: nella prassi sembrano sussistere gli estremi dell’annotazione di cancellazione ex art. 2886, comma 2, c.c. L’ispezione ipotecaria eseguita a carico del datore di ipoteca evidenzia infatti sia nell’elenco delle formalità che a margine della nota di iscrizione la “cancellazione d’ufficio” in esame, che quindi può ritenersi una vera e propria “annotazione di cancellazione”, legalmente conoscibile anche mediante ispezione a distanza. A condizione, quindi, che la pubblicità sia eseguita nel modo suddetto, può parlarsi di vera e propria cancellazione, anche agli effetti dell’art. 2881 c.c.. Da una tale efficacia discende, evidentemente, una notevole responsabilità del conservatore (oltre all’“autoresponsabilità” della banca che invia la comunicazione di estinzione, ove non ne ricorrano gli estremi): un’eventuale “cancellazione d’ufficio” in assenza dei presupposti di legge determinerebbe infatti irrevocabilmente – nell’ottica di cui trattasi – l’estinzione dell’iscrizione ipotecaria. Non a caso, quindi, l’Agenzia del territorio ha affermato la natura meramente notiziale della pubblicità, in tal modo tuttavia creando un notevole problema per la sicurezza dei traffici;
c) – “cancellazione d’ufficio di quota frazionata”: quest’ultima non riporta, né nell’elenco delle formalità né in margine alla nota, l’indicazione della quota di cui trattasi e quindi dell’immobile liberato dall’ipoteca (a tal fine occorre consultare il registro delle comunicazioni – attualmente non idoneo alla consultazione a norma dell’art. 19-bis della legge n. 52/1985 – appositamente istituito ai sensi del Provvedimento dirigenziale del 23 maggio 2007; cfr. sul punto il Provvedimento dirigenziale del 19 gennaio 2008). In queste condizioni, la pubblicità legale non può dirsi pienamente eseguita (v. infatti le motivazioni riportate a suo tempo nella Circ. Agenzia Territorio 20 novembre 2007, n. 13/T).
In
definitiva, solo la “cancellazione d’ufficio totale”, eseguita a norma
dell’art. 40-bis t.u.b. nelle forme dell’annotazione ex art.
2886, comma 2, c.c., e che sia quindi legalmente conoscibile in tutti i suoi
elementi mediante ispezione, anche a distanza, dei registri immobiliari, deve
ritenersi equiparata quoad effectum alla cancellazione eseguita a
seguito dell’atto di consenso ex art. 2882 c.c.; salve le ragioni di
critica alla disciplina, già in altra occasione illustrate (PETRELLI, Cancellazione di ipoteche a garanzia di
mutui nella legge 2 aprile 2007, n. 40, in Notariato, 2007, p. 291
ss.). La “cancellazione d’ufficio di quota frazionata”, invece, non
produce – allo stato attuale, considerate le relative modalità di attuazione e
di conoscibilità del suo contenuto – gli effetti della vera e propria
cancellazione dell’ipoteca.
Da quanto sopra discende che l’eventuale cancellazione totale, illegittimamente eseguita dal conservatore, essendo idonea ad estinguere definitivamente l’ipoteca (anche agli effetti dell’art. 2881 c.c.), potrebbe esporre il medesimo conservatore a responsabilità civile nei confronti di chi abbia subìto un danno da tale cancellazione (art. 232-bis disp. att. c.c.).
H) – INEFFICACIA DELLA CANCELLAZIONE SEMPLIFICATA ILLEGITTIMA.
Occorre infine affrontare un ultimo problema: quello della sorte dell'ipoteca non fondiaria illegittimamente cancellata – a partire dal 2 gennaio 2011 – con la modalità "semplificata" ex art. 40-bis t.u.b. Partendo dal presupposto che, in linea di principio, la cancellazione semplificata totale estingue l’ipoteca, anche agli effetti dell’art. 2881 c.c., occorre verificare se tale efficacia estintiva possa riconoscersi anche quando la cancellazione sia illegittima.
Anteriormente all’emanazione del d.l. n. 7/2007, quando esisteva la sola procedura “ordinaria” di cancellazione dell’ipoteca, basata sull'art. 2882 c.c. (e quindi su un titolo autentico, notarile o giudiziale), la dottrina aveva approfondito l’eventualità di patologie diverse, riguardanti il titolo per la cancellazione (atto di consenso invalido, inefficace, ecc.) o il rapporto tra titolo e domanda-formalità di cancellazione (quando, ad esempio, il titolo ordinava la restrizione ed il conservatore eseguiva invece una cancellazione totale). La risposta degli interpreti era, sostanzialmente, univoca nel senso di ritenere che l'ipoteca una volta cancellata – legittimamente o illegittimamente – veniva definitivamente meno (anche agli effetti dell'art. 2881 c.c.). Ciò sulla base della previsione dell’art. 2878, n. 1, c.c., che contempla la cancellazione dell’ipoteca quale causa autonoma di estinzione dell’ipoteca; ed anche perché opinare diversamente avrebbe condotto a gravemente sorprendere la buona fede e l'affidamento dei terzi. Si faceva quindi riferimento alle sole risultanze dei registri particolari, le uniche che il terzo aveva, ed ha, l'onere di consultare: su tale base - essendo tali risultanze "apparentemente" regolari - si riteneva che l'effetto estintivo della cancellazione operava comunque e irrevocabilmente. Per altro verso, il codice civile disciplina espressamente l’invalidità dell’iscrizione ipotecaria (art. 2841 c.c.), ma non l’invalidità della relativa cancellazione.
Nel caso della nuova procedura "semplificata", eseguita a partire dal 2 gennaio 2011 illegittimamente in relazione ad un mutuo non fondiario, le cose stanno però in modo parzialmente diverso. In questo caso, infatti, dagli stessi registri immobiliari risulta, per tabulas, che il mutuo non è fondiario, ed è quindi palese l’illegittimità della "cancellazione" eseguita ai sensi del d.l. 7/2007 (o ai sensi dell'art. 40-bis t.u.b.). Il terzo è pertanto in grado di accorgersi, già dalla semplice ispezione (anche telematica) dei registri immobiliari, che detta cancellazione è stata eseguita illegittimamente, in assenza dei presupposti di legge. Si tratta quindi di fattispecie ben diversa rispetto a quella tradizionale su cui si è formato l'orientamento dottrinale suesposto (che fa salvo l’effetto estintivo della cancellazione anche in presenza di invalidità o inefficacia del relativo “titolo”). In questo caso, infatti, non si tratta di una cancellazione esteriormente valida, e può fondatamente dubitarsi della relativa idoneità a costituire autonoma causa di estinzione dell’ipoteca a norma dell’art. 2878, n. 1, c.c.
Tutto ciò potrebbe, plausibilmente, condurre in futuro la giurisprudenza a ritenere la cancellazione semplificata "palesemente" illegittima (perché chiaramente riguardante un mutuo non fondiario) non idonea ad estinguere gli effetti dell'iscrizione ipotecaria, e quindi l’ipoteca medesima.
Su tali basi, il comportamento del notaio – richiesto di dare certezza a chi richiede il suo ministero – in presenza di una tale cancellazione illegittima deve essere evidentemente improntato alla doverosa prudenza. Il rischio che l’ipoteca non fondiaria illegittimamente cancellata sia ritenuta ancora esistente induce a consigliare, in questi casi, la rinnovazione della cancellazione previo formale atto notarile di consenso del creditore, a norma dell’art. 2882 c.c. A fronte del rifiuto della parte alienante a sostenere i relativi costi, l’atto (di alienazione, o di nuova concessione di ipoteca) è evidentemente ricevibile, ma il notaio dovrà dare atto dell’esistenza dell’ipoteca, della relativa “cancellazione semplificata” e dei dubbi relativi alla validità ed efficacia di quest’ultima.
Cfr. anche sul punto PETRELLI, Cancellazione semplificata delle ipoteche. Novità nel D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, e nel D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in http://www.gaetanopetrelli.it; nonché TOSCANO, Il Tribunale di Roma torna sui suoi passi: nessuna differenza tra gli effetti prodotti dalla cancellazione dell'ipoteca ai sensi del c.d. decreto Bersani e quelli della cancellazione eseguita ai sensi del codice civile (nota a Trib. Roma 25 febbraio 1020), in Riv. not., 2010, p. 1392; BEVILACQUA, La cancellazione "semplificata" delle ipoteche non è cancellazione (nota a Trib. Roma 1 giugno 2009), in Riv. not., 2009, p. 1225; PADOLECCHIA, Il punto sulla cancellazione d'ufficio delle ipoteche ex L. n. 40/2007, in Notariato, 2009, p. 88; BIANCA, La cancellazione d'ufficio dell'ipoteca: profili sistematici, in Vita not., 2008, p. 623; AA.VV., La procedura di c.d. cancellazione semplificata delle ipoteche, in Il contributo del notariato per l'attuazione delle semplificazioni in tema di mutui ipotecari, a cura della Fondazione italiana per il notariato, Roma, 2008, p. 9 ss.; CEOLIN, La c.d. portabilità dei mutui e la cancellazione semplificata delle ipoteche nel decreto Bersani bis (d.l. 31 gennaio 2007, n. 7), in Nuove leggi civ., 2008, p. 259; CALEO, Estinzione dei mutui bancari e cancellazione dell'ipoteca nella Bersani bis, in Obbligazioni e contratti, 2008, p. 529; CALDERONI, Il procedimento di "cancellazione" delle ipoteche estinte a seguito di regolare adempimento del mutuo nella L. n. 40/2007, in Notariato, 2008, p. 104; LEO, Assenso a cancellazione di ipoteca con atto notarile dopo il decreto Bersani-bis, in Studi e materiali, 2007, p. 1347; PATTI, Il procedimento di cancellazione d'ipoteca nei mutui immobiliari, in Mutuo ipotecario e liberalizzazioni, Catania, 2007, p. 29; CHIANALE, Le nuove regole sulla cancellazione dell'ipoteca per i mutui bancari (l. 2 aprile 2007, n. 40), in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 487; PADOLECCHIA, Osservazioni critiche sugli ultimi provvedimenti dell'Agenzia del territorio in materia di cancellazione di ipoteche, in FederNotizie, 2007, 4, p. 128; PADOLECCHIA, La cancellazione delle ipoteche nel sistema del codice civile e nella legge di conversione del decreto Bersani-bis, in FederNotizie, 2007, 3, p. 102; DI PINTO, Cancellazione di ipoteca in assenza di consenso del fideiussore che ha pagato il debito: brevi riflessioni alla luce della L. 40/2007 (nota a Cass. 29 marzo 2006 n. 7236), in Riv. not., 2007, p. 956; PETRELLI, Cancellazione di ipoteche a garanzia di mutui nella legge 2 aprile 2007, n. 40, in Notariato, 2007, p. 291; TASSINARI, Semplificazione nel procedimento di cancellazione dell'ipoteca nei mutui immobiliari, in Notariato, 2007, p. 126; PETRELLI, Mutui bancari e cancellazione di ipoteche: novità nel decreto legge Bersani-bis, in Notariato, 2007, p. 110.
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha inserito nel testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) il seguente nuovo art. 120-quater:
“Art.
120-quater. - Surrogazione nei contratti di finanziamento. Portabilità.
1.
In caso di contratti di finanziamento conclusi da intermediari bancari e
finanziari, l'esercizio da parte del debitore della facoltà di surrogazione di
cui all'articolo 1202 del codice civile non è precluso dalla non esigibilità
del credito o dalla pattuizione di un termine a favore del creditore.
2.
Per effetto della surrogazione di cui al comma 1, il mutuante surrogato
subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la
surrogazione si riferisce.
3.
La surrogazione di cui al comma 1 comporta il trasferimento del contratto, alle
condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario subentrante, con
esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. L'annotamento di
surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità, allegando
copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o
scrittura privata.
4.
Non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione
del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti catastali,
che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate
a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi
connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di
alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle formalità
connesse alle operazioni di surrogazione.
5.
Nel caso in cui il debitore intenda avvalersi della facoltà di surrogazione di
cui al comma 1, resta salva la possibilità del finanziatore originario e del
debitore di pattuire la variazione senza spese delle condizioni del contratto
in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata.
6.
È nullo ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il
quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà
di surrogazione di cui al comma 1. La nullità del patto non comporta la nullità
del contratto.
7.
Nel caso in cui la surrogazione di cui al comma 1 non si perfezioni entro il
termine di trenta giorni dalla data della richiesta di avvio delle procedure di
collaborazione da parte del mutuante surrogato al finanziatore originario,
quest'ultimo è comunque tenuto a risarcire il cliente in misura pari all'1 per
cento del valore del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di
ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi
sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo
stesso imputabili.
8.
La surrogazione per volontà del debitore e la rinegoziazione di cui al presente
articolo non comportano il venir meno dei benefici fiscali.
9.
Le disposizioni di cui al presente articolo:
a)
si applicano, nei casi e alle condizioni ivi previsti, anche ai finanziamenti
concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti;
b)
non si applicano ai contratti di locazione finanziaria.
10. Sono fatti salvi i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dell’articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40”.
La nuova disciplina condensa quindi in un unico articolo del testo unico bancario le disposizioni già contenute nell’art. 8 del d.l. n. 7/2007 e nell’art. 2, commi 1-bis e 5-quater, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, inseriti dalla legge di conversione n. 2/2009.
Contemporaneamente, l’art. 6, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, abroga espressamente l’articolo 8, commi 1, 2, 3, 3-bis e 4 del d.l. n. 7/2007, e l'articolo 2, comma 5-quater, del d.l. n. 185/2008, come modificato dall’art. 2, comma 3, del d.l. n. 78/2009.
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141". Anche l’abrogazione espressa di cui sopra fa parte delle previsioni contenute nel titolo II, ed entra in vigore il 2 gennaio 2011.
Non sono invece abrogati espressamente, e rimangono in vigore:
a) – i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dell’art. 8 del d.l. n. 7/2007 (aggiunti dalla legge di conversione n. 40/2007), richiamati dall’art. 120-quater, comma 10, del t.u.b.
b) – il comma 1-bis dell’art. 2 del d.l. n. 185/2008, a norma del quale, “Anche al fine di escludere a carico del mutuatario qualunque costo relativo alla surrogazione, gli atti di consenso alla surrogazione, ai sensi dell'articolo 1202 del codice civile, relativi a mutui accesi per l'acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell'abitazione principale, contratti entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto da soggetti in favore dei quali è prevista la rinegoziazione obbligatoria, sono autenticati dal notaio senza applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese. A tal fine, la quietanza rilasciata dalla prima banca e il contratto di mutuo stipulato dalla seconda banca devono essere forniti al notaio per essere prodotti unitamente all'atto di surrogazione. Per eventuali attività aggiuntive non necessarie all'operazione, espressamente richieste dalle parti, gli onorari di legge restano a carico della parte richiedente. In ogni caso, le banche e gli intermediari finanziari, per l'esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di cui all’articolo 7 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, e successive modificazioni, non applicano costi di alcun genere, anche in forma indiretta, nei riguardi dei clienti”.
Il comma 4-bis dell’art. 8, ancora in vigore, continua a regolare i profili tributari della surrogazione, dichiarando inapplicabili l’imposta sostitutiva di cui all’art. 17 del d.p.r. n. 601/1973, nonché le imposte di registro e ipotecaria. I commi 4-ter e 4-quater contengono invece disposizioni finanziarie.
Dal punto di vista sostanziale, la nuova disciplina non contiene novità rilevanti rispetto alla precedente, a parte l’espressa esclusione – dal relativo àmbito di applicazione – dei contratti di locazione finanziaria, che peraltro poteva desumersi implicitamente anche dal precedente testo normativo: come chiarito dalla Relazione al d. lgs. n. 141/2010, “in questi casi, infatti, la surrogazione di un nuovo creditore nei diritti del creditore preesistente comporterebbe il passaggio non già di una garanzia, ma dello stesso diritto di proprietà sul bene oggetto del leasing”.
Viene inoltre precisato più chiaramente che – in base all’art. 1202 c.c. – mentre il finanziamento originario può anche avere natura diversa dal mutuo, quello nuovo deve essere necessariamente un mutuo.
Viene, infine, meno qualsiasi dubbio circa l’applicabilità della disciplina della portabilità a tutti i finanziamenti, e non solamente a quelli contratti da consumatori.
L’inosservanza dell’art. 120-quater del t.u.b. comporta – a norma dell’art. 144, comma 3-bis del medesimo t.u.b. – l’applicazione nei confronti dei dipendenti bancari (nella misura in cui la relativa condotta rivesta “carattere rilevante”), della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555.
Per concludere, a norma del nuovo art. 161, comma 7-quater, del t.u.b.:
“Per i mutui a tasso variabile e a rata variabile per tutta la durata del contratto, stipulati o accollati, anche a seguito di frazionamento, per l'acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell'abitazione principale entro il 29 gennaio 2009, gli atti di consenso alla surrogazione di cui all'articolo 120-quater, comma 1, sono autenticati dal notaio senza l'applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese. A tal fine, la quietanza rilasciata dal finanziatore originario e il contratto stipulato con il creditore surrogato sono forniti al notaio per essere prodotti unitamente all'atto di surrogazione. Per eventuali attività aggiuntive non necessarie all'operazione, espressamente richieste dalle parti, gli onorari di legge restano a carico della parte richiedente”.
Come già in precedenza previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 185/2008, la “gratuità” dell’autenticazione dell’atto di consenso a surrogazione rimane limitata ai soli mutui per cui è prevista la rinegoziazione obbligatoria del tasso di interesse (“mutui a tasso variabile e a rata variabile per tutta la durata del contratto, stipulati o accollati, anche a seguito di frazionamento, per l'acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell’abitazione principale entro il 29 gennaio 2009”).
Cfr. anche, sulla materia, PETRELLI, Portabilità dei mutui. Surrogazione per pagamento, in http://www.gaetanopetrelli.it. In dottrina, v. SIRENA, Mutuo (portabilità del), in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento, XVII, Roma 2008; PADOLECCHIA, Una lezione sulla portabilità del mutuo, in FederNotizie, 2010, 6, p. 238; FERRARIO HERCOLANI, La "surrogazione nell'ipoteca" non esiste, in FederNotizie, 2010, 3, p. 122; PASQUARIELLO, Le misure anti-crisi del governo: gli interventi pubblici a sostegno delle famiglie e dell'economia, in Nuove leggi civ., 2009, p. 1239; GATTONI, La portabilità del mutuo e l'annotazione della surrogazione nell'ipoteca, in Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2009, p. 59; FAUSTI, Atto di consenso alla surrogazione, in Notariato, 2009, p. 420; SANTARCANGELO, Atto di surroga di quota frazionata di mutuo, in Notariato, 2008, p. 527; SIRENA, La "portabilità del mutuo" bancario o finanziario, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 449, ed in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, Milano, 2008, p. 2849; DOLMETTA, Questioni sulla surrogazione per volontà del debitore ex art. 8 legge n. 40/2007 (c.d. "portabilità del mutuo"), in Banca, borsa e titoli di credito, 2008, I, p. 395; DOLMETTA, Questioni sulla surrogazione per volontà del debitore ex art. 8 legge n. 40/2007 (c.d. "portabilità del mutuo"), in Vita not., 2008, p. 33; CEOLIN, La c.d. portabilità dei mutui e la cancellazione semplificata delle ipoteche nel decreto Bersani bis (d.l. 31 gennaio 2007, n. 7), in Nuove leggi civ., 2008, p. 259; AMBROSI, Le novità in tema di contratti di mutuo contenute nella legge finanziaria 2008, in Famiglia, persone e successioni, 2008, p. 378; AA.VV., La portabilità del mutuo ipotecario, in Il contributo del notariato per l'attuazione delle semplificazioni in tema di mutui ipotecari, a cura della Fondazione italiana per il notariato, Roma 2008, p. 100; FAUSTI, Anticipata estinzione del mutuo e portabilità dell'ipoteca (articoli 7, 8 e 8-bis della legge 2 aprile 2007, n. 40), in Banca, borsa e titoli di credito, 2007, supplemento, p. 3; FALCONE, Le operazioni di credito fondiario alla luce delle disposizioni del decreto legge n. 7 del 2007, convertito nella legge n. 40 del 2007 (c.d. "decreto Bersani bis"), in Dir. fall., 2007, I, p. 721; GIAMPIERI, Il decreto sulle liberalizzazioni. La portabilità del mutuo, le intenzioni del legislatore e gli effetti (forse indesiderati) della norma, in Nuova giur. civ., 2007, II, p. 467.
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha inserito nel testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) il seguente nuovo art. 120-ter:
“Art.
120-ter. - Estinzione anticipata dei mutui immobiliari.
1.
È nullo qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclusione del
contratto, con il quale si convenga che il mutuatario sia tenuto al pagamento
di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante
per l'estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati a
seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno
2005, n. 122, per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari
adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica
o professionale da parte di persone fisiche. La nullità del patto o della
clausola opera di diritto e non comporta la nullità del contratto.
2. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nell'articolo 40-bis trovano applicazione, nei casi e alle condizioni ivi previsti, anche per i finanziamenti concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti”.
Con l’art. 120-ter viene, quindi, integralmente sostituita la disciplina già dettata dall’art. 7 del d.l. n. 7/2007; non vi sono comunque variazioni sostanziali nel contenuto della disciplina stessa.
Correlativamente, l’art. 6, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dal d. lgs. n. 218/2010, abroga espressamente l’art. 7 del d.l. n. 7/2007.
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141". Anche l’abrogazione espressa di cui sopra fa parte delle previsioni contenute nel titolo II, ed entra in vigore il 2 gennaio 2011.
A norma dell’art. 144, comma 3-bis, lett. b) e c), del t.u.b., in caso di inserimento nei contratti di mutuo di clausole nulle, che impongano al debitore oneri superiori a quelli consentiti o pongano ostacoli al diritto all’estinzione anticipata del finanziamento, si applica ai dipendenti bancari – nella misura in cui la condotta rivesta “carattere rilevante” – la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555.
Infine, a norma del nuovo art. 161, comma 7-ter, del t.u.b.:
“Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 120-ter si applicano ai contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007 e ai contratti di mutuo per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche stipulati o accollati a seguito di frazionamento, anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, a decorrere dal 3 aprile 2007. La misura massima dell'importo della penale dovuta per il caso di estinzione anticipata o parziale dei mutui indicati nel comma 1 dell'articolo 120-ter stipulati antecedentemente al 2 febbraio 2007 è quella definita nell'accordo siglato il 2 maggio 2007 dall'Associazione bancaria italiana e dalle associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Le banche e gli intermediari finanziari non possono rifiutare la rinegoziazione dei contratti di mutuo stipulati prima del 2 febbraio 2007, nei casi in cui il debitore proponga la riduzione dell'importo della penale entro i limiti stabiliti ai sensi dell'accordo di cui al periodo precedente”.
Sulla disciplina in esame, cfr. anche DOLMETTA-SCIARRONE ALIBRANDI, La facoltà di "estinzione anticipata" nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell'art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 523, ed in Studi in onore di Giorgio Cian, I, Padova, 2010, p. 899; CALEO, Estinzione dei mutui bancari e cancellazione dell'ipoteca nella Bersani bis, in Obbligazioni e contratti, 2008, p. 529; AMBROSI, Le novità in tema di contratti di mutuo contenute nella legge finanziaria 2008, in Famiglia, persone e successioni, 2008, p. 378; FAUSTI, Anticipata estinzione del mutuo e portabilità dell'ipoteca (articoli 7, 8 e 8-bis della legge 2 aprile 2007, n. 40), in Banca, borsa e titoli di credito, 2007, 5, supplemento, p. 3; PETRELLI, Mutui bancari e cancellazione di ipoteche: novità nel decreto legge Bersani-bis, in Notariato, 2007, p. 110.
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), ha inserito nel testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) il nuovo art. 120-bis, a norma del quale:
“Il cliente ha diritto di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato senza penalità e senza spese. Il CICR individua i casi in cui la banca o l'intermediario finanziario possono chiedere al cliente un rimborso delle spese sostenute in relazione a servizi aggiuntivi da questo richiesti in occasione del recesso”.
Correlativamente, l’art. 6, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, abroga espressamente, tra l’altro, anche l’art. 10, comma 2, del d.l. n. 223/2006, come sostituito dalla legge di conversione n. 248/2006, che, al comma 2, prevedeva che “in ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura”.
Come precisato dalla Relazione al d. lgs. n. 141/2010, il nuovo riferimento ai “contratti a tempo indeterminato”, anziché ai “contratti di durata” ha lo scopo di eliminare le incertezze interpretative sorte nel vigore della previgente disciplina. Pertanto, mentre ad esempio nei contratti di apertura di credito a tempo indeterminato al cliente spetta ex lege ed inderogabilmente la facoltà di recesso a norma dell’art. 120-bis t.u.b., nei contratti aventi un termine di durata (mutui, aperture di credito a tempo determinato) la facoltà di recesso spetta al cliente soltanto se pattuita contrattualmente a norma dell’art. 1373 c.c.
Viene quindi meno ogni dubbio sul fatto che nel contratto di mutuo – che non è un contratto a tempo indeterminato – per un verso il diritto di recesso (estinzione anticipata) spetti inderogabilmente nei casi previsti dagli artt. 40 (finanziamenti fondiari) e 120-ter del t.u.b.; per altro verso che nei contratti di mutuo sia possibile pattuire un compenso (penalità, o simile) per l’estinzione anticipata dello stesso, ed addebitare al cliente le corrispondenti spese, in tutti i casi in cui non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 120-ter t.u.b.
Con riferimento al secondo periodo dell’art. 120-bis (che demanda al CICR l’individuazione dei casi in cui la banca o l’intermediario finanziario possono chiedere spese per servizi aggiuntivi connessi al recesso), sembra doversi ritenere, a contrario, che fino all’emanazione delle suddette disposizioni attuative da parte del CICR sia precluso l’addebito di somme a titolo di rimborso spese per il recesso.
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha sostituito, tra l’altro, l’art. 117 del testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385).
In particolare, ai sensi dell’art. 117, comma 8, t.u.b., “La Banca d'Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d'Italia”.
Non è più prescritto, a differenza che in precedenza, che le suddette prescrizioni debbano essere adottate d’intesa con la Consob. Il nuovo procedimento di emanazione delle misure sopra indicate non differisce, quindi, sostanzialmente rispetto a quello di approvazione delle misure attuative delle deliberazioni del CICR (ex art. 116, comma 3, lett. b), t.u.b.), che dettano “disposizioni relative alla forma, al contenuto, alle modalità della pubblicità e alla conservazione agli atti dei documenti”: in pratica, sarà più difficile stabilire quali prescrizioni di contenuto dei contratti bancari sono dettate a pena di nullità, quando non risulti chiaramente dal provvedimento della Banca d’Italia in base a quale norma le prescrizioni sono dettate.
Appare molto importante anche la previsione contenuta nel nuovo art. 127, comma 4, t.u.b., a norma della quale “Le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d'ufficio dal giudice”. Alla stregua, quindi, della maggior parte delle “nullità di protezione”, si chiarisce – recependo un consistente orientamento dottrinale e giurisprudenziale – che anche quella in oggetto può essere rilevata d’ufficio dal giudice. È prevedibile che una tale espressa previsione potrà esercitare una notevole influenza sugli orientamenti riguardanti la responsabilità del notaio che inserisca, nei contratti in oggetto, clausole affette dalla nullità in esame. Non vi sono dubbi, per il resto, sul fatto che la nullità non possa comunque essere fatta valere dall’intermediario bancario o finanziario.
A norma del nuovo art. 144, comma 3-bis, lett. b), t.u.b., l’inserimento nei contratti di clausole nulle comporta l’applicazione – nei confronti dei dipendenti degli intermediari bancari o finanziari, ove la condotta rivesta “carattere rilevante” – di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555. La stessa sanzione è prevista dall’art. 144, comma 3-bis, lett. a), per la violazione dell’art. 117, commi 1, 2 e 4 t.u.b.
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha sostituito, tra l’altro, l’art. 118 del testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385).
È stata, pertanto, parzialmente modificata la disciplina della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (ius variandi), contenuta nell’art. 118 t.u.b. In particolare:
1) – l’art. 118, comma 1, distingue ora espressamente tra:
1a) – contratti di durata a tempo indeterminato, nei quali può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo;
1b) – contratti di durata a tempo determinato, nei quali la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. Nonostante l’imperfetta formulazione della disposizione, non sembra dubbio che anche in questi casi la facoltà di modifica unilaterale debba essere approvata specificamente dal cliente;
2) - qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente con preavviso minimo di due mesi (anziché di trenta giorni, come disposto in precedenza);
3) - la modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione (quindi è garantito, come minimo, il termine di due mesi di preavviso sopra indicato, in luogo del precedente termine fisso di sessanta giorni).
4) - rimane ferma la previsione di inefficacia delle variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni dell’art. 118 t.u.b.
Come precisato nella Relazione al d. lgs. n. 141/2010, la sostituzione del riferimento ai “contratti di durata” con quello attuale ai “contratti a tempo indeterminato” ha lo scopo di eliminare le incertezze interpretative sorte nel vigore della precedente formulazione dell’art. 118, al fine di chiarire che le modifiche unilaterali dei tassi di interesse sono consentite solo nei rapporti che si estendono nel tempo senza una scadenza predeterminata (tra cui le aperture di credito a tempo indeterminato). Invece nei contratti a tempo determinato (in particolare, mutui e aperture di credito a tempo determinato) non possono più essere inserite clausole che prevedano la modifica unilaterale dei tassi di interesse.
Nella suddetta Relazione si rinviene un’altra importante precisazione: l’espressione “condizioni previste dal contratto” (contenuta nell’art. 117, comma 1, primo periodo, t.u.b.) “intende precisare meglio, in linea con i chiarimenti forniti dal Ministero dello sviluppo economico con nota del 21 febbraio 2007 … che le modifiche unilaterali ai sensi dell’art. 118 non possono comportare l’introduzione di clausole ex novo, ma soltanto la variazione di condizioni già contemplate nel contratto”.
Il nuovo art. 118, comma 1, t.u.b., disciplina – con effetto dal 2 gennaio 2011 – la legittimità o meno delle pattuizioni riguardanti lo ius variandi unilaterale; esso non affronta, invece, il problema transitorio della validità delle clausole che, fino al 2010, sono state validamente pattuite – salvo il divieto di clausole abusive a tutela dei consumatori – in base alla normativa previgente. In base al principio tempus regit actum può sostenersi la permanente vigenza di tali pattuizioni anche per il periodo successivo, anche se può ipotizzarsi l’insorgere di controversie interpretative (come è già avvenuto in occasione delle modifiche legislative riguardo ai limiti usurari, ed al divieto di anatocismo).
È stata eliminata dall’attuale art. 117 t.u.b. la prescrizione già contenuta nel precedente art. 117, comma 5, t.u.b., a norma della quale “La possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola approvata specificamente dal cliente”. La previsione di tale approvazione specifica – senza che vi sia più un richiamo espresso all’art. 1341 c.c. – è ora contenuta nell’art. 118, comma 1, t.u.b., che detta l’intera disciplina dello ius variandi unilaterale. Si tratta, in definitiva, di modifica formale avente mera finalità di coordinamento (non essendo dubbia l’applicazione – in particolare, per i contratti stipulati per scrittura privata, autenticata o meno – l’applicabilità dell’art. 1341 c.c., che la giurisprudenza ritiene invece inapplicabile all’atto pubblico notarile, in considerazione dell’attività di adeguamento ed indagine della volontà operata dal notaio).
L’art. 6, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 218/2010 – in corrispondenza con le modifiche come sopra introdotte nel t.u.b. – abroga espressamente, tra l’altro, anche l’art. 10 del d.l. n. 223/2006, come sostituito dalla legge di conversione n. 248/2006, che aveva modificato l’art. 118 t.u.b., e che, al comma 2, prevedeva che “in ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura”. La nuova disciplina del recesso è ora dettata esaustivamente dall’art. 118 t.u.b., nonché – relativamente ai contratti a tempo indeterminato – dal nuovo art. 120-bis t.u.b. (di cui infra).
A norma del nuovo art. 144, comma 3-bis, lett. a), t.u.b., la violazione dell’art. 118 comporta l’applicazione – nei confronti dei dipendenti degli intermediari bancari o finanziari, ove la condotta rivesta “carattere rilevante” – di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555.
D’altra parte, non appare dubbio che l’art. 118 t.u.b. detta una disciplina imperativa, la cui violazione comporta nullità assoluta, a norma dell’art. 1418 c.c. (e specificamente nullità parziale a norma dell’art. 1419 c.c.).
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
Sulla
materia in oggetto v. anche, di recente, SCARPELLO,
La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010; IORIO, Le
clausole attributive dello ius variandi, Milano, 2008; LENZI, Le
clausole relative al ius variandi della banca e al diritto di recesso, in Quaderni
della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2009, p. 129; SANTONI, Lo
jus variandi delle banche nella disciplina della l. n. 248 del 2006, in Banca,
borsa e titoli di credito, in Banca, borsa e titoli di credito,
2007, I, p. 249; SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d.
decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca, borsa e
titoli di credito, 2007, I, p. 262, ed in Studi in onore di Giorgio Cian,
II, Padova, 2010, p. 2337; FARNETI, Jus variandi, recesso, spese di chiusura
conto e condizioni economiche nei contratti bancari del consumatore: dalla
giurisprudenza alle nuove regole del t.u.b. (nota a Trib. Bolzano 11 aprile
2005), in Riv. dir. priv., 2006, p. 851; IURILLI, Ius variandi e
Testo unico bancario. La nuova formulazione dell'art. 118, e l'art. 10 del c.d.
"Decreto Bersani". Una proposta interpretativa, in Studium
iuris, 2007, p. 131 e 298.
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), ha inserito nel testo unico bancario (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) il nuovo art. 127-bis, che disciplina più in generale la materia delle spese addebitabili al cliente. Più precisamente:
a) – le banche e gli intermediari finanziari non possono addebitare al cliente spese, comunque denominate, inerenti alle informazioni e alle comunicazioni previste ai sensi di legge trasmesse con strumenti di comunicazione telematica;
b) – le comunicazioni previste ai sensi dell'articolo 118 (relativa all’esercizio dello ius variandi unilaterale) sono gratuite indipendentemente dagli strumenti di comunicazione impiegati;
c) – il contratto può prevedere che, se il cliente richiede alla banca o all'intermediario finanziario informazioni o comunicazioni ulteriori o più frequenti rispetto a quelle previste dal presente titolo ovvero la loro trasmissione con strumenti di comunicazione diversi da quelli previsti nel contratto, le relative spese sono a carico del cliente;
d) – in ogni caso, se, in relazione a informazioni o comunicazioni, vengono addebitate spese al cliente, queste sono adeguate e proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca o dall'intermediario finanziario;
e) – in deroga a quanto sopra, nei contratti di finanziamento la consegna di documenti personalizzati può essere subordinata al pagamento delle spese di istruttoria, nei limiti e alle condizioni stabilite dal CICR. Anche in questo caso, fino all’emanazione di tali disposizioni attuative da parte del CICR deve ritenersi precluso l’addebito delle suddette spese.
L’art. 120 t.u.b. disciplina in modo innovativo l’intera materia della decorrenza delle valute e del calcolo degli interessi.
A norma del nuovo art. 144, comma 3-bis, lett. b), t.u.b., l’applicazione alla clientela di oneri non consentiti in violazione del titolo VI comporta l’applicazione – nei confronti dei dipendenti degli intermediari bancari o finanziari, ove la condotta rivesta “carattere rilevante” – di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555. La stessa sanzione si applica, ai sensi della successiva lett. c), in caso di “inserimento nei contratti di clausole aventi l'effetto di imporre al debitore oneri superiori a quelli consentiti per il recesso o il rimborso anticipato ovvero ostacolo all'esercizio del diritto di recesso da parte del cliente, ivi compresa l'omissione del rimborso delle somme allo stesso dovute per effetto del recesso”; nonché, ai sensi della precedente lett. a), per la violazione degli artt. 119 e 120 t.u.b.
L’art. 128-bis t.u.b. disciplina la risoluzione stragiudiziale delle controversie; l’art. 128-ter regola invece le misure inibitorie.
Per finire, le disposizioni del Capo I non si applicano ai contratti di credito al consumo, per cui vige la speciale disciplina dettata dal Capo II del titolo VI (art. 115, comma 3, t.u.b.).
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), ha modificato alcune disposizioni in materia di trasparenza dei servizi bancari e finanziari, contenute nel Capo I del Titolo VI del t.u.b. (d. lgs. n. 385/1993).
A norma dell’art. 116 t.u.b., le banche e gli intermediari finanziari rendono noti in modo chiaro ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti; non è più prescritto, a differenza della normativa previgente, che la relativa pubblicità sia eseguita “in ciascun locale aperto al pubblico”.
L’art. 127, comma 3, t.u.b. dispone che le informazioni fornite ai sensi del titolo VI “sono rese almeno in lingua italiana”; ferma restando, evidentemente, la possibilità di renderle “anche” in lingua straniera.
La mancata applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza ex art. 116 t.u.b., e delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie (CICR e Banca d’Italia) – nella misura in cui integri gli estremi della “rilevante inosservanza” – comporta l’applicazione, nei confronti dei dipendenti degli intermediari bancari e finanziari, della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555 (art. 144, comma 3, t.u.b.).
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
L’art. 4 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), ha modificato l’art. 119 t.u.b., che regola, come in precedenza, le comunicazioni periodiche alla clientela.
A norma dell’art. 119, comma 4, il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni; si precisa ora che “al cliente possono essere addebitate solo i costi di produzione di tale documentazione”. La disposizione deve ritenersi applicabile alle sole comunicazioni “straordinarie” previste dal comma 4, mentre non sussistono limitazioni riguardo alle comunicazioni periodiche “ordinarie”; sono quindi da ritenersi valide le clausole contrattuali che addebitino spese al cliente per queste ultime comunicazioni (salvo quanto disposto dall’art. 127-bis di cui infra).
A norma del nuovo art. 144, comma 3-bis, lett. a), t.u.b., la violazione dell’art. 119 comporta l’applicazione – nei confronti dei dipendenti degli intermediari bancari o finanziari, ove la condotta rivesta “carattere rilevante” – di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555.
A norma dell’art. 6 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall'art. 4 del d. lgs. n. 218/2010, le disposizioni in oggetto, incluse nel titolo II del t.u.b., sono in vigore dal 2 gennaio 2011. A norma dell'art. 16, comma 8, del d. lgs. n. 218/2010, "Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141".
Gli artt. da 1 a 3 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), costituenti il Titolo I di detto decreto, come modificati dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), hanno modificato la vigente disciplina in materia di credito al consumo, in attuazione della Direttiva 2008/48/CE.
A) – ENTRATA IN VIGORE.
Il D. Lgs. n. 141/2010 è entrato in vigore il 3 dicembre 2010. Peraltro, a norma dell’art. 3 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 2 del d. lgs. n. 218/2010, le autorità creditizie devono adottare disposizioni di attuazione del Titolo in oggetto entro centoventi giorni dal 3 dicembre 2010, data di entrata in vigore del decreto; i finanziatori e gli intermediari del credito si adeguano alle disposizioni del medesimo Titolo entro novanta giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni attuative; fino alla scadenza di tale termine continuano ad applicarsi, nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito, le pertinenti disposizioni del Titolo VI del t.u.b. (d. lgs. n. 385/1993) e (quanto alle sanzioni) l’art. 144 del t.u.b., nel testo vigente alla data del 4 settembre 2010, nonché le relative disposizioni di attuazione emanate dalle Autorità creditizie.
B) – CONTRATTO DI CREDITO COLLEGATO AD UN ACQUISTO.
L’art. 3, comma 1, abroga comunque già con effetto dal 3 dicembre 2010 gli artt. 40, 41, 42 e 43, comma 1, del d. lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), in quanto l’intera disciplina del credito al consumo è confluita nel testo unico bancario.
L’art. 2 del d. lgs. n. 141/2010 ha, peraltro, sostituito il comma 6 dell’art. 67 del suddetto d. lgs. n. 206/2005, al fine di disciplinare la questione – che ha dato luogo a consistenti dibattiti dottrinali e controversie giurisprudenziali – riguardante la sorte del rapporto di credito in caso di collegamento negoziale con un contratto di acquisto: secondo la nuova disciplina, “Il contratto di credito collegato ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si intende risolto di diritto, senza alcuna penalità, nel caso in cui il consumatore eserciti il diritto di recesso da un contratto di fornitura di beni o servizi disciplinato dal presente titolo conformemente alle disposizioni di cui alla presente sezione”. Anche questa modifica ha effetto immediato, a decorrere quindi dal 3 dicembre 2010.
C) – DEFINIZIONI E AMBITO DI APPLICAZIONE.
L’art. 1 del d. lgs. n. 141/2010 sostituisce l’intero Capo II del Titolo VI del t.u.b., nuovi articoli da 121 a 126 (salva la necessità di disposizioni attuative, come sopra precisato), riguardanti il “credito ai consumatori”. Di seguito sono analizzate sinteticamente le innovazioni maggiormente rilevanti.
L’art. 121 t.u.b. riprende le più significative definizioni contenute nella direttiva comunitaria. Si intende, in particolare, per “contratto di credito” il “contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria”. Si intende per “finanziatore” il “soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito”.
L’art. 122 t.u.b. individua l’àmbito di applicazione della disciplina del credito al consumo. Essa regola i contratti di credito comunque denominati, ad eccezione dei seguenti casi:
a) finanziamenti di importo inferiore a 200 euro o superiore a 75.000 euro. Ai fini del computo della soglia minima si prendono in considerazione anche i crediti frazionati concessi attraverso più contratti, se questi sono riconducibili a una medesima operazione economica;
b) contratti di somministrazione previsti dagli articoli 1559, e seguenti, del codice civile e contratti di appalto di cui all'articolo 1677 del codice civile;
c) finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi o di altri oneri;
d) finanziamenti a fronte dei quali il consumatore è tenuto a corrispondere esclusivamente commissioni per un importo non significativo, qualora il rimborso del credito debba avvenire entro tre mesi dall'utilizzo delle somme;
e) finanziamenti destinati all'acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato;
f) finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili aventi una durata superiore a cinque anni;
g) finanziamenti, concessi da banche o da imprese di investimento, finalizzati a effettuare un'operazione avente a oggetto strumenti finanziari quali definiti dall’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 58/1998, e successive modificazioni, purché il finanziatore partecipi all'operazione;
h) finanziamenti concessi in base a un accordo raggiunto dinanzi all'autorità giudiziaria o a un'altra autorità prevista dalla legge;
i) dilazioni del pagamento di un debito preesistente concesse gratuitamente dal finanziatore (la disposizione è collegata con quella del comma 5 dell’art. 122, di cui infra);
l) finanziamenti garantiti da pegno su un bene mobile, se il consumatore non è obbligato per un ammontare eccedente il valore del bene;
m) contratti di locazione, a condizione che in essi sia prevista l'espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario;
n) iniziative di microcredito ai sensi dell'articolo 111 e altri contratti di credito individuati con legge relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto, con finalità di interesse generale, che non prevedono il pagamento di interessi o prevedono tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi d'interesse non superiori a quelli prevalenti sul mercato;
o) contratti di credito sotto forma di sconfinamento del conto corrente, salvo quanto disposto dall'articolo 125-octies.
Dalla superiore elencazione emerge quindi, tra l’altro:
1) - che i finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili non sono mai assoggettati alla disciplina del credito al consumo, se hanno durata superiore a cinque anni;
2) - che invece i finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili sono assoggettati alla disciplina in oggetto se di durata non superiore a cinque anni, purché in questo caso siano destinati ad uno scopo diverso (liquidità) dall'acquisto, conservazione o ristrutturazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile;
3) - che i contratti di locazione, per non essere assoggettati alla disciplina del credito al consumo, devono contenere l’espressa clausola che esclude il trasferimento della proprietà della cosa locata al conduttore.;
Sempre a norma dell’art. 122 t.u.b., alcune disposizioni non si applicano a determinati contratti, a determinate condizioni:
1) – alle aperture di credito regolate in conto corrente, qualora il rimborso delle somme prelevate debba avvenire su richiesta della banca ovvero entro tre mesi dal prelievo, non si applicano gli articoli 123, comma 1, lettere da d) a f), 124, comma 5, 125-ter, 125-quater, 125-sexies, 125-septies;
2) – ai contratti di locazione finanziaria (leasing) che, anche sulla base di accordi separati, non comportano l'obbligo di acquisto della cosa locata da parte del consumatore, non si applica l'articolo 125-ter, commi da 1 a 4.
D) – DILAZIONI DI PAGAMENTO.
A norma dell’art. 122, comma 1, lett. i), t.u.b., le dilazioni di pagamento di debiti preesistenti sono escluse dalla disciplina in oggetto – e non richiedono quindi che il finanziatore sia iscritto nell’albo di cui all’art. 106 t.u.b. – solo se concesse gratuitamente dal finanziatore. In proposito, l’art. 122, comma 5, t.u.b. dispone che “i venditori di beni e servizi possono concludere contratti di credito nella sola forma della dilazione del prezzo con esclusione del pagamento degli interessi e di altri oneri”. Previsione, questa, che si applica ai fornitori di qualsiasi servizio ed ai venditori di qualsiasi tipo di bene (anche immobili): con la conseguenza che – nei limiti di applicazione della disciplina in esame, secondo gli artt. 121 e 122 t.u.b., e quindi nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale – appare vietata la dilazione di pagamento a titolo “oneroso” (con interessi o altri oneri), qualunque sia la relativa durata. Ciò perché, come chiarito dalla Relazione al d. lgs. n. 141/2010, “l’attività di erogazione del credito al consumo richiederà, soprattutto a seguito dell’attuazione della direttiva, una significativa professionalità (si pensi, ad esempio, all’esigenza di svolgere la valutazione del merito creditizio), che potrebbe non sussistere presso imprese che erogano credito a titolo meramente accessorio. Inoltre, sarebbe pressoché impossibile svolgere controlli sul rispetto di una disciplina così specifica nei confronti di tutti i commercianti”. Ne consegue che il notaio, ove richiesto di ricevere un atto di vendita di beni (di qualsiasi tipo) con dilazione di prezzo, in cui il venditore sia soggetto professionale e l’acquirente un consumatore, non potrà prevedere interessi o altri oneri a fronte della dilazione.
A norma dell’art. 122, comma 5, t.u.b., alle dilazioni del pagamento e alle altre modalità agevolate di rimborso di un debito preesistente, concordate tra le parti a seguito di un inadempimento del consumatore, non si applicano gli articoli 124, commi 5 e 7, 125-ter, 125-quinquies, 125-septies nei casi stabiliti dal CICR.
Secondo la Relazione al d. lgs. n. 141/2010, la suddescritta disciplina, nel consentire ai venditori di beni e servizi di concedere solo dilazioni gratuite, opera “chiarendo l’attuale previsione di cui all’attuale art. 121, comma 1, TUB”. Ciò significa che alla disciplina suddetta viene riconosciuta natura interpretativa. A prescindere da ciò, sembra doversi ritenere che la nuova disciplina operi comunque a decorrere dal 3 dicembre 2010: trattandosi di un divieto a carico dei soggetti esercenti attività commerciale o professionale, non abilitati all’esercizio del credito al consumo, non sembra operare al riguardo la previsione dell’art. 3 del d. lgs. n. 141/2010, che subordina all’emanazione di disposizioni attuative l’entrata in vigore delle nuove previsioni del t.u.b., soltanto “nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito”.
E) – INFORMAZIONE PRECONTRATTUALE.
A norma dell’art. 124 t.u.b., il finanziatore o l'intermediario del credito sono obbligati a fornire al consumatore, prima che egli sia vincolato da un contratto o da un'offerta di credito, le informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione di un contratto di credito. Dette informazioni sono riassunte in un modulo, contenente le «Informazioni europee di base sul credito ai consumatori», salve eventuali informazioni aggiuntive e chiarimenti adeguati. La consegna della bozza del contratto di credito deve essere effettuata solo su richiesta del consumatore (art. 124, comma 4). La Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, detta le necessarie disposizioni attuative.
F) – VALUTAZIONE DEL MERITO CREDITIZIO.
A norma dell’art. 124-bis t.u.b., diviene obbligatoria la valutazione del merito creditizio del consumatore da parte del finanziatore, anteriormente alla conclusione del contratto di credito, eventualmente consultando una banca dati pertinente. La Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, detta disposizioni attuative al riguardo.
L’art. 125 t.u.b. regola l’accesso alle banche dati per la valutazione del merito creditizio, e gli obblighi informativi al riguardo dei finanziatori nei confronti dei consumatori.
G) – CONTRATTI – CONTENUTO E VALIDITÀ.
L’art. 125-bis t.u.b. detta un’articolata disciplina in materia di contenuto e validità dei contratti di credito ai consumatori.
Viene innanzitutto ribadito l’obbligo di forma scritta, su supporto cartaceo o altro supporto durevole, con obbligo di consegna di una copia al cliente (comma 1).
Sono resi applicabili (comma 2) l'articolo 117, commi 2, 3 e 6 (in particolare, vincoli di contenuto e forma, nullità e relativi effetti), nonché gli articoli 118 (modifiche unilaterali), 119, comma 4 (diritto di ottenere documentazione riferita all’ultimo decennio), e 120, comma 2 (anatocismo).
Nessuna somma può essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali (comma 5).
A norma del comma 6, “Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto”.
Il comma 7 disciplina le conseguenze dell’assenza o nullità delle relative clausole contrattuali, come segue:
a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese;
b) la durata del credito è di trentasei mesi.
Ai sensi del comma 8, il contratto è nullo se non contiene le informazioni essenziali ai sensi del comma 1 su:
a) il tipo di contratto;
b) le parti del contratto;
c) l'importo totale del finanziamento e le condizioni di prelievo e di rimborso.
A norma, infine, del comma 9, “In caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili”.
H) – RECESSO DEL CONSUMATORE.
L’art. 125-ter t.u.b. attribuisce al consumatore il diritto di recedere dal contratto di credito entro quattordici giorni; il termine decorre dalla conclusione del contratto o, se successivo, dal momento in cui il consumatore riceve tutte le condizioni e le informazioni previste ai sensi dell'articolo 125-bis, comma 1. In caso di uso di tecniche di comunicazione a distanza il termine è calcolato secondo l'articolo 67-duodecies, comma 3, del Codice del consumo.
È interessante la precisazione, contenuta nella Relazione al d. lgs. n. 141/2010, secondo la quale “con riguardo ai margini di discrezionalità previsti dalla direttiva, non si è ritenuto di escludere il diritto in questione per il caso dell’intervento del notaio nella stipula, in quanto dal punto di vista tecnico non è chiaro cosa debba esattamente fare il notaio per confermare “che al consumatore sono garantiti i diritti di cui agli artt. 5 e 10 della direttiva”, come richiesto dall’art. 14.6; tale fattispecie, peraltro, interesserebbe per lo più solo i crediti ipotecari non destinati all’acquisto dell’abitazione e con durata inferiore ai cinque anni”.
Ai sensi del comma 3, il finanziatore non può pretendere somme ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 2, lettera b) (oltre a capitale ed interessi, rimborso al finanziatore delle somme non ripetibili da questo corrisposte alla pubblica amministrazione).
In base al comma 4, il recesso si estende automaticamente, anche in deroga alle condizioni e ai termini eventualmente previsti dalla normativa di settore, ai contratti aventi a oggetto servizi accessori connessi col contratto di credito, se tali servizi sono resi dal finanziatore ovvero da un terzo sulla base di un accordo col finanziatore. L'esistenza dell'accordo è presunta. È ammessa, da parte del terzo, la prova contraria.
L’art. 125-quater t.u.b. stabilisce che, fermo restando quanto disposto dall'articolo 125-ter, nei contratti di credito a tempo indeterminato il consumatore ha il diritto di recedere in ogni momento senza penalità e senza spese. Il contratto può prevedere un preavviso non superiore a un mese. I contratti di credito a tempo indeterminato possono prevedere il diritto del finanziatore di recedere con un preavviso di almeno due mesi, nonché di sospendere, per una giusta causa, l'utilizzo del credito da parte del consumatore, dandogliene comunicazione in anticipo e, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione.
I) – CONTRATTI COLLEGATI E INADEMPIMENTO DEL FORNITORE.
L’art. 125-quinquies t.u.b. prevede che nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. Vengono quindi regolate in dettaglio le conseguenze e modalità di tale risoluzione.
L) – RIMBORSO ANTICIPATO DEL FINANZIAMENTO.
L’art. 125-sexies t.u.b. attribuisce al consumatore il diritto di rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto.
Si precisa altresì che in caso di rimborso anticipato, il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L'indennizzo non può superare l'1 per cento dell'importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo 0,5 per cento del medesimo importo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno. In ogni caso, l'indennizzo non può superare l'importo degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto.
Il suddetto indennizzo non è dovuto se il rimborso anticipato è effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito; se il rimborso anticipato riguarda un contratto di apertura di credito; se il rimborso anticipato ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale specifica fissa predeterminata nel contratto; se l'importo rimborsato anticipatamente corrisponde all'intero debito residuo ed è pari o inferiore a 10.000 euro.
Sulla disciplina dei contratti di credito al consumo nella Direttiva 2008/48/CE, cfr. la Rassegna relativa al primo semestre 2008, in http://www.gaetanopetrelli.it.
In tema di credito al consumo v. anche, tra la dottrina più recente, MAZZEO, La verifica del merito di credito (D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141), in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 860; BERTI DE MARINIS, Il "credito al consumo" tra problematiche e innovazioni, in Rass. dir. civ., 2010, p. 626; INDRACCOLO, Credito al consumo e principio di protezione effettiva del contraente debole. Prime considerazioni sulla direttiva 48/08/CE (nota a Corte Giustizia CE 4 ottobre 2007, n. C-429/05), in Rass. dir. civ., 2010, p. 267; NAPPI, Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex. art. 3 l. 24 luglio 2008 n. 126, in Banca, borsa e titoli di credito, 2010, I, p. 24; DE CRISTOFARO, Ius poenitendi del consumatore e contratti di credito della Dir. 2008/48/CE, in Giur. it., 2010, p. 232; DI DONNA, La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nella direttiva sul credito al consumo, in Giur. it., 2010, p. 241; FEBBRAJO, La nuova disciplina dei contratti di credito "al consumo" nella Dir. 2008/48 Ce, in Giur. it., 2010, p. 223; MACARIO, Il percorso dell'armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, in Riv. dir. priv., 2009, p. 71; CARRIERO, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d'indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 509; MODICA, Il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplina comunitaria, in Europa e dir. priv., 2009, p. 785; RONCHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore (nota a Trib. Milano 24 ottobre 2008), in Nuova giur. civ., 2009, I, p. 440; PAGLIANTINI, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, in Obbligazioni e contratti, 2009, p. 295; FACHECHI, Credito al consumo: funzione economico-sociale e istanze di tutela, in Rass. dir. civ., 2009, p. 264; CARRIERO, Il credito al consumo, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I, Milano, 2008, p. 359; DE CRISTOFARO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l'armonizzazione "completa" delle disposizioni nazionali concernenti "taluni aspetti" dei "contratti di credito ai consumatori", in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 255.
Con Regolamento (CE) 20 dicembre 2010, n. 1259/2010 (in G.U.U.E. n. L343 del 29.12.2010, in vigore dal 30 dicembre 2010), nell’àmbito di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, è stata adottata una disciplina di diritto internazionale privato tra alcuni Stati membri dell’Unione europea (il Belgio, la Bulgaria, la Germania, la Grecia, la Spagna, la Francia, l'Italia, la Lettonia. il Lussemburgo, l'Ungheria, Malta, l'Austria, il Portogallo, la Romania e la Slovenia). Ciò al fine di garantire ai cittadini soluzioni adeguate per quanto concerne la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità, e impedire le situazioni in cui un coniuge domanda il divorzio prima dell'altro per assicurarsi che il procedimento sia regolato da una legge che ritiene più favorevole alla tutela dei suoi interessi (9° “Considerando”).
Il regolamento presenta un carattere universale: a norma dell’art. 4, la legge designata dal Regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro partecipante. Pertanto, le norme uniformi in materia di conflitto di leggi sono suscettibili di designare la legge di uno Stato membro partecipante, la legge di uno Stato membro non partecipante o la legge di uno Stato non membro dell'Unione europea (12° “Considerando”). Non opera comunque il rinvio: a norma dell’art. 11, quando prescrive l'applicazione della legge di uno Stato, il Regolamento si riferisce alle norme giuridiche in vigore in quello Stato, ad esclusione delle norme di diritto internazionale privato; ciò sia che la legge applicabile sia direttamente prevista dal Regolamento (ex art. 8), sia che venga individuata mediante professio iuris delle parti.
Il Regolamento si applica in circostanze che comportano un conflitto di leggi (art. 1, paragrafo 1). Non si applica, pertanto, quando la fattispecie non presenti elementi di estraneità (es., coniugi aventi la medesima cittadinanza e residenza comune). Nel caso dell’Italia, nonostante l’adozione del criterio di collegamento della nazionalità (art. 31, comma 1, della legge n. 218/1995), può ritenersi integrata una circostanza che comporta un conflitto di leggi, ad esempio, anche nel caso di due coniugi cittadini italiani che abbiano la residenza in Stati diversi.
Il Regolamento non si applica alle questioni preliminari; non si applica, tra l’altro, ai rapporti patrimoniali tra coniugi, alle successioni, al trust, alla responsabilità genitoriale (potestà dei genitori) (art. 1, paragrafo 2). È fatta comunque salva l’applicazione del Regolamento (CE) n. 2201/2003.
Assumono particolare importanza le previsioni degli articoli 5, 6 e 7, in materia di scelta della legge applicabile ad opera delle parti. È riconisciuta una limitata autonomia dei coniugi, i quali possono (art. 5, paragrafo 1) designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti, alternativamente, di una delle seguenti leggi:
a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell'accordo;
b) la legge dello Stato dell'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell'accordo;
c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell'accordo;
d) la legge del foro (intendendosi, evidentemente, per tale quella dello Stato che sarebbe competente a giudicare della separazione o del divorzio).
A norma dell’art. 5, paragrafo 2, l'accordo che designa la legge applicabile può essere concluso e modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale. Ove previsto dalla legge del foro, i coniugi possono del pari designare la legge applicabile nel corso del procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale (art. 5, paragrafo 3).
Deve pertanto ritenersi legittimo l’accordo contenuto in una convenzione matrimoniale, eventualmente anche antecedente al matrimonio (c.d. patti prematrimoniali). Può anzi essere opportuno che i coniugi, in sede di eventuale convenzione matrimoniale, ricorrendo una fattispecie con elementi di estraneità (differenti o plurime cittadinanze, diverse residenze, ecc.) scelgano nel medesimo atto, oltre alla legge applicabile al loro regime patrimoniale (ex art. 30, comma 2, della legge n. 218/1995), anche la legge applicabile all’eventuale divorzio o separazione personale.
Nell’ipotesi di ordinamenti plurilegislativi, occorre distinguere. In presenza di Stati con due o più sistemi giuridici territoriali, quali in particolare gli ordinamenti federali, le parti possono scegliere la legge di una specifica unità territoriale (e anche a tal fine ogni riferimento alla residenza abituale in quello Stato è inteso come riferimento alla residenza abituale in un'unità territoriale); in mancanza di scelta, si applica la legge dell’unità territoriale con la quale i coniugi hanno il legame più stretto (art. 14). In relazione invece agli Stati che presentano due o più sistemi giuridici o complessi di norme applicabili a categorie diverse di persone (ad es., Stati confessionali con più ordinamenti su base religiosa, frequenti in Medio oriente), ogni riferimento alla legge di tale Stato è inteso come riferimento al sistema giuridico determinato dalle norme in vigore in tale Stato. In mancanza di tali norme, si applica il sistema giuridico o il complesso di norme con cui il coniuge o i coniugi hanno il legame più stretto. È quindi preclusa, in questo secondo caso, la scelta del singolo ordinamento personale, nell’ambito dello Stato la cui legge è inizialmente individuata.
L'esistenza e la validità dell’accordo sulla scelta della legge o di una sua disposizione si stabiliscono in base alla legge che sarebbe applicabile in virtù del presente regolamento se l'accordo o la disposizione fossero validi (art. 6, paragrafo 1). Tuttavia, un coniuge, al fine di dimostrare che non ha dato il suo consenso, può riferirsi alla legge del paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale, se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l'effetto del suo comportamento secondo la legge prevista (art. 6, paragrafo 2).
L'accordo di scelta deve essere redatto almeno per iscritto, datato e firmato da entrambi i coniugi (art. 7, paragrafo 1). Tuttavia, se la legge dello Stato membro partecipante in cui entrambi i coniugi hanno la residenza abituale nel momento in cui è concluso l'accordo prevede requisiti di forma supplementari per tali accordi, si applicano tali requisiti (art. 7, paragrafo 2). Se, nel momento in cui è concluso l'accordo, la residenza abituale dei coniugi si trova in Stati membri partecipanti diversi e se la legge di tali Stati prevede requisiti di forma differenti, l'accordo è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti della legge di uno dei due Stati. Se, nel momento in cui è concluso l'accordo, uno solo dei coniugi ha la residenza abituale in uno Stato membro partecipante e se tale Stato prevede requisiti di forma supplementari per questo tipo di accordo, si applicano tali requisiti (art. 7, paragrafi 3 e 4).
Il Regolamento postula la necessità che, prima di designare la legge applicabile, i coniugi abbiano accesso ad informazioni aggiornate relative agli aspetti essenziali della legge nazionale e dell'Unione e delle procedure in materia di divorzio e di separazione personale. Per garantire l'accesso ad appropriate informazioni di qualità, la Commissione le aggiorna regolarmente nel sistema di informazione destinato al pubblico che si avvale di Internet, istituito con decisione 2001/470/CE (17° “Considerando”). La scelta informata di entrambi i coniugi è un principio essenziale del Regolamento. Ciascun coniuge dovrebbe sapere esattamente quali sono le conseguenze giuridiche e sociali della scelta della legge applicabile. La possibilità di scegliere di comune accordo la legge applicabile dovrebbe far salvi i diritti e le pari opportunità per i due coniugi. A tal fine i giudici negli Stati membri partecipanti dovrebbero essere consapevoli dell'importanza di una scelta informata per entrambi i coniugi riguardo alle conseguenze giuridiche dell'accordo raggiunto (18° “Considerando”). Questi principi valorizzano la funzione di informazione e chiarimento svolta dal notaio, in occasione della stipula dell’accordo di scelta della legge applicabile a separazione e divorzio.
In mancanza di scelta della legge applicabile ai sensi dell'articolo 5, il divorzio e la separazione personale sono disciplinati (1) dalla legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; in mancanza (2), dalla legge dello Stato dell'ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l'autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; in mancanza (3), dalla legge dello Stato di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; in mancanza (4), dalla legge dello Stato in cui è adita l'autorità giurisdizionale (art. 8).
L’art. 9 disciplina l’ipotesi della conversione della separazione personale in divorzio: la legge applicata alla separazione personale si applica anche al divorzio, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente. Tuttavia, se la legge applicata alla separazione personale non prevede la conversione della separazione in divorzio, si applica l'articolo 8, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente. I coniugi possono, pertanto, pattuire nell’accordo di scelta che la separazione personale ed il divorzio siano regolati da leggi diverse.
Il Regolamento si applica a decorrere dal 21 giugno 2012 (art. 21, paragrafo 2). Esso pertanto, in linea di principio, si applica ai procedimenti avviati e agli accordi di cui all'articolo 5 conclusi a decorrere dal 21 giugno 2012. Tuttavia, producono effetti anche gli accordi sulla scelta della legge applicabile conclusi prima del 21 giugno 2012, a condizione che siano conformi agli articoli 6 e 7 del Regolamento (art. 18, paragrafo 1).
Il Regolamento fa comunque salvi gli accordi sulla scelta della legge applicabile conclusi conformemente alla legge di uno Stato membro partecipante la cui autorità giurisdizionale sia stata adita prima del 21 giugno 2012 (art. 18, paragrafo 2).
Sono state pubblicate, nel secondo semestre 2010, le seguenti disposizioni legislative e regolamentari regionali in materia di certificazione energetica degli edifici:
1) - Emilia-Romagna.
- Deliberazione della Giunta Regionale in data 20 settembre 2010, n. 1362 (in B.U. n. 126 del 30 settembre 2010), in vigore dal 1° ottobre 2010 - Modifica degli allegati di cui alla parte seconda della Deliberazione dell’Assemblea legislativa n. 156/2008.
2) - Friuli-Venezia Giulia.
- Decreto del Presidente della Regione 25 agosto 2010, n. 0199/Pres. (in B.U. 8.9.2010, n. 36), in vigore dal 9 settembre 2010. – Regolamento recante il sistema di accreditamento dei soggetti abilitati alla certificazione VEA di cui all’articolo 1-bis della legge regionale n. 23/2005 (Disposizioni in materia di edilizia sostenibile) e modifiche al Regolamento recante le procedure per la certificazione VEA emanato con D.P. Reg. n. 0274/Pres. del 2009.
- Legge regionale 21 ottobre 2010, n. 17 (in B.U. n. 43 del 27.10.2010) – Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010.
L’art. 79 della legge n. 17/2010 ha sostituito l’art. 1-bis della legge regionale 18 agosto 2005, n. 23, il cui comma 2 dispone quanto segue:
“La presente legge si applica alle unità immobiliari e agli edifici esistenti nei seguenti casi:
a) trasferimento a titolo oneroso; in tali casi, la certificazione VEA di sostenibilità energetico ambientale degli edifici prevista dall'articolo 6-bis, di seguito certificazione VEA, è presentata dal soggetto alienante, in originale o in copia conforme all'originale, in sede di stipula dell'atto di trasferimento dell'immobile;
b) contratto di locazione, di locazione finanziaria, di affitto di azienda o rinnovo di tali contratti; in tali casi, la certificazione VEA è consegnata dai rispettivi danti causa, in copia conforme all'originale, al locatario o all'affittuario, al momento della sottoscrizione del contratto”.
A norma del comma 5 del suddetto art. 1-bis:
“Nei casi in cui il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia) prevede la certificazione energetica degli edifici la stessa è sostituita dalla certificazione VEA”.
L’art. 84 della legge n. 17/2010 ha modificato l’art. 6-bis della legge regionale n. 23/2005; in particolare, i nuovi commi 3, 4 e 5 di quest’ultimo articolo dispongono quanto segue:
“La certificazione VEA comprende:
a) la certificazione energetica degli edifici di cui al decreto legislativo 192/2005 e successive modifiche e integrazioni;
b) la valutazione della sostenibilità ambientale degli edifici.
4. Gli edifici e le unità immobiliari soggetti alla presente legge sono dotati di certificazione VEA rilasciata dai soggetti individuati ai sensi del regolamento di cui all'articolo 1-bis, comma 6. La certificazione VEA sostituisce e completa la certificazione energetica e la qualificazione energetica degli edifici, previste dal decreto legislativo 192/2005, e successive modifiche e integrazioni.
5. Gli attestati di certificazione energetica, emessi secondo la normativa nazionale prima dell'entrata in vigore della certificazione VEA, sono sostituiti da tale certificazione solo nei casi previsti dall'articolo 1-bis”.
3) - Lombardia.
- Deliberazione della Giunta Regionale 28 luglio 2010, n. 9/335 (in B.U. n. 32 del 9.8.2010) – Certificazione energetica degli edifici pubblici - Aggiornamento del termine finale al 1° luglio 2011.
4) - Piemonte.
- Deliberazione della Giunta Regionale 19 luglio 2010, n. 11-330 (in B.U. n. 29 del 22.7.2010) – Legge regionale 28 maggio 2007, n. 13. Modifiche ai Paragrafi 4.3. e 4.4. dell'Allegato alla D.G.R. e s.m.i. in materia di certificazione energetica degli edifici (formazione dei professionisti abilitati).
5) - Valle d’Aosta.
- Deliberazione della Giunta Regionale 20 agosto 2010, n. 2236 (in B.U. n. 40 del 28.9.2010) - Approvazione, ai sensi degli articoli 9, 10 e 11 della legge regionale n. 21/2008 e successive modificazioni, delle modalità di accreditamento di A) soggetti fisici abilitati al rilascio dell’attestato di certificazione energetica degli edifici e B) soggetti ispettori.
Per lo stato attuale complessivo della normativa regionale vigente (oltre che nazionale), cfr. PETRELLI, Certificazione energetica degli edifici. Prospetto sinottico nazionale e regionale, in http://www.gaetanopetrelli.it.
Con D. Lgs. 29 novembre 2010, n. 224 (in G.U. n. 300 del 24.12.2010), in vigore dal giorno 8 gennaio 2011, sono state dettate disposizioni integrative e correttive del d. lgs. 4 agosto 2008, n. 142, recante attuazione della direttiva 2006/68/CE, relativamente ai conferimenti in natura e di crediti senza relazione di stima.
1) - ARTICOLO 2343-TER C.C.
È stato modificato l’art. 2343-ter c.c., innanzitutto il secondo comma, come segue:
“Fuori
dai casi in cui è applicabile il primo comma, non è altresì richiesta la relazione
di cui all'articolo
2343, primo comma, qualora il
valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e
dell'eventuale sovrapprezzo, ai beni in natura o crediti conferiti sia pari o inferiore:
a)
al fair value iscritto nel bilancio dell'esercizio precedente quello nel
quale è effettuato il conferimento a
condizione che il bilancio sia sottoposto a
revisione legale e la relazione del revisore non esprima rilievi
in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento, ovvero;
b) al valore risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre sei mesi il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento, a condizione che essa provenga da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento, dalla società e dai soci che esercitano individualmente o congiuntamente il controllo sul soggetto conferente o sulla società medesima, dotato di adeguata e comprovata professionalità”.
Dopo il quarto comma, è stato aggiunto il seguente quinto comma:
“Ai fini dell'applicazione del secondo comma, lettera a), per la definizione di "fair value" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea”.
Si è ritenuto cioè necessario definire il concetto di “valore equo”, utilizzato nella precedente versione della disposizione e non sufficientemente determinato.
È stato inoltre modificato – rendendolo conforme alla direttiva – il riferimento al bilancio in cui è iscritto il fair value, che è quello dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui è effettuato il conferimento: ciò significa che il conferimento in natura – sia in sede di costituzione che di aumento di capitale – deve essere eseguito entro la fine dell’esercizio successivo a quello a cui si riferisce il bilancio da cui è tratto il valore, e ciò al fine di evitare che il valore di riferimento divenga obsoleto.
La valutazione dell’esperto può essere preordinata al conferimento, ovvero può trattarsi di valutazione preesistente non preordinata a tal fine.
L’indipendenza dell’esperto deve ritenersi riferita sia alla società, sia al conferente, sia infine agli altri soci (essendo semmai dubbio che possa riferirsi ai soci non di controllo).
2) – ARTICOLO 2343-QUATER C.C.
L’articolo 2343-quater è stato modificato innanzitutto mediante sostituzione del primo comma, come segue:
“Gli amministratori verificano, nel termine di trenta giorni dalla iscrizione della società, se, nel periodo successivo a quello di cui all'articolo 2343-ter, primo comma, sono intervenuti fatti eccezionali che hanno inciso sul prezzo dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario conferiti in modo tale da modificare sensibilmente il valore di tali beni alla data di iscrizione della società nel registro delle imprese, comprese le situazioni in cui il mercato dei valori o strumenti non è più liquido. Gli amministratori verificano altresì nel medesimo termine se, successivamente al termine dell'esercizio cui si riferisce il bilancio di cui alla lettera a) del secondo comma dell'articolo 2343-ter, o alla data della valutazione di cui alla lettera b) del medesimo comma, si sono verificati fatti nuovi rilevanti tali da modificare sensibilmente il valore dei beni o dei crediti conferiti alla data di iscrizione della società nel registro delle imprese, nonché i requisiti di professionalità ed indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b)”.
È stato inoltre sostituito il secondo comma, come segue:
“Qualora gli amministratori ritengano che siano intervenuti i fatti di cui al primo comma, ovvero ritengano non idonei i requisiti di professionalità e indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b), si procede, su iniziativa degli amministratori, ad una nuova valutazione ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2343”.
Dette modifiche sono finalizzate a chiarire che il riferimento al conferimento si colloca, sul piano temporale, nel momento della relativa iscrizione nel registro delle imprese, data a partire dal quale esso è efficace; e che all’esito della verifica da parte degli amministratori non sono essi ad eseguire la nuova valutazione, limitandosi essi ad avviare il procedimento di valutazione.
3) – ARTICOLO 2440 C.C.
L’art. 2440 c.c. è sostituito dal seguente:
“Se
l'aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o di
crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, terzo e quinto comma,
e 2343.
L'aumento
di capitale mediante conferimento di beni in natura o di crediti può essere
sottoposto, su decisione degli
amministratori, alla disciplina di cui agli articoli 2343-ter e
2343-quater.
Ai
fini dell'applicazione dell'articolo
2343-ter, primo comma, rileva il periodo di negoziazione di
sei mesi precedenti la data alla quale si riferisce la relazione degli
amministratori redatta ai sensi dell'articolo 2441, sesto comma. Il
conferimento è eseguito entro sessanta
giorni da tale data, ovvero entro novanta giorni qualora l'aumento sia
deliberato da una società che fa ricorso
al mercato del capitale di rischio.
Qualora
trovi applicazione l'articolo 2343-ter, secondo comma, il conferimento è
eseguito, nel caso di cui alla lettera a), entro il termine
dell'esercizio successivo a quello
cui si riferisce il bilancio,
ovvero, nel caso di cui alla lettera b), entro sei mesi dalla data cui
si riferisce la valutazione.
La
verifica prevista dall'articolo 2343-quater, primo comma, è eseguita
dagli amministratori nel termine di
trenta giorni dall'esecuzione del conferimento ovvero, se successiva, dalla
data di iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di
aumento del capitale. La dichiarazione
di cui all'articolo 2343-quater, terzo comma, è allegata
all'attestazione prevista dall'articolo 2444.
Qualora siano conferiti beni in natura o crediti valutati ai sensi dell'articolo 2343-ter, secondo comma, nel termine indicato al quinto comma uno o più soci che rappresentino, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere che si proceda, su iniziativa degli amministratori, ad una nuova valutazione ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2343; la domanda dei soci non ha effetto qualora gli amministratori all'esito della verifica prevista dal quinto comma procedano ai sensi dell'articolo 2343-quater, secondo comma”.
Le modifiche dell’art. 2440 c.c. – a cui si accompagna l’abrogazione dell’art. 2440-bis c.c. – sono molteplici:
a) – si è innanzitutto estesa, all’ultimo comma del nuovo art. 2440, la facoltà dei soci di minoranza di richiedere una nuova valutazione secondo la procedura ordinaria ex art. 2343 c.c., anche al di fuori dei casi in cui l’aumento di capitale è delegato agli amministratori: pertanto, detta disciplina trova ora applicazione a qualsiasi aumento di capitale nel quale si proceda a valutazione a norma dell’art. 2343-ter c.c. (con l’eccezione dei casi in cui si tratti di conferimento di valori mobiliari o di strumenti del mercato monetario). La domanda dei soci di minoranza non ha però effetto quando gli amministratori, all’esito della verifica, procedano ad avviare una nuova valutazione a norma dell’art. 2343-quater, comma 2, c.c.;
b) – si è precisato che ai fini dell'applicazione dell'articolo 2343-ter, primo comma, c.c. (per i casi, cioè, di conferimento di valori mobiliari o di strumenti del mercato monetario), rileva il periodo di negoziazione di sei mesi precedenti la data alla quale si riferisce la relazione degli amministratori redatta ai sensi dell'articolo 2441, sesto comma. Il conferimento è eseguito entro sessanta giorni da tale data, ovvero entro novanta giorni qualora l'aumento sia deliberato da una società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio;
c) – nei casi di conferimento di beni diversi dai valori mobiliari o da strumenti del mercato monetario), in cui si proceda alla valutazione a norma dell'articolo 2343-ter, secondo comma, il conferimento è eseguito, nel caso di cui alla lettera a), entro il termine dell'esercizio successivo a quello cui si riferisce il bilancio, ovvero, nel caso di cui alla lettera b), entro sei mesi dalla data cui si riferisce la valutazione.
4) – ARTICOLO 2441 C.C.:
È stato modificato il sesto comma dell’art. 2441 c.c. (per l’ipotesi di proposte di aumento del capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione). Il penultimo periodo di tale sesto comma è stato sostituito come segue:
“Il parere del collegio sindacale e, nell'ipotesi prevista dal quarto comma, la relazione giurata dell'esperto designato dal Tribunale ovvero la documentazione indicata dall'articolo 2343-ter, terzo comma, devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione”.
Si è quindi chiarito che anche nell’ipotesi di valutazione ex art. 2343-ter c.c., deve essere depositata ai suddetti fini presso la sede sociale, nei quindici giorni che precedono l’assemblea, la documentazione inerente alla stessa valutazione.
5) – ARTICOLO 2443 C.C.:
Stante l’abrogazione dell’art. 2440-bis c.c., all’art. 2443 c.c. è aggiunto, dopo il terzo comma, il seguente:
“Se agli amministratori è attribuita la facoltà di adottare le deliberazioni di cui all'articolo 2441, quarto comma, qualora essi decidano di deliberare l'aumento di capitale con conferimenti di beni in natura o di crediti senza la relazione dell'esperto di cui all'articolo 2343, avvalendosi delle disposizioni contenute nell'articolo 2343-ter, il conferimento non può avere efficacia, salvo che consti il consenso di tutti i soci, prima del decorso del termine di trenta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di aumento, contenente anche le dichiarazioni previste nelle lettere a), b), c) ed e), di cui all'articolo 2343-quater, terzo comma. Entro detto termine uno o più soci che rappresentano, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere che si proceda, su iniziativa degli amministratori, ad una nuova valutazione ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 2343. In mancanza di tale domanda, gli amministratori depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese unitamente all'attestazione di cui all'articolo 2444 la dichiarazione prevista all'articolo 2343-quater, terzo comma, lettera d)”.
Si precisa quindi, in coerenza con la direttiva comunitaria, che il conferimento a fronte dell’aumento di capitale delegato produce i suoi effetti solo dopo che sia inutilmente decorso il termine per la richiesta di una nuova valutazione da parte della minoranza; in alternativa l’aumento delegato può avere efficacia anteriormente solo se consta il consenso di tutti i soci.
Sulla disciplina in esame, come modificata dal d. lgs. n.
142/2008, cfr. anche la Rassegna relativa al secondo semestre
2008, in http://www.gaetanopetrelli.it.
V. inoltre in dottrina – a parte la trattatistica in materia di società per azioni – LAZZARO, La nuova disciplina dei conferimenti di beni in natura o crediti senza relazione di stima, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 649; TACCONI, Appunti ed osservazioni sull'art. 2343-ter c.c., in Vita not., 2010, p. 1145; PERONE, La nuova disciplina della stima dei conferimenti diversi dal danaro in società per azioni, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 213; SPERANZIN, Appunti sull'art. 2440-bis, in Riv. soc., 2010, p. 499; OLIVIERI, I sistemi alternativi di valutazione dei conferimenti in natura nelle s.p.a., in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 227; SALAMONE, Le verifiche della valutazione semplificata del conferimento "non in contanti", in Giur. comm., 2010, I, p. 47; MALTONI, Questioni in merito all'applicazione della disciplina dell'art. 2343-ter c.c., in Studi e materiali, 2009, 4, p. 1437; IBBA, Osservazioni sulla stima dei così detti conferimenti senza stima, in Giur. comm., 2009, I, p. 929; CARATOZZOLO, Il "valore equo" nella disciplina alternativa della valutazione dei conferimenti in natura, in Società, 2009, p. 1201; MANIGLIO, Le novità introdotte dal d. lgs. 142/2008 in tema di conferimenti nelle s.p.a., in Vita not., 2009, p. 601; MORO VISCONTI, Conferimenti in natura e valore equo nel nuovo art. 2343-ter c.c., in Società, 2009, p. 859; FERRI, La nuova disciplina dei conferimenti in natura in società per azioni: considerazioni generali, in Società, 2009, p. 253; DE LUCA-DE BIASI, Conferimento di beni in natura o crediti senza relazione di stima, in Nuove leggi civ., 2009, p. 428; DE LUCA, Fatti eccezionali o rilevanti che incidono sulla valutazione, in Nuove leggi civ., 2009, p. 435; TULLIO, Conferimenti di beni in natura e di crediti (aumento del capitale), in Nuove leggi civ., 2009, p. 463; MALTONI, Brevi considerazioni sulla disciplina dell'art. 2343-ter c.c., in Riv. not., 2009, p. 387; ABRIANI, Il nuovo regime dei conferimenti in natura senza relazione di stima, in Riv. not., 2009, p. 295; CORSI, Conferimenti in natura "senza stima": prime valutazioni, in Giur. comm., 2009, I, p. 12; TEDESCHINI-GINEVRI, La nuova disciplina dei conferimenti in natura e dell'assistenza finanziaria nelle s.p.a.: primi spunti applicativi, in Giur. comm., 2009, I, p. 58; NOTARI, Il regime normativo della valutazione dei conferimenti in natura in società per azioni, in Riv. soc., 2009, p. 54; SPOLIDORO, Attuazione della direttiva 2006/68/CE su conferimenti non in contanti, acquisto di azioni proprie e assistenza finanziaria, in Notariato, 2009, p. 64; PAOLINI, Nuova disciplina dei conferimenti in natura senza relazione di stima, in Studi e materiali, 2009, 1, p. 408; FERRARI, D.Lgs n. 142/2008: conferimenti, acquisto di azioni proprie e altre operazioni della società (nota a D.Lgs. 4.8.2008 n. 142), in Società, 2008, p. 1427.
Con D. Lgs. 29 novembre 2010, n. 224 (in G.U. n. 300 del 24.12.2010), in vigore dal giorno 8 gennaio 2011, sono state dettate disposizioni integrative e correttive del d. lgs. 4 agosto 2008, n. 142, recante attuazione della direttiva 2006/68/CE che modifica la direttiva 77/91/CEE, relativamente al regime delle azioni proprie.
1) – ARTICOLO 2357-TER C.C.
Il secondo comma dell’articolo 2357-ter c.c., è stato sostituito come segue:
“Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il computo delle azioni proprie è disciplinato dall'articolo 2368, terzo comma”.
Nel previgente testo dell’art. 2357-ter, comma 2, c.c., si prevedeva la possibilità per l’assemblea di autorizzare l’esercizio totale o parziale del diritto di opzione per le azioni proprie; con ciò, tuttavia, si violava la previsione della seconda direttiva CEE, secondo la quale è vietata alle società per azioni la sottoscrizione delle azioni proprie. Coerentemente con la direttiva, quindi, il nuovo testo del secondo comma dell’art. 2357-ter c.c. dispone che, finché le azioni restano in proprietà della società, “il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni”.
Il nuovo secondo comma dell’art. 2357-ter c.c. detta anche una disciplina più coerente del computo delle azioni proprie ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, ferma la sospensione del diritto di voto per tali azioni, distinguendo tra società chiuse, e società che fanno ricorso al capitale di rischio:
a) – nelle società chiuse, le azioni proprie sono computate ai fini sia del quorum costitutivo che del quorum deliberativo; tale computo ha luogo in ogni caso, quindi anche nell’ipotesi in cui la legge non assume il capitale sociale quale denominatore per il calcolo dei quorum assembleari, e ciò – secondo la relazione al decreto – al fine di evitare “che l’acquisto di azioni proprie (effettuato con risorse comuni) diventi strumentale alla modifica del peso organizzativo delle partecipazioni all’interno dell’assemblea (a ingiustificato vantaggio di alcuni e a danno di altri)”;
b) – invece, nelle società aperte, viene fatto rinvio al terzo comma dell’art. 2368 c.c., che prevede il computo delle azioni per cui non può essere esercitato il diritto di voto ai fini del quorum costitutivo, ed invece l’esclusione del computo di dette azioni ai fini del quorum deliberativo. Ciò in coerenza con il fatto che tutte le norme che stabiliscono i quorum deliberativi nelle società aperte fanno sempre riferimento al solo capitale rappresentato di volta in volta in assemblea; è allora evidente che le azioni proprie, non essendo rappresentate (stante la sospensione del diritto di voto), sono irrilevanti per l’adozione delle delibere.
2) – ARTICOLO 2359-BIS C.C.
Il terzo comma dell’art. 2359-bis c.c. è stato sostituito come segue:
“In nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi primo e secondo può eccedere la quinta parte del capitale della società controllante qualora questa sia una società che faccia ricorso al mercato del capitale di rischio, tenendosi conto a tal fine delle azioni possedute dalla medesima società controllante o dalle società da essa controllate”.
È stato, quindi, imposto – trattandosi di società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio – il nuovo limite della quinta parte del capitale sociale (in luogo del precedente del decimo del capitale) riguardo all’acquisto delle azioni della società controllante da parte delle controllate; coordinando, in tal modo, la previsione in oggetto con quella dell’art. 2357, comma 3, c.c., come modificato dalla legge 9 aprile 2009, n. 33. Con riferimento, invece, alle società chiuse, permane unicamente il limite stabilito dall’art. 2359-bis, comma 1, c.c. – valido per tutte le società per azioni – in base al quale la società controllata può acquistare azioni o quote della controllante solo nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio, e purché si tratti di azioni interamente liberate.
3) – ARTICOLO 132 T.U.F.
Trattandosi di azioni assegnate ai dipendenti, è stato modificato l’art. 132, comma 3, del t.u.f. (d. lgs. n. 58/1998), dichiarando applicabili le cautele previste dal t.u.f. a garanzia della parità di trattamento anche per le azioni assegnate ai dipendenti in esecuzione dei piani di compenso approvati a norma dell’art. 114-bis del t.u.f.
4) – ARTICOLO 172 T.U.F.
È stato sostituito l’art. 172, comma 2, t.u.f., al fine di dichiarare inapplicabili le sanzioni penali previste per gli amministratori che violino le disposizioni in tema di acquisto di azioni proprie, nei casi in cui “l'acquisto è operato sul mercato regolamentato secondo modalità diverse da quelle stabilite dalla Consob con regolamento, ma comunque idonee ad assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti”.
Per gli altri aspetti della disciplina in esame, come modificata prima dal d. lgs. n. 142/2008, e successivamente dall’art. 7, comma 3-sexies, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in legge 9 aprile 2009, n. 33, cfr. la Rassegna relativa al secondo semestre 2008, e la Rassegna relativa al primo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it.
V. inoltre in dottrina DEMURO, L'assistenza finanziaria nell'acquisto di proprie azioni, in Giur. comm., 2010, I, p. 229; CARRIÈRE, La nuova disciplina dell'assistenza finanziaria, in Società, 2010, p. 7; MARASÁ, Considerazioni introduttive sul d. legis. n. 142/2008 di attuazione delle modifiche alla seconda direttiva comunitaria in materia di s.p.a., in Nuova giur. civ., 2009, II, p. 569; STELLA RICHTER, L'acquisto delle proprie azioni dopo il D. Lgs. 142/2008, in Studi e materiali, 2009, 3, p. 1033; STELLA RICHTER, Novità in tema di acquisto delle proprie azioni, in Società, 2009, p. 286; MARGIOTTA-PUGLISI, Riflessioni in tema di azioni proprie, in Riv. not., 2009, p. 789; DE LUCA, Acquisto delle proprie azioni (limiti), in Nuove leggi civ., 2009, p. 445; ANNARATONE, Altre operazioni sulle proprie azioni, in Nuove leggi civ., 2009, p. 454.
Gli artt. da 7 a 10 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), costituenti il Titolo III di detto decreto, come modificati dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), dettano una nuova disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario.
A) – INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITÀ FINANZIARIE, RISERVATE O MENO.
È innanzitutto modificato l’art. 106 t.u.b., il quale ora dispone, al primo comma, che “L'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia”.
Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 106, comma 1, non costituisce più attività riservata quella di assunzione di partecipazioni (nei confronti del pubblico o meno), in continuità del resto con quanto già disposto dall’art. 12 del D.M. n. 29/2009 (di cui infra). Pertanto, gli statuti societari possono prevedere liberamente nell’oggetto sociale, quale attività prevalente o anche esclusiva, l’assunzione di partecipazioni (anche nei confronti del pubblico).
A norma dell’art. 106, comma 2, t.u.b., “Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono prestare servizi di pagamento, a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell'articolo 114-novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, nonché prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Gli intermediari finanziari possono altresì esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d'Italia”.
Quanto ai servizi di pagamento, gli stessi sono riservati agli istituti di pagamento, a norma del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11.
Quanto all’intermediazione in cambi, la Relazione al d. lgs. n. 141/2010 precisa che la stessa può configurare, a secondad ei casi, o un servizio di pagamento, o un servizio di investimento, e rientra quindi nel disposto dell’art. 106, comma 2, t.u.b.
Ai sensi dell’art. 106, comma 3, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, specifica il contenuto delle attività di finanziamento, nonché in quali circostanze ricorra l'esercizio nei confronti del pubblico. Nelle more delle suddette disposizioni attuative, occorre far riferimento per tali profili a quanto disposto dal D.M. n. 29/2009: l’attività di concessione di finanziamenti comprende, tra l’altro, ogni tipo di finanziamento connesso ad operazioni di locazione finanziaria, acquisto di crediti, credito al consumo, credito ipotecario, rilascio di fideiussioni, impegni di firma e garanzie in genere (art. 3). Essa si considera esercitata nei confronti del pubblico qualora sia svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità (art. 9, comma 1). Non configurano operatività nei confronti del pubblico le attività esercitate esclusivamente nei confronti del gruppo di appartenenza (art. 9, comma 2). L'attività di credito al consumo si considera comunque esercitata nei confronti del pubblico anche quando è limitata all'ambito dei soci (art. 9, comma 4). L'attività di rilascio di garanzie è esercitata nei confronti del pubblico quando anche uno solo tra il garantito e il beneficiario della garanzia non faccia parte del gruppo dell'intermediario finanziario (art. 9, comma 5).
B) – REQUISITI PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO E PER L’AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ.
A norma del nuovo art. 107 t.u.b., la Banca d'Italia autorizza gli intermediari finanziari ad esercitare la propria attività al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) sia adottata la forma di società di capitali (non è più menzionata, a differenza del precedente art. 106, comma 3, t.u.b., la forma della società cooperativa);
b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica;
c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia anche in relazione al tipo di operatività (non è più posto il limite di cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni);
d) venga presentato un programma concernente l'attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto;
e) il possesso da parte dei titolari di partecipazioni di cui all'articolo 19 e degli esponenti aziendali dei requisiti previsti ai sensi degli articoli 25 e 26;
f) non sussistano, tra gli intermediari finanziari o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l'effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza;
g) l'oggetto sociale sia limitato alle sole attività di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 106.
C) – SOCIETÀ CHE ESERCITANO IL MICROCREDITO.
A norma del nuovo art. 111 t.u.b., ed in deroga all’art. 106, comma 1, t.u.b., possono esercitare il microcredito, avente le caratteristiche infra descritte, determinati soggetti per i quali non è richiesta l’iscrizione nell’albo tenuto dalla Banca d’Italia, ex art. 106 t.u.b., ma unicamente l’iscrizione in un elenco, tenuto dall'organismo indicato all'articolo 113, con requisiti semplificati. Detti soggetti possono concedere finanziamenti a persone fisiche o società di persone o società cooperative, per l'avvio o l'esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa, a condizione che i finanziamenti concessi abbiano le seguenti caratteristiche:
a) siano di ammontare non superiore a euro 25.000,00 e non siano assistiti da garanzie reali;
b) siano finalizzati all'avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all'inserimento nel mercato del lavoro;
c) siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati.
Possono essere iscritti nell’elenco i soggetti che presentino i seguenti requisiti:
a) forma di società di capitali;
b) capitale versato di ammontare non inferiore a quello stabilito dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, a norma del comma 5;
c) requisiti di onorabilità dei soci di controllo o rilevanti, nonché di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali, ai sensi del comma 5;
d) oggetto sociale limitato alle sole attività suindicate, nonché alle attività accessorie e strumentali;
e) presentazione di un programma di attività.
I soggetti di cui al comma 1 possono erogare in via non prevalente finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, purché i finanziamenti concessi siano di importo massimo di euro 10.000, non siano assistiti da garanzie reali, siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare e abbiano lo scopo di consentire l'inclusione sociale e finanziaria del beneficiario e siano prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato.
In deroga all'articolo 106, comma 1, i soggetti giuridici senza fini di lucro in possesso delle caratteristiche individuate con le disposizioni attuative, possono, se iscritti in una sezione separata dell'elenco, svolgere le attività suddescritte (sostanzialmente a favore dei propri associati), a condizione che i finanziamenti siano concessi a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato.
L’organismo di cui all’art. 113 vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della disciplina cui sono sottoposti; esso è a sua volta vigilato dalla Banca d’Italia.
D) – CONFIDI.
Gli artt. 112 e 112-bis t.u.b. disciplinano il nuovo regime dei confidi (i quali, per il resto, rimangono disciplinati dall’art. 13 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326).
I confidi, anche di secondo grado, quando non superino un determinato volume di attività finanziaria stabilito dal Ministero dell’economia e delle finanze, sono iscritti soltanto in un elenco tenuto da apposito Organismo, previsto dall'articolo 112-bis t.u.b., ed esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell'economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla legge. Nel caso in cui non venga superato il suddetto volume di attività, i confidi sono quindi soggetti unicamente ad iscrizione nell’elenco speciale; in questo caso non si applicano ad essi le disposizioni del titolo V del t.u.b.
L'iscrizione nell’elenco speciale è subordinata al ricorrere delle condizioni di forma giuridica, di capitale sociale o fondo consortile, patrimoniali, di oggetto sociale e di assetto proprietario individuate dall’art. 13 del d.l. n. 269/2003, e successive modificazioni, nonché al possesso da parte di coloro che detengono partecipazioni e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti ai sensi degli articoli 25 e 26 del t.u.b. La sede legale e quella amministrativa devono essere situate nel territorio della Repubblica.
Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, determina i criteri oggettivi, riferibili al superamento di un determinato volume di attività finanziaria, in base ai quali sono individuati i confidi che sono tenuti a chiedere l'autorizzazione per l'iscrizione nell'albo previsto dall'articolo 106. In deroga all'articolo 106, per l'iscrizione nell'albo i confidi possono adottare la forma di società consortile a responsabilità limitata.
I confidi iscritti nell'albo esercitano in via prevalente l'attività di garanzia collettiva dei fidi.
I confidi iscritti nell'albo ex art. 106 possono inoltre svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, le seguenti attività:
a) prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie;
b) gestione, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, t.u.b., di fondi pubblici di agevolazione;
c) stipula, ai sensi dell'articolo 47, comma 3, t.u.b., di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione.
Giusta quanto sopra, l’art. 9 del d. lgs. n. 141/2010 ha modificato anche:
1) – l’art. 38-bis, comma 1, secondo periodo, del d.p.r. n. 633/1972, prevedendo che – per le piccole e medie imprese – le garanzie per i rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto possono essere prestate anche dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi di cui all’art. 29 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, iscritte nell’albo previsto dall’art. 106 t.u.b.;
2) – l’art. 8, comma 2, terzo periodo, del d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (in tema di dilazione dei versamenti dovuti per l’accertamento con adesione), precisando che per il versamento di tali somme il contribuente è tenuto a prestare idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) iscritti nell'albo previsto dall’art. 106 t.u.b.;
3)
– l’art. 48, comma 3, secondo periodo, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in
tema di dilazione dei versamenti dovuti a seguito di conciliazione
giudiziale nel processo tributario), disponendo che in caso di scelta della
forma rateale deve essere prestata, se l'importo delle rate successive alla
prima è superiore a 50.000 euro, di idonea garanzia mediante polizza
fideiussoria o fideiussione bancaria ovvero rilasciata dai consorzi di
garanzia collettiva dei fidi (Confidi) iscritti nell'albo previsto dall’art.
106 t.u.b.
I confidi iscritti nell'albo ex art. 106 possono infine, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell'articolo 106, comma 1, t.u.b., nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d'Italia.
E) – ABUSO DI DENOMINAZIONE.
L’art. 8 del d. lgs. n. 114/2010 ha inserito nell’art. 133 del t.u.b. il nuovo comma 1-quater, a norma del quale “L'uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della parola "finanziaria" ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell'attività finanziaria loro riservata è vietato ai soggetti diversi dagli intermediari finanziari di cui all'articolo 106”.
Il divieto si aggiunge pertanto a quelli, preesistenti, previsti dal medesimo art. 133 t.u.b. di utilizzo delle parole «banca», «banco», «credito», «risparmio», dell'espressione «moneta elettronica», dell'espressione «istituto di pagamento», ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione all’esercizio delle corrispondenti attività riservate.
Chiunque contravvenga a tali divieti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.164 a euro 51.645.
F) – DISPOSIZIONI TRANSITORIE RIGUARDO ALL’ISCRIZIONE NELL’ALBO E NEGLI ELENCHI.
Per effetto della razionalizzazione operata dal d. lgs. n. 141/2010, è eliminato l’elenco speciale di cui al previgente art. 107 t.u.b.: tutti gli intermediari che esercitano l’attività di finanziamento nei confronti del pubblico devono iscriversi nell’albo indicato dall’art. 106 t.u.b. Sono, inoltre, soppressi gli elenchi speciali già disciplinati dagli artt. 113 e 155 t.u.b., e sono invece istituiti nuovi elenchi speciali, in particolare per i confidi, i soggetti che esercitano il microcredito, gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi.
Quanto sopra, salva la complessa disciplina transitoria dettata dall’art. 10 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dal d. lgs. n. 218/2010:
- comma 1: fermo restando quanto previsto dall'articolo 37 del d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, per le attività diverse dalla prestazione di servizi di pagamento gli intermediari finanziari e i confidi che, alla data del 3 dicembre 2010, risultavano iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106, nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 o nella sezione di cui all'articolo 155, comma 4, del d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, nonché le società fiduciarie previste dall'articolo 199, comma 2, del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dal d. lgs. n. 141/2010, possono continuare a operare per un periodo di 12 mesi successivi al completamento degli adempimenti di cui al comma 3, infra indicati;
- comma 2: fino alla scadenza del periodo suindicato e comunque fino al completamento degli adempimenti di cui al comma 4, la Banca d'Italia continua a tenere l'elenco generale, l'elenco speciale e le sezioni separate previste dalle disposizioni del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010; fino al completamento degli adempimenti indicati al comma 3 possono essere iscritti nuovi soggetti, ai quali si applicano i commi 1, 4 e 8;
- comma 3: l'iscrizione nell'albo e negli elenchi, ivi comprese le relative sezioni separate, previsti dalla nuova disciplina introdotta con il Titolo III del d. lgs. n. 141/2010, è subordinata all'entrata in vigore delle disposizioni attuative nonché, per gli elenchi, alla costituzione degli Organismi ivi previsti, se posteriore. Le Autorità competenti provvedono all'emanazione delle disposizioni attuative e alla costituzione degli Organismi al più tardi entro il 31 dicembre 2011;
- al comma 4 sono disciplinati i termini e le modalità per la richiesta, da parte degli intermediari finanziari, di autorizzazione ed iscrizione nei nuovi albi ed elenchi, o della cancellazione (in caso di esercizio dell’attività di assunzione di partecipazioni nei confronti del pubblico e di intermediazione in cambi);
- commi 5 e 6: in caso di mancato accoglimento delle istanze di cui al comma 4, o di mancata presentazione delle stesse, i soggetti ivi indicati deliberano la liquidazione della società ovvero modificano il proprio oggetto sociale, eliminando il riferimento ad attività riservate ai sensi di legge. Per le società fiduciarie di cui al comma 4 il mancato accoglimento dell'istanza comporta la decadenza dell'autorizzazione di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1966;
- comma 7: dalla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 141/2010 (3 dicembre 2010) sono soppressi gli elenchi previsti dagli articoli 113 e 155, comma 5 del d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, e cancellati i soggetti ivi iscritti.
- comma 8: fino alla data di entrata di vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo III del d. lgs. n. 141/2010, e, per i soggetti di cui ai commi 1 e 2, fino al completamento degli adempimenti di cui al comma 4, continuano ad applicarsi, salvo quanto previsto dai Titoli I e II del d. lgs. n. 141/2010, le norme del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 abrogate o sostituite dal d. lgs. n. 141/2010 e le relative disposizioni di attuazione, ivi compresi gli articoli 132, comma 1, 133, 139, 140 e 144, commi 1 e 2, e ad eccezione degli articoli 113, 132, comma 2, 155, commi 2 e 5; continuano altresì ad applicarsi le norme sostituite dall'articolo 9, commi 1, 2, 4, 5 e 6;
- comma 8-bis: fino alla data di entrata di vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo III del d. lgs. n. 141/2010, l'articolo 106 del t.u.b., vigente alla data del 4 settembre 2010, continua ad applicarsi, ad eccezione del comma 7, limitatamente all'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. In attesa delle disposizioni di attuazione di cui all'articolo 106, comma 3, t.u.b., come modificato dal d. lgs. n. 141/2010, non configura esercizio nei confronti del pubblico l'attività di rilascio di garanzie quando il garante e l'obbligato garantito facciano parte del medesimo gruppo. Per gruppo si intendono le società controllanti e controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile nonché le società controllate dalla stessa controllante;
- comma 9: a decorrere dall'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo III del d. lgs. n. 141/2010, tutte le disposizioni legislative che fanno riferimento agli intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 o 107 del t.u.b., vigenti alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite agli intermediari finanziari iscritti nell'albo di cui all'articolo 106 del medesimo t.u.b., come modificato dal d. lgs. n. 141/2010. Le disposizioni legislative che fanno riferimento ai confidi iscritti nella sezione separata dell'elenco di cui all'articolo 106 del t.u.b., vigente alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite ai confidi iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 112, comma 1 del nuovo t.u.b.; quelle che fanno riferimento ai confidi iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del t.u.b., vigente alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite ai confidi iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del nuovo t.u.b. Ai soggetti abilitati ai sensi dell'articolo 111 del nuovo t.u.b., si applica l'articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108.
G) – AGENTI IN ATTIVITÀ FINANZIARIA E MEDIATORI CREDITIZI.
Gli artt. da 11 a 26 del d. lgs. n. 141/2010, come modificati dal d. lgs. n. 218/2010, dettano una nuova disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. È stato, a tal fine, introdotto il nuovo Titolo VI-bis (artt. da 128-quater a 128-quaterdecies) nel t.u.b. (d. lgs. n. 385/1993).
A norma dell’art. 128-quater t.u.b. è agente in attività finanziaria il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari previsti dal titolo V, istituti di pagamento o istituti di moneta elettronica. Gli agenti in attività finanziaria possono svolgere esclusivamente l'attività indicata suddetta, nonché attività connesse o strumentali. L'esercizio professionale nei confronti del pubblico dell'attività di agente in attività finanziaria è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall'Organismo previsto dall'articolo 128-undecies. In deroga a quanto sopra, gli agenti in attività finanziaria possono inoltre svolgere attività di promozione e collocamento di contratti relativi a prodotti bancari su mandato diretto di banche ed a prodotti di Bancoposta su mandato diretto di Poste Italiane S.p.A. A norma dell’art. 16, comma 2, del d. lgs. n. 141/2010, il capitale sociale versato deve essere almeno pari a quello previsto dall'articolo 2327 del codice civile. L'ammontare del capitale minimo può essere modificato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
L’art. 128-quinquies disciplina i requisiti per l’iscrizione nel suddetto elenco; tra gli altri, ove si tratti di soggetti diversi dalle persone fisiche, occorre un oggetto sociale conforme con quanto disposto dall'articolo 128-quater, comma 1, ed il rispetto dei prescritti requisiti patrimoniali, organizzativi e di forma giuridica. Cfr. inoltre i requisiti di professionalità e onorabilità, previsti dagli artt. 14 e 15 del d. lgs. n. 141/2010.
A norma dell’art. 128-sexies t.u.b., è mediatore creditizio il soggetto che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari previsti dal titolo V con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. L'esercizio professionale nei confronti del pubblico dell'attività di mediatore creditizio è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall'Organismo previsto dall'articolo 128-undecies. Il mediatore creditizio può svolgere esclusivamente l'attività indicata al comma 1 nonché attività connesse o strumentali. Il mediatore creditizio svolge la propria attività senza essere legato ad alcune delle parti da rapporti che ne possano compromettere l'indipendenza.
L’art. 128-septies disciplina i requisiti per l’iscrizione dei mediatori creditizi nell’elenco: occorre tra l’altro la forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; l’oggetto sociale conforme con quanto previsto dall'articolo 128-sexies, comma 3, e il rispetto dei prescritti requisiti di organizzazione. A norma dell’art. 16, comma 2, del d. lgs. n. 141/2010, il capitale sociale versato deve essere almeno pari a quello previsto dall'articolo 2327 del codice civile. L'ammontare del capitale minimo può essere modificato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
A norma dell’art. 128-octies, è vietata la contestuale iscrizione nell'elenco degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
Agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi si applicano, in quanto compatibili, le norme del titolo VI del t.u.b. in materia di trasparenza (art. 128-decies).
A norma dell’art. 12 del d. lgs. n. 141/2010, non costituisce esercizio di agenzia in attività finanziaria, né di mediazione creditizia:
a) la promozione e la conclusione, da parte di fornitori di beni e servizi, di contratti di finanziamento unicamente per l'acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con le banche e gli intermediari finanziari. In tali contratti non sono ricompresi quelli relativi al rilascio di carte di credito;
b) la promozione e la conclusione, da parte di banche, intermediari finanziari, imprese di investimento, società di gestione del risparmio, SICAV, imprese assicurative, istituti di pagamento e Poste italiane S.p.A. di contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e alla prestazione di servizi di pagamento;
c) la stipula, da parte delle associazioni di categoria e dei Confidi, di convenzioni con banche, intermediari finanziari ed altri soggetti operanti nel settore finanziario finalizzate a favorire l'accesso al credito delle imprese associate. Per la raccolta di richieste di finanziamento effettuate sulla base di dette convenzioni, le associazioni possono avvalersi di soggetti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 128-novies, comma 1.
A norma del suddetto art. 12, comma 1, del d. lgs. n. 141/2010, per l'esercizio dell'attività di incasso di fondi su incarico di istituti di pagamento o di istituti di moneta elettronica non è necessaria l'iscrizione nell'elenco degli agenti in attività finanziaria, a condizione che detta attività sia svolta sulla base di un contratto di esternalizzazione, che ne predetermini le modalità di svolgimento, abbia carattere meramente materiale, non determini l'insorgere di rapporti di debito o di credito e in nessun caso sia accompagnata da poteri dispositivi.
A norma dell’art. 13 del d. lgs. n. 141/2010, ai mediatori creditizi è vietato concludere contratti, nonché effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l'erogazione di finanziamenti e ogni forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito. I mediatori creditizi possono raccogliere le richieste di finanziamento sottoscritte dai clienti, svolgere una prima istruttoria per conto dell'intermediario erogante e inoltrare tali richieste a quest'ultimo.
A
norma del nuovo art. 140-bis t.u.b. (esercizio abusivo dell’attività),
chiunque esercita professionalmente nei confronti del pubblico l'attività di agente
in attività finanziaria senza essere iscritto nell'elenco di cui
all'articolo 128-quater, comma 2, è punito con la reclusione da 6 mesi a
4 anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329.
Chiunque esercita professionalmente nei confronti del pubblico l'attività di mediatore
creditizio senza essere iscritto nell'elenco di cui all'articolo 128-sexies,
comma 2, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da euro
2.065 a euro 10.329.
L’art. 26 del d. lgs. n. 141/2010 detta la disciplina transitoria.
Sulle modifiche normative in oggetto, cfr. GOFFREDO-BERNERI, La revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario (d. lgs. 13 agosto 2010, n. 141), in Società, 2010, p. 1491.
Cfr. anche, per quanto riguarda il Regolamento in materia di intermediari finanziari, di soggetti non operanti nei confronti del pubblico e dei confidi, approvato con D.M. 17 febbraio 2009, n. 29, ed ancora parzialmente operante fino all’emanazione delle previste disposizioni attuative del d. lgs. n. 141/2010, la Rassegna relativa al primo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
L’art. 9 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), in vigore dal 18 dicembre 2010, ha sostituito l’art. 199 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di società fiduciarie.
La nuova disposizione, oltre a far salva – fino alla riforma organica della disciplina delle società fiduciarie e di revisione – l’applicazione della legge 23 novembre 1939, n. 1966, e dell’art. 60, comma 4, del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415 – stabilisce che le società fiduciarie che svolgono attività di custodia e amministrazione di valori mobiliari (c.d. società fiduciarie di gestione statica), che sono controllate direttamente o indirettamente da una banca o da un intermediario finanziario, nonché quelle che abbiano adottato la forma di società per azioni e che abbiano capitale versato di ammontare non inferiore al doppio di quello richiesto dall'articolo 2327 del codice civile, sono iscritte in una sezione separata dell'albo previsto dall’art. 106 t.u.b., anche qualora non esercitino le attività elencate nel comma 1 del medesimo articolo.
Il diniego dell'autorizzazione comporta la decadenza dell'autorizzazione di cui all’art. 2 della legge n. 1966/1939.
La Banca d'Italia esercita i poteri indicati all'articolo 108, al fine di assicurare il rispetto da parte delle società fiduciarie iscritte nella sezione separata delle disposizioni contenute nel d. lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (in materia di contrasto al riciclaggio di denaro di provenienza illecita e al terrorismo).
Alle società fiduciarie iscritte si applicano gli artt. 110, 113-bis, 113-ter del t.u.b., in quanto compatibili.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 3, commi da 4-ter a 4-quinquies, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in legge 9 aprile 2009, n. 33, relativo alle reti di imprese, aggiungendo inoltre i commi da 4-ter.1 a 4-ter.2.
Si precisa innanzitutto che con il contratto di rete più imprenditori – al fine di perseguire lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato – si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Si pone quindi, nella nuova disciplina come sopra dettata, il problema di individuare la natura giuridica della rete di imprese: la facoltatività dell’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune di gestione, e nel contempo la possibilità di darvi luogo, depongono per un’ampio spazio lasciato all’autonomia privata, che – nel rispetto degli scopi indicati nel comma 4-ter, può dar luogo ad un vero e proprio ente di tipo consortile (quello in oggetto appare, infatti, uno scopo consortile “speciale”), dotato di propria soggettività ed autonomia patrimoniale, eventualmente governato dal principio di maggioranza, o alternativamente può dare origine ad un mero contratto privo di rilevanza “reale” esterna.
Posto che, ai sensi del comma 4-quater, il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese, si precisa, ancora, che “ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata”. A differenza della precedente versione del comma 4-ter, quindi, la forma autentica non appare più requisito imposto ad substantiam actus, ma unicamente presupposto per l’esecuzione degli adempimenti pubblicitari. Alla luce dell’art. 72 della legge n. 89/1913, come modificato dalla legge n. 246/2005, appare indubitabile che, nel caso di scelta della scrittura privata autenticata, la stessa debba essere conservata nella raccolta degli atti del notaio autenticante, in quanto atto destinato alla pubblicità commerciale.
A norma del comma 4-quater, l’efficacia del contratto di rete – che già prima era soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante – inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Dirimendo ogni dubbio che poteva sorgere dall’originaria formulazione della disposizione, la nuova previsione rende inequivoca la sospensione erga omnes dell’efficacia – quindi non solo nei rapporti con i terzi, ma anche inter partes – fin quando non è eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte nel registro delle imprese.
Viene poi disciplinato in maggior dettaglio il contenuto del contratto di rete, il quale deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune costituito ai sensi della presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l’organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza;
f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo.
Sulle reti di imprese, v. anche la Rassegna relativa al secondo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it/, e bibliografia ivi citata.
Per la più recente bibliografia più recente in argomento, cfr. anche AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Iamiceli, Torino, 2010; DI SAPIO, I contratti di rete tra imprese, in corso di pubblicazione in Riv. not.; CORAPI, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 795; ZANELLI, Reti di impresa: dall'economia al diritto, dall'istruzione al contratto, in Contratto e impresa, 2010, p. 951; CIRIANNI, Il contratto di rete, in Notariato, 2010, p. 442; PELIZZATTI, Il "nuovo" contratto di rete di imprese, in FederNotizie, 2010, 6, p. 219; PELIZZATTI, Il contratto di rete di imprese, in FederNotizie, 2010, 5, p. 177; MOSCATELLI, Note sulla disciplina dei "contratti di rete", in Vita not., 2010, p. 1037; ZANELLI, Le reti di impresa dal T.U.F. alla legge 296/2005 fino alle recenti leggi 33 e 99 del 2009, in Vita not., 2010, p. 23; BRIGANTI, La nuova legge sui "contratti di rete" tra imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, p. 191; SCARPA, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, in Contratto e impresa, 2010, p. 167; GENTILI, Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 87.
L’art. 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha modificato la disciplina dettata dall’art. 14, comma 32, del d.l. 31 maggio 1978, n. 2010, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
In base alla nuova disciplina, viene fatto innanzitutto salvo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29 della legge 24 dicembre 2007, n. 244; pertanto:
1) – al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società;
2) – è invece sempre ammessa – con le necessarie autorizzazioni previste dai commi 28 e 29 – la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d. lgs. n. 163/2006, e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle suddette pubbliche amministrazioni;
3) – fatte salve le possibilità di cui sopra, i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2011 i Comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni;
4) – l’obbligo di messa in liquidazione non opera riguardo ai Comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti, nel caso in cui le società già costituite abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
5) – il divieto di partecipazione di cui sopra non si applica inoltre alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti;
6) – i Comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite.
Con decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, che avrebbe dovuto essere emanato entro novanta giorni dal 31 luglio 2010, sono determinate le modalità attuative del suddetto comma 32 dell’art. 14 del d.l. n. 78/2010, nonché ulteriori ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione.
Cfr. anche sul punto RUOTOLO, Limiti alla partecipazione dei Comuni con meno di 30.000 abitanti in società, in Studi e materiali, 2010, 3, p. 925; nonché – con riguardo ad altra recente legislazione in materia di società a partecipazione pubblica – le Rassegne relative al secondo semestre 2006, al secondo semestre 2007, al primo semestre 2009, al secondo semestre 2009 ed al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/. V. inoltre, in generale, AA.VV., Società a partecipazione pubblica, in Codice commentato delle società, a cura di Abriani e Stella Richter, Torino, 2010, p. 1732; AA.VV., Le società a partecipazione pubblica, a cura di Guerrera, Torino, 2010.
Con D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (in G.U. n. 239 del 12.10.2010), in vigore dal 27 ottobre 2010, è stato approvato il Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’art. 23-bis, comma 10, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Con l’esclusione di alcuni particolari servizi (art. 1, comma 3: distribuzione di gas naturale; distribuzione di energia elettrica; trasporto ferroviario regionale; gestione delle farmacie comunali; servizi strumentali all'attività o al funzionamento degli enti affidanti di cui all’art. 13, comma 1, d.l. n. 223/2006), gli enti locali verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando l'attribuzione di diritti di esclusiva, ove non diversamente previsto dalla legge, ai casi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale ed efficienza, a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, e liberalizzando in tutti gli altri casi le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio (art. 2).
Le procedure competitive ad evidenza pubblica, di cui all’art. 23-bis, comma 2, del d.l. n. 112/2008, sono indette nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti. Le società a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica di cui all’art. 23-bis, comma 2, lettera a), del d.l. n. 112/2008, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. Dette procedure competitive riguardano anche l’acquisizione della qualità di socio (art. 3, comma 4).
Gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di cui all’art. 23-bis, comma 4, del d.l. n. 112/2008, se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento supera la somma complessiva di 200.000,00 euro annui (art. 4).
Le società «in house» e le società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. L’art. 32, comma 3, del suddetto d. lgs. n. 163/1006, limitatamente alla gestione del servizio per il quale le società di cui al comma 1, lettera c), del medesimo articolo sono state specificamente costituite, si applica se la scelta del socio privato è avvenuta secondo quanto previsto dall’art. 23-bis, comma 2, lettera b), del d.l. n. 112/2008 (art. 6).
Non possono essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all’art. 77 del d. lgs. n. 267/2000, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società (art. 8, comma 3).
L’art. 12 individua le norme abrogate per effetto della nuova disciplina in esame (tra cui l’art. 113, commi 5, 5-bis, 6, 7, 8, 9, escluso il primo periodo, 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del d. lgs. n. 267/2000).
Sulle
società “in house” e di gestione dei servizi pubblici locali, cfr., per
limitarsi alla bibliografia più recente, CARANTA, La
Corte di giustizia definisce le condizioni di legittimità dei partenariati
pubblici-privati (nota a Corte Giustizia CE 15 ottobre 2009, n. C-196/08),
in Giur. it., 2010, p. 1193; FIMMANÒ, Le società di gestione dei
servizi pubblici locali, in Riv. not., 2009, p. 897; CIASULLO, L'affidamento
diretto a società miste: condizioni di ammissibilità (nota a Cons. Stato 13
febbraio 2009, n. 824), in Giur. it., 2009, p. 2793; FARES, L'in
house providing per la prima volta al vaglio della Consulta: giro di vite sul
requisito dell'"attività prevalente", in Studium iuris,
2009, p. 1200; CARANTA, La Corte di giustizia chiarisce i contorni dell'in
house pubblico (nota a Corte Giustizia CE 13 novembre 2008, n. C-324/07),
in Giur. it., 2009, p. 1254; PIAZZONI, In house providing,
partenariati pubblico-privato istituzionalizzati e partecipazione al capitale
sociale a scopo di finanziamento (nota a Corte Giustizia CE 17 luglio 2008, n.
C-371/05), in Giur. comm., 2009, II, p. 8; OCCHILUPO, Le società
in house (rassegna di giurisprudenza), in Giur. comm., 2008, II, p.
525.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 48 di quest’ultimo decreto, in materia di procedure concorsuali, e quindi alcune disposizioni della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).
Il nuovo art. 182-quater l. fall. dispone che i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del d. lgs. n. 385/1993 (t.u.b.), in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli articoli 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis, sono prededucibili. Sono parificati ai prededucibili i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai suddetti soggetti in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all'articolo 160 o dall'accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato. In deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il regime di prededucibilità si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare.
Ai sensi dei commi 5-bis e seguenti dell'art. 182-bis, il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione. È quindi estremamente importante – nel caso si rinvenga un’istanza di sospensione pubblicata nel registro delle imprese – il divieto di costituire, tra l’altro, ipoteche sui beni del debitore.
II tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista.
È stato, infine, introdotto il nuovo art. 217-bis l. fall., a norma del quale è prevista l’esenzione dai reati di bancarotta in relazione ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d).
Sulla
disciplina come sopra commentata, v. in dottrina, di recente, STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla
ristrutturazione, in Fallimento, 2010, p. 1346; SANZO, Il piano
di risanamento attestato, in Giur. it., 2010, p. 2473; LA CROCE, Gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. it., 2010, p. 2460;
COSTA, Esenzione dall'azione revocatoria e prededuzione nelle procedure
stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010, I,
p. 531; TARZIA, La nuova tutela del debitore e dei finanziatori negli
strumenti di prevenzione del fallimento, in Dir. fall., 2010, I, p.
543; PASQUARIELLO, Strumenti di prevenzione della crisi d'impresa, in
Dir. fall., 2010, I, p. 572; DI MARZIO, Sulla composizione negoziale delle
crisi da sovraindebitamento (Note a margine dell'AC n. 2364), in Dir.
fall., 2010, I, p. 659; MANDRIOLI, Gli accordi di ristrutturazione dei
debiti ex art. 182-bis l.fall., in Fallimento, 2010,
p. 610; LOTTINI, Il nuovo art. 217-bis l. fall.: una riforma che
tradisce le aspettative, in Fallimento, 2010, p. 1366.
Con D.M. 7 dicembre 2010 (in G.U. n. 292 del 15.12.2010), in vigore dal 1° gennaio 2011, è stato fissato all’1,5% (uno virgola cinque per cento) il saggio legale di interesse, di cui all’articolo 1284 del codice civile, come consentito dall'art. 2, comma 185, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
La cronistoria del saggio legale di interesse è
pertanto la seguente:
- 5% dal 20 aprile 1942 al 15 dicembre 1990 (codice civile);
- 10% dal 16 dicembre 1990 al 31 dicembre 1996 (per effetto dell’art. 1 della legge 26 novembre 1990 n. 353);
- 5% dal 1° gennaio 1997 al 31 dicembre 1998 (per effetto dell’art. 2, comma 185, della legge 23 dicembre 1996 n. 662);
- 2,5% dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2000 (per effetto del D.M. 10 dicembre 1998, in G.U. n. 289 dell’11.12.1998);
- 3,5% dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre
2001 (per effetto del D.M. 11 dicembre 2000, in G.U. n. 292 del 15 dicembre
2000);
- 3% dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2003 (per effetto del D.M. 11 dicembre 2001, in G.U. n. 290 del 14.12.2001);
- 2,5% dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2007 (per effetto del D.M. 1 dicembre 2003, in G.U. n. 286 del 10.12.2003).
- 3% dal 1° gennaio 2008 (per effetto del D.M. 12 dicembre 2007, in G.U. n. 291 del 15.12.2007);
- 1% dal 1° gennaio 2010 (per effetto del D.M. 4 dicembre 2009, in G.U. n. 291 del 15 dicembre 2009);
- 1,5% dal 1° gennaio 2011 (per effetto del D.M. 7 dicembre 2010 (in G.U. n. 292 del 15.12.2010).
Con D.M. 7 dicembre 2010 (in G.U. n. 292 del 15.12.2010), in vigore dal 1° gennaio 2011, è stato fissato all’1,5% (uno virgola cinque per cento) il saggio legale di interesse, di cui all’articolo 1284 del codice civile.
È stata conseguentemente modificata, con la medesima decorrenza del 1° gennaio 2011, la tabella delle percentuali di calcolo del valore dei diritti di usufrutto, uso e abitazione.
Ai sensi dell’art. 3, comma 164, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, infatti, "Il valore del multiplo dell'annualità indicato nell'articolo 46, comma 2, lettere a) e b), del citato testo unico approvato con D.P.R. n. 131 del 1986, e successive modificazioni, nonché il prospetto dei coefficienti allegato a quest'ultimo sono variati, in ragione della modificazione della misura del saggio legale degli interessi, con decreto del ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 dicembre dell'anno in cui detta modifica è avvenuta. Le variazioni di cui al periodo precedente hanno efficacia anche, ai fini della determinazione della base imponibile relativamente alle rendite ed alle pensioni, per le successioni aperte e le donazioni fatte a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello in cui è pubblicato il decreto di variazione".
Con decreto interdirigenziale 23 dicembre 2010 (in G.U. n. 305 del 31.12.2010) è stata quindi approvata la nuova tabella dei coefficienti per l'adeguamento delle modalità di calcolo dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni, al nuovo saggio legale del 1,5%. Le relative disposizioni si applicano agli atti pubblici formati, agli atti giudiziari pubblicati o emanati, alle scritture private autenticate e a quelle non autenticate presentate per la registrazione, alle successioni apertesi ed alle donazioni fatte a decorrere dalla data del 1° gennaio 2011 (art. 2).
Contemporaneamente è stato fissato in 66,66 volte l’annualità il valore del multiplo relativo alla determinazione della base imponibile per la costituzione di rendite o pensioni perpetue, a tempo determinato o a tempo indeterminato (in sostituzione di quello indicato nell'art. 46, comma 2, lettere a) e b), del d.p.r. n. 131/1986, ai fini dell’imposta di registro, e nell’art. 17, comma 1, lettere a) e b), del d. lgs. n. 346/1990, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni).
Conseguentemente il valore della rendita o pensione è costituito:
a) da 66,66 volte l’annualità, se si tratta di rendita perpetua o a tempo indeterminato;
b) dal valore attuale dell'annualità, calcolato al saggio legale di interesse, ma in nessun caso superiore a 66,66 volte l’annualità, se si tratta di rendita o pensione a tempo determinato;
c) dall'ammontare che si ottiene moltiplicando l'annualità per il coefficiente indicato nel prospetto sotto indicato, applicabile in relazione all'età della persona alla cui morte deve cessare, se si tratta di rendita o pensione vitalizia.
Si riporta di seguito la tabella dei coefficienti, e quindi dei valori dei diritti di usufrutto (nonché uso ed abitazione) e, rispettivamente, nuda proprietà:
Età dell’usufruttuario o del beneficiario (anni compiuti) |
Coefficiente |
Valore usufrutto |
Valore nuda proprietà |
da 0 a 20 |
63,50 |
95,25 |
4,75 |
da 21 a 30 |
60,00 |
90,00 |
10,00 |
da 31 a 40 |
56,50 |
84,75 |
15,25 |
da 41 a 45 |
53,00 |
79,50 |
20,50 |
da 46 a 50 |
49,50 |
74,25 |
25,75 |
da 51 a 53 |
46,00 |
69,00 |
31,00 |
da 54 a 56 |
42,50 |
63,75 |
36,25 |
da 57 a 60 |
39,00 |
58,50 |
41,50 |
da 61 a 63 |
35,50 |
53,25 |
46,75 |
da 64 a 66 |
32,00 |
48,00 |
52,00 |
da 67 a 69 |
28,50 |
42,75 |
57,25 |
da 70 a 72 |
25,00 |
37,50 |
62,50 |
da 73 a 75 |
21,50 |
32,25 |
67,75 |
da 76 a 78 |
18,00 |
27,00 |
73,00 |
da 79 a 82 |
14,50 |
21,75 |
78,25 |
da 83 a 86 |
11,00 |
16,50 |
83,50 |
da 87 a 92 |
7,00 |
10,50 |
89,50 |
da 93 a 99 |
4,00 |
6,00 |
94,00 |
La rilevazione dei tassi medi ai fini dell’applicazione della legge sull’usura è stata effettuata, da ultimo:
- con D.M. 23 settembre 2010 (in G.U. n. 228 del 29.9.2010);
- con D.M. 23 dicembre 2010 (in G.U. n. 304 del 30.12.2010).
A seguito di quest’ultimo provvedimento, si distingue, limitatamente ai mutui, tra tasso fisso e tasso variabile; il limite di liceità degli interessi pattuiti sarà quindi – dal 1° gennaio al 31 marzo 2010:
- relativamente ai mutui a tasso fisso, del 6,285 %;
- relativamente ai mutui a tasso variabile, del 4,02 %;
- relativamente alle aperture di credito in conto corrente, sarà invece – oltre l’importo di 5.000 euro – del 13,53 %.
Ai sensi dell’art. 3, comma 4, del suddetto decreto, “I tassi effettivi globali medi di cui all'articolo 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L'indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.
Ciò
significa che il tasso di mora per i mutui (di durata superiore a
cinque anni) è pari mediamente:
-
quanto ai mutui a tasso fisso, al 9,435 %
- quanto ai mutui a tasso variabile, al 7,17 %.
Con D.M. 25 marzo 2010 (in G.U. n. 74 del 30.3.2010) è stata approvata la classificazione delle operazioni creditizie per categorie omogenee ai fini della rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari.
Riguardo alle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull'usura, dettate con Provvedimento della Banca d’Italia in data 29 agosto 2009 (in G.U. n. 200 del 29.8.2009), cfr. la Rassegna relativa al secondo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Giusta il comunicato del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 16 agosto 2010 (in G.U. n. 190 del 16.8.2010), il saggio d'interesse di cui al comma 1 dell’art. 5 del D. Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari all’1 % per il periodo 1° luglio – 31 dicembre 2010. Dovendosi applicare, ai sensi del suddetto 1° comma dell’art. 5, la maggiorazione del 7%, il tasso d’interesse di mora applicabile è pari all’8,00 %.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha sostituito l’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che reca la nuova disciplina della segnalazione certificata di inizio attività – SCIA.
Viene disposto che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze.
La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli artt. 46 e 47 del d.p.r. n. 445/2000, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’art. 38, comma 4, del d.l. n. 112/2008, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti suindicati; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione.
Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.
L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente. Non è, quindi, più necessario attendere il decorso di un lasso di tempo da essa.
L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui sopra adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.
È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali, nonché di quelle di cui al capo VI del d.p.r. n. 445/1990, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui sopra.
Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui sopra, all’amministrazione è consentito intervenire solo in casi tassativi: presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
La suddescritta disciplina non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal t.u.b. (d. lgs. n. 385/1993), e dal t.u.f. (d. lgs. n. 58/1998). Profilo, questo, ribadito dall’art. 2, comma 1-quinquies, del D.L. 5 agosto 2010, n. 125 (in G.U. n. 182 del 6.8.2010), convertito con modificazioni in legge 1 ottobre 2010, n. 163 (in G.U. n. 233 del 5.10.2010).
Ogni controversia relativa è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso.
Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Le espressioni "segnalazione certificata di inizio attività" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio attività" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina suddescritta sostituisce direttamente, a decorrere dal 31 luglio 2010, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale.
È prevista (commi 4-quater e 4-quinquies) l’emanazione di regolamenti attuativi, i quali devono essere emanati entro il 31 luglio 2011, ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti.
Con Nota del Ministero per la semplificazione normativa in data 16 settembre 2010 è stato chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività trova applicazione anche nell’attività edilizia; con la conseguenza che – a differenza del previgente regime della denunzia di inizio attività – non è più necessario il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA per iniziare i lavori.
Con sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, che disciplinava l’acquisizione del diritto di proprietà all’ente pubblico per effetto dell’occupazione senza titolo, e successiva trasformazione, di un bene per scopi di interesse pubblico.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’intero art. 43 per eccesso di delega, ed anche in considerazione del contrasto con i princìpi dettati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto il procedimento in esame si porrebbe in contrasto con il principio di legalità, in presenza del quale soltanto è possibile privare un soggetto del proprio diritto di proprietà.
In conseguenza della pronuncia di incostituzionalità, viene quindi meno, retroattivamente, l’efficacia dell’art. 43 del d.p.r. n. 327/2001; ivi compresa, quindi, la previsione contenuta nel comma 5 di tale articolo, a norma del quale le disposizioni in tema di occupazione acquisitiva trovavano applicazione, “anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale”.
Il venir meno della suddetta disciplina pone pertanto il problema della sorte di tutte le “espropriazioni senza titolo”, eseguite in particolare nell’àmbito dell’edilizia residenziale pubblica e convenzionata; i nuovi orientamenti giurisprudenziali maturati riguardo alla tutela del diritto di proprietà in conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo rendono improbabile la “reviviscenza” della pregressa giurisprudenza che, a partire da Cass. S.U. 26 febbraio 1983, n. 1464, aveva elaborato gli istituti dell’occupazione “appropriativa” ed “usurpativa”.
Cfr. sulla problematica, per limitarsi ai contributi più
recenti, AA.VV., Occupazione usurpativa e confische tra Roma e Strasburgo.
Dall'accessione invertita alla "confisca urbanistica", a cura di
Tucci, Bari, 2009; DELL'OSSO, L'acquisizione sanante del fondo occupato sine
titulo dalla P.A. e la richiesta giudiziale di restituzione del bene: una
questione ancora aperta (nota a TAR Lazio 15.1.2009 n. 220), in Dir. e
giur., 2010, p. 151; RAMACCIONI, Accessione invertita vs. acquisizione
sanante. L'art. 43 D.P.R. N. 327/2001 nella giurisprudenza italiana ed europea,
in Riv. critica dir. priv., 2010, p. 157; FALCONE, Indennità
espropriativa e risarcimento danni da occupazione acquisitiva ai tempi
dell'integrazione europea (nota a Corte Cost. 24.10.2007 n. 348 e n. 349),
in Rass. dir. civ., 2009, p. 1124; CASU-LOMONACO-METALLO, L'ambito di
applicazione dell'art. 43 del T.U. 327/2001: profili pratici riguardanti
l'accessione invertita, in Studi e materiali, 2008, 2, p. 507;
NASINI, Le sezioni unite intervengono sull'ambito applicativo dell'art. 43
d.p.r. 8.6.2001, n. 327: problemi di giurisdizione e procedurali (nota a Cass.
S.U. 19.12.2007 n. 26732), in Nuova giur. civ., 2008, I, p. 867;
PARENTINI, Occupazione acquisitiva: problemi di ricostruzione dogmatica e
interruzione della prescrizione (nota a Cass. 15.2.2008 n. 3789), in Nuova
giur. civ., 2008, I, p. 876; BARBAGALLO, La cosiddetta "accessione
invertita", in Studi in onore di Giuseppe Benedetti, I, Napoli,
2008, p. 69.
Con D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (in G.U. n. 288 del 10.12.2010, in vigore dal giorno 8 giugno 2011, è stato approvato il Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
Da segnalare, in particolare, la disciplina riguardante:
- le società organismi di attestazione (SOA) (artt. 64 ss.);
- i requisiti dei soggetti abilitati a partecipare alle gare (raggruppamenti temporanei orizzontali e verticali di imprese e professionisti, consorzi stabili, società tra concorrenti riuniti o consorziati) (artt. 92 ss.);
- il contenuto del contratto, dei capitolati e dei documenti collegati (artt. 137 ss.);
- i pagamenti (artt. 140 ss.);
- i requisiti delle società di ingegneria (art. 254);
- i requisiti delle società di professionisti (art. 255);
- i requisiti dei consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria (art. 256);
- le società tra concorrenti riuniti o consorziati (art. 276);
- i consorzi stabili per servizi e forniture (art. 277);
- la finanza di progetto nei servizi (art. 278).
Riguardo alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, cfr. anche le Rassegne relative al primo semestre 2006, al secondo semestre 2007 ed al secondo semestre 2008, in http://www.gaetanopetrelli.it.
Con Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in data 7 luglio 2010, n. 4 (in G.U. n. 174 del 28.7.2010), sono state fornite indicazioni interpretative sulla normativa applicabile riguardo ai pagamenti nei contratti pubblici di forniture e servizi, e suggerimenti operativi per la redazione dei bandi di gara e la stipula dei contratti, alla luce delle previsioni del d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231. Viene chiarito, in particolare, che le stazioni appaltanti non possono subordinare la partecipazione alle procedure di gara o la sottoscrizione del contratto all'accettazione di termini di pagamento, di decorrenza degli interessi moratori e misura degli interessi di mora difformi da quelli previsti dal d. lgs. n. 231/2002, né prevedere tale accettazione come elemento di favorevole valutazione delle offerte tecniche nell'ambito del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
L’art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (in G.U. n. 196 del 23.8.2010), in vigore dal 7 settembre 2010, come modificato dal D.L. 12 novembre 2010, n. 187 (in G.U. n. 265 del 12.11.2010), in vigore dal 13 novembre 2010, come modificato dalla legge di conversione 17 dicembre 2010, n. 217 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), in vigore dal 19 dicembre 2010, ha dettato nuove disposizioni per la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali, in relazione ai contratti pubblici per lavori, servizi e forniture. A tal fine, gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, fermo restando quanto previsto dal comma 5, alle commesse pubbliche. Tutti i movimenti finanziari relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici nonché alla gestione dei finanziamenti di cui al primo periodo devono essere registrati sui conti correnti dedicati e, salvo quanto previsto al comma 3, devono essere effettuati esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di incasso o pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni. Ciò vale anche per i pagamenti destinati a dipendenti, consulenti e fornitori di beni e servizi rientranti tra le spese generali nonché quelli destinati alla provvista di immobilizzazioni tecniche. Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall'Autorità di vigilanza e, ove obbligatorio, il codice unico di progetto (CUP). La stazione appaltante, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1, inserisce, a pena di nullità assoluta, un'apposita clausola con la quale essi assumono gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui alla presente legge. L'appaltatore, il subappaltatore o il subcontraente che ha notizia dell'inadempimento della propria controparte agli obblighi di tracciabilità finanziaria di cui al presente articolo ne dà immediata comunicazione alla stazione appaltante e alla prefettura-ufficio territoriale del Governo della provincia ove ha sede la stazione appaltante o l'amministrazione concedente. La stazione appaltante verifica che nei contratti sottoscritti con i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese a qualsiasi titolo interessate ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1 sia inserita, a pena di nullità assoluta, un’apposita clausola con la quale ciascuno di essi assume gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari. Il mancato utilizzo del bonifico bancario o postale ovvero degli altri strumenti idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni costituisce causa di risoluzione del contratto. Infine, a norma dell’art. 6 del d.l. n. 187/2010, come modificato dalla legge di conversione n. 217/2010, i contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge n. 136 del 2010 ed i contratti di subappalto e i subcontratti da essi derivanti sono adeguati alle disposizioni di cui all’art. 3 della legge n. 136/2010 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge; e “ai sensi dell’articolo 1374 del codice civile, tali contratti si intendono automaticamente integrati con le clausole di tracciabilità previste dai commi 8 e 9 del citato articolo 3 della legge n. 136 del 2010, e successive modificazioni”.
Con Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in data 18 novembre 2010, n. 8 (in G.U. n. 284 del 4.12.2010), sono state fornite prime indicazioni sulla tracciabilità finanziaria, di cui all’art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, come modificato dal d.l. 12 novembre 2010, n. 187, a norma del quale tutti i movimenti finanziari relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici nonché alla gestione dei finanziamenti di cui al primo periodo devono essere registrati sui conti correnti dedicati e, salvo quanto previsto al comma 3 dell’art. 3, devono essere effettuati esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni. Assume soprattutto rilievo il comma 8 del suddetto art. 3, che prevede l'inserimento «a pena di nullità» di una clausola nel contratto principale (sottoscritto con la stazione appaltante) avente ad oggetto l'assunzione degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari. Il mancato rispetto del descritto obbligo è punito con la sanzione della nullità assoluta del contratto; ciò vuol dire che, in questa ipotesi, è preclusa l'operatività della disposizione di cui all'art. 1339 del codice civile. In allegato alla Determinazione in oggetto è riportato uno schema di clausola, conforme alla suddetta previsione. Nella medesima Determinazione si precisa che la tracciabilità dei flussi finanziari trova applicazione ai seguenti contratti:
1) contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, anche quelli esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, di cui al titolo II, parte I dello stesso;
2) concessioni di lavori pubblici e concessioni di servizi ex art. 30 del codice dei contratti pubblici;
3) contratti di partenariato pubblico-privato, ivi compresi i contratti di locazione finanziaria;
4) contratti di subappalto e subfornitura;
5) contratti in economia, ivi compresi gli affidamenti diretti.
Con riferimento ai suddetti contratti pubblici, sono ancora da segnalare:
A) - la Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in data 20 ottobre 2010, n. 7 (in G.U. n. 255 del 30.10.2010), con la quale sono state affrontate alcune questioni interpretative concernenti la disciplina dell’art. 34 del d. lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici;
B) - il Comunicato del Presidente dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in data 20 dicembre 2010 (in G.U. n. 296 del 20.12.2010), con cui è stato disposto l’invio all’osservatorio dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e la relativa rilevazione, riguardo alle seguenti fattispecie:
a) contratti di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e speciali di importo inferiore o uguale ad euro 150.000;
b) contratti «esclusi» di lavori, servizi e forniture di importo superiore ai 150.000 euro rientranti nelle particolari casistiche di cui agli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 26 del Codice dei contratti pubblici;
c) accordi quadro, contratti attivati da Centrali di committenza, convenzioni e fattispecie consimili;
d) contratti di lavori, servizi e forniture, nei settori ordinari e speciali, discendenti dalle fattispecie di cui al punto c);
C) – il Comunicato del Presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in data 31 luglio 2010 (in G.U. n. 177 del 31.7.2010), con il quale – considerata la necessità di monitorare gli appalti eseguiti da privati che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire – è stato disposto che le amministrazioni che concedono il permesso di costruire sono tenute a trasmettere all'Autorità i dati identificativi dei soggetti titolari di tale permesso, nel caso in cui allo stesso acceda una convenzione, o altro accordo, sulla realizzazione di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione.
Con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (in G.U. n. 156 del 7.7.2010), in vigore dal 16 settembre 2010, è stata disciplinata (agli artt. 121 ss.) l’inefficacia del contratto pubblico in caso di annullamento dell’aggiudicazione definitiva, assorbendo in tal modo la disciplina già dettata dagli artt. 245-bis ss. del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, come introdotti dal D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53.
Pertanto, il giudice amministrativo che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni previsti dall’art. 121 del d. lgs. n. 104/2010; anche se viene disposto che il contratto resta efficace, anche in presenza delle violazioni suddette, qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Fuori di tali casi, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto (art. 122). Nei casi in cui non ha luogo l’inefficacia si applicano sanzioni alternative (art. 123).
Cfr. sul punto – nonché sulla questione dell'incidenza della revoca di atti deliberativi sui contratti della pubblica amministrazione (comma 1-ter all’art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall'art. 12, comma 1-bis, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133) – la Rassegna relativa al primo semestre 2010, e la Rassegna relativa al secondo semestre 2008, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (in G.U. n. 156 del 7.7.2010), in vigore dal 16 settembre 2010, è stato approvato il nuovo Codice del processo amministrativo, in attuazione della delega contenuta nell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
L’art. 1, comma 41, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha modificato la previsione – contenuta nell’art. 2, comma 4-bis, primo periodo, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 – che limitava fino al 31 dicembre 2010 l’applicazione delle agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina. Queste agevolazioni sono quindi ora applicabili “a regime”.
Sull’attuale disciplina delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina, cfr. anche la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
L’art. 1, comma 86, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha modificato il termine di quattro anni, previsto dall’art. 10, comma 1, n. 8-bis, del d.p.r. n. 633/1972, in cinque anni.
Pertanto, sono esenti da imposta sul valore aggiunto (e soggette ad imposte proporzionali di registro, ipotecarie e catastali) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli strumentali per natura di cui al numero 8-ter), “escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento o anche successivamente nel caso in cui entro tale termine i fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata”; le quali ultime sono quindi soggette ad Iva e non esenti da tale imposta.
Rilevante
è il momento in cui ha luogo la cessione: se la stessa avviene a
partire dal 1° gennaio 2011, occorrerà tener conto del nuovo termine
quinquennale, anche se il precedente termine quadriennale era già scaduto
entro il 31 dicembre 2010.
La disposizione in esame non ha, invece, modificato il n. 8-ter dell’art. 10 del d.p.r. n. 633/1972, relativamente agli immobili strumentali per natura. Pertanto, sono soggette ad Iva e non esenti da imposte, tra le altre, le cessioni dei suddetti immobili strumentali “effettuate, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento, dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457”. Per i fabbricati strumentali per natura, comunque, la cessione è sempre soggetta ad Iva se eseguita a favore di soggetto “privato”, e può essere comunque assoggettata ad Iva anche dopo i quattro anni con il semplice esercizio della relativa opzione.
Cfr. – per un quadro più completo – il Prospetto aggiornato per l’applicazione delle imposte indirette nei trasferimenti immobiliari, in http://www.gaetanopetrelli.it.
L’art. 1, commi 15 e 16, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha modificato il trattamento fiscale dei contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto beni immobili. Più precisamente:
1) – è stata prevista la responsabilità solidale dell’utilizzatore dell’immobile concesso in locazione finanziaria, per il pagamento dell’imposta di registro per l'immobile, anche da costruire o in corso di costruzione, acquisito dal locatore per la conclusione del contratto (nuovo art. 57, comma 1-ter, del d.p.r. n. 131/1986), nonché per il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali (nuovo art. 11, comma 2, del d. lgs. n. 347/1990);
2) – i contratti di locazione finanziaria immobiliare sono assoggettati a registrazione solo in caso d'uso (Nota all’art. 1 della tariffa, parte seconda, allegata al d.p.r. n. 131/1986). Conseguentemente, viene meno – salvo il caso d’uso – l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota dell’1% sui fabbricati strumentali, e del 2% sugli altri fabbricati. Non è invece chiaro se i contratti di locazione finanziaria in precedenza registrati siano soggetti al pagamento dell’imposta di registro per le annualità a partire dal 2011;
3) – è stata eliminata la previsione di riduzione a metà delle imposte ipotecarie e catastali in sede di acquisto e riscatto di immobili concessi in locazione finanziaria (con modifica dell’art. 35, comma 10-ter, del d.l. n. 223/2006). Conseguentemente, in sede di acquisto dei suddetti immobili da parte delle società di locazione finanziaria, le imposte ipotecarie e catastali si applicano nella misura ordinaria. Invece, in sede di riscatto, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano comunque in misura fissa (nuovo art. 35, comma 10-ter.1, del d.l. n. 223/2006). È quindi abrogata la previsione dell’art. 35, comma 10-sexies, del d.l. n. 223/2006, che prevedeva lo scomputo dell’imposta di registro pagata sui canoni di leasing dalle imposte ipotecaria e catastale;
4) – in deroga alle previsioni dello statuto del contribuente (art. 3 della legge n. 212/2000), per tutti i contratti di locazione finanziaria di immobili in corso di esecuzione alla data del 1° gennaio 2011 le parti sono tenute a versare un'imposta sostitutiva delle imposte ipotecaria e catastale da corrispondere in unica soluzione entro il 31 marzo 2011, le cui modalità di versamento sono determinate con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro il 15 gennaio 2011. La misura del tributo è definita applicando all'importo, determinato secondo le modalità previste dal comma 10-sexies dell’art. 35 del d.l. n. 223/2006, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, una riduzione di una percentuale pari al 4 per cento moltiplicato per gli anni di durata residua del contratto. Ciò significa, praticamente, che si calcolano innanzitutto le imposte ipotecarie e catastali in base alla normativa abrogata (con applicazione, quindi, dell’aliquota del 2 per cento sul valore originario di acquisizione dell’immobile, calcolato secondo i criteri previsti dalla Circ. Agenzia Entrate 1 marzo 2007, n. 12/E); l’importo dell’imposta così calcolata è decurtato di una percentuale del 4 per cento per ogni anno di durata residua del contratto di leasing.
Sul previgente regime fiscale delle operazioni di leasing immobiliare, in base alle previsioni del d.l. n. 223/2006, cfr. in particolare la Circ. Agenzia Entrate 4 agosto 2006, n. 28/E; la Circ. Agenzia Entrate 16 novembre 2006, n. 33/E; la Circ. Agenzia Entrate 1 marzo 2007, n. 12/E; la Ris. Agenzia Entrate 17 novembre 2008, n. 443/E.
L’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), in collegamento con la tabella 1, allegata al medesimo decreto, ha prorogato al 31 marzo 2011 l’applicazione dell’imposta catastale in misura fissa per i trasferimenti a titolo oneroso a favore delle Onlus (modificando il termine già previsto dall’art. 30, comma 5-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, inserito dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2).
A decorrere dal 1° aprile 2011 è quindi nuovamente dovuta l’imposta catastale proporzionale, anziché fissa, per i suddetti atti.
Cfr. sul punto la Rassegna relativa al secondo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 22 dicembre 2010 (pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate in data 22 dicembre 2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), sono state emanate le disposizioni attuative dell'art. 21 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, a norma del quale deve essere effettuata all’Agenzia delle Entrate comunicazione telematica di tutte le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, di importo non inferiore a euro tremila; prevedendosi nel contempo l'applicazione della sanzione di cui all'art. 11 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per il caso di violazione.
Sono obbligati alla comunicazione tutti i soggetti passivi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i quali effettuano operazioni rilevanti ai fini di tale imposta, così come individuate nel provvedimento (art. 1).
Oggetto della comunicazione sono le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute dai suddetti soggetti passivi, per le quali i corrispettivi dovuti, secondo le condizioni contrattuali, sono di importo pari o superiore a euro tremila al netto dell’imposta sul valore aggiunto. Per le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le quali non ricorre l’obbligo di emissione della fattura il predetto limite è elevato a euro tremilaseicento al lordo dell’imposta sul valore aggiunto applicata (art. 2, comma 1).
Per il periodo d’imposta 2010 l’importo suddetto è elevato ad euro venticinquemila e la comunicazione è limitata alle sole operazioni soggette all’obbligo di fatturazione (art. 2, comma 3). Lo stesso art. 2 prevede alcune ipotesi ulteriori di esonero dall’obbligo di comunicazione.
L’art. 3 elenca i dati che devono essere contenuti nelle comunicazioni. Gli artt. 5 e seguenti disciplinano le modalità delle comunicazioni.
A norma dell’art. 4, i soggetti passivi obbligati devono effettuare la comunicazione entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento. Per il periodo d’imposta 2010 la comunicazione può essere effettuata fino al 31 ottobre 2011.
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 5 luglio 2010 (pubblicato sul sito internet dell'Agenzia delle entrate il 6.7.2010, ai sensi del comma 361 dell’art. 1, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), sono state approvate le specifiche tecniche per la comunicazione da parte dei soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto dei dati relativi alle operazioni, effettuate nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato; comunicazioni da effettuarsi ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, in vigore dal 26 marzo 2010, convertito in legge 22 maggio 2010, n. 73, e del d.m. 30 marzo 2010.
Con D.M. 27 luglio 2010 (in G.U. n. 180 del 4.8.2010) sono stati modificati i decreti adottati ai sensi degli articoli 6 ed 11 del d. lgs. 1 aprile 1996, n. 239 (white list, Stati e territori con i quali è attuabile lo scambio di informazioni), ed ai sensi degli articoli 2, 110 e 167 del t.u.i.r. (black list, Stati e territori aventi regime fiscale privilegiato); sono stati, in particolare, eliminati dalla black list Cipro e Malta.
Con D.M. 5 agosto 2010 (in G.U. n. 191 del 17.8.2010) sono state dettate disposizioni relative all’obbligo di comunicazione – a norma dell’art. 1, comma 1, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito in legge 22 maggio 2010, n. 73 – delle operazioni intercorse con soggetti ubicati in Paesi a fiscalità privilegiata. In particolare:
- sono escluse dall'obbligo di comunicazione le operazioni realizzate, dal 1° luglio 2010 al 4 agosto 2010, con operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati di Cipro, Malta e Corea del Sud (art. 1);
- sono escluse dall'obbligo di comunicazione le attività con le quali si realizzano operazioni esenti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, sempre che il contribuente si avvalga della dispensa dagli adempimenti, e fermo l'obbligo di comunicazione per le eventuali operazioni imponibili effettuate nell'ambito di dette attività (art. 2);
- l'obbligo di comunicazione è esteso alle prestazioni di servizi, effettuate dal 1° settembre 2010, che non si considerano effettuate nel territorio dello Stato agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e che sono rese o ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio nei Paesi cosiddetti black list (artt. 3 e 4);
- in deroga a quanto disposto dall’art. 3 del d.m. 30 marzo 2010, i modelli di comunicazione relativi ai periodi mensili di luglio ed agosto 2010 dovevano essere presentati entro il 2 novembre 2010.
Riguardo all’obbligo di comunicazione in esame, cfr. anche la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/, nonché la Circ. Agenzia Entrate 21 ottobre 2010, n. 53/E, la Circ. Agenzia Entrate 28 ottobre 2010, n. 54/E, e la Ris. Agenzia Entrate 29 novembre 2010, n. 121/E.
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 23 luglio 2010 (pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate in data 23 luglio 2010) sono state modificate le specifiche tecniche di trasmissione per la registrazione dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili e per il versamento delle relative imposte per via telematica, nonché per la comunicazione dei dati catastali degli immobili e per il pagamento delle imposte nei casi di cessioni, risoluzioni e proroghe di cui agli allegati 3 e 4 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 25 giugno 2010. Come risulta dall’allegato al provvedimento, sono ricompresi tra i contratti per cui è richiesta la comunicazione dei dati i contratti di leasing, i contratti di affitto di azienda registrati ai sensi dell’articolo 35, comma 10-quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, i contratti di comodato, e le cessioni dei contratti suddetti.
Cfr. anche la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
L’art. 1, comma 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha esteso l’applicabilità della detrazione per spese di riqualificazione energetica, quale prevista dall’art. 1, commi da 344 a 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nella misura ivi prevista, anche alle spese sostenute entro il 31 dicembre 2011. La detrazione è ripartita in dieci quote annuali di pari importo (anziché cinque quote annuali, come previsto in precedenza). Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 1, comma 24, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (in tema di detrazione di spese per ristrutturazione), e all’art. 29, comma 6, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2. Tali richiami non sembrano modificare né la percentuale della detrazione (55 per cento), né la restante disciplina dettata dalla legge n. 296/2006,e successive modificazioni.
Cfr. anche le Rassegne relative al secondo semestre 2007, al primo semestre 2008, al secondo semestre 2008 ed al primo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it.
Con D.M. 6 agosto 2010 (in G.U. n. 197 del 24.8.2010) sono stati disciplinati gli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare.
Cfr. anche il D.M. 6 agosto 2010 (in G.U. n. 212 del 10.9.2010), riguardante termini, modalità e procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore dei programmi di investimento riguardanti la produzione di beni strumentali funzionali allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e al risparmio energetico nell'edilizia.
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 29 settembre 2010 (pubblicato sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate in data 29.9.2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), è stata attuata la disciplina di cui all’art. 1, comma 2-ter, del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, concernente la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati dalle imprese multinazionali e approvazione delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica della comunicazione di adozione degli oneri documentali di cui all’art. 26 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Disposizione, quest’ultima, che ha previsto la disapplicazione della sanzione di cui all’art. 1, comma 2, del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, qualora il contribuente adotti un regime di oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento praticati nelle transazioni con imprese associate.
Cfr. anche, sul punto, la Circ. Agenzia Entrate 15 dicembre 2010, n. 58/E.
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 30 novembre 2010 (pubblicato sul sito internet dell'Agenzia delle entrate il 30 novembre 2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), sono state disciplinate le modalità di alcune comunicazioni da effettuarsi all’anagrafe tributaria, tra le quali quelle relative alle iscrizioni ed alle note di trascrizione di atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà o di altri diritti reali di godimento relativi alle navi, ai galleggianti ed alle unità da diporto, agli aeromobili; e le comunicazioni dei dati relativi alle persone fisiche che hanno corrisposto interessi passivi effettuate dai soggetti che erogano mutui agrari e fondiari.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 24 del suddetto decreto, ai sensi del quale la programmazione dei controlli fiscali dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza deve assicurare una vigilanza sistematica, basata su specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e soci, per più di un periodo d'imposta e che non abbiano deliberato e interamente liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 13, commi 1 e 2, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico delle spese di giustizia), e più precisamente gli importi del contributo unificato. In particolare, il contributo unificato per i processi di volontaria giurisdizione è fissato in euro 77.
Con D.M. 17 giugno 2010 (in G.U. n. 156 del 7.7.2010) è stata aggiornata la tabella “A” dei diritti di segreteria delle camere di commercio.
Con D.P.R. 20 ottobre 2010, n. 215 (in G.U. n. 293 del 16.12.2010), in vigore dal 31 dicembre 2010, è stato approvato il Regolamento di semplificazione del procedimento per il recupero dei diritti di segreteria non versati al registro delle imprese.
L’art. 1, comma 47, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha prorogato per l’anno 2011 la disciplina dei premi di produttività, già prorogata dall’art. 5 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2. Per il periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 la disciplina richiamata nel primo periodo del presente comma si applica ai titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore, nell'anno 2010, a 40.000 euro.
Cfr. anche sul punto la Rassegna relativa al secondo semestre 2008, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Non è stato ancora emanato dal Ministero dello sviluppo economico il provvedimento attuativo che – facendo seguito alla soppressione del ruolo degli agenti di affari in mediazione, a norma dell’art. 73 del d. lgs. 26 marzo 2010, n. 59 – avrebbe dovuto disciplinare le modalità di iscrizione nel registro delle imprese e nel REA dei soggetti iscritti negli elenchi e ruoli, a norma del successivo art. 80.
Continua, pertanto, il regime transitorio, durante il quale – secondo le istruzioni impartite con Circolare del Ministero dello sviluppo economico in data 6 maggio 2010, n. 3635/C, al § 13 – coloro i quali intendono svolgere le attività di agente d’affari in mediazione verranno iscritti provvisoriamente nei soppressi ruoli, che rimangono provvisoriamente esistenti. I relativi estremi di iscrizione vanno quindi ancora, provvisoriamente, indicati nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio da inserirsi negli atti di cessione di diritti su beni immobili, prescritta dall'art. 35, commi 22 e seguenti, del d.l. n. 223/2006, come modificato dall'art. 1, comma 48, della legge n. 296/2006.
Cfr. anche, sul punto, la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it.
Sui
problemi connessi al ruolo dei mediatori, pure dopo la succitata riforma, cfr.
anche ZACCARIA, La incostituzionalità della
riserva, ai soli mediatori iscritti, dell'esercizio anche occasionale
dell'attività, in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 807.
L’art. 27 del del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010), come modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha coordinato le disposizioni del d. lgs. 21 novembre 2007, n. 231, con le nuove disposizioni che disciplinano i soggetti operanti nel settore finanziario. In particolare, tra l’altro, sono state incluse tra gli intermediari finanziari di cui al comma 1 dell’art. 11 anche le società fiduciarie di cui all’art. 199 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dal d. lgs. n. 141/2010 (art. 11, comma 1, lett. m-bis), del d. lgs. n. 231/2007). Le altre società fiduciarie sono, invece, tuttora menzionate all’art. 11, comma 2, del d. lgs. n. 231/2007. Pertanto, le società fiduciarie disciplinate dall’art. 199 t.u.f., e quindi iscritte nell’apposita sezione separata dell’albo ex art. 106 t.u.b., rientrando nell’ambito dei soggetti previsti dal comma 1, e non più del comma 2, dell’art. 11 del d. lgs. n. 231/2007, sono soggette ad una diversa disciplina ai fini antiriciclaggio: come tali, ad esse – tra le altre conseguenze – si applica l’art. 25, comma 1, del d. lgs. n. 231/2007. Con l’effetto che i soggetti tenuti agli obblighi di adeguata verifica della clientela (tra cui i notai) non sono soggetti agli obblighi di cui agli articoli del Titolo II, Capo I, Sezione I del decreto, ad eccezione di quelli di cui alla lettera c) dell'articolo 15, comma 1, alla lettera d) dell'articolo 16, comma 1, ed alla lettera c) dell'articolo 17, comma 1, se il cliente è una società fiduciaria iscritta nella sezione separata dell’albo ex art. 106 t.u.b. Non è, invece, più necessario identificare il fiduciante quale “titolare effettivo”, a norma dell’art. 18, comma 1, lett. a) e b) del d. lgs. n. 231/2007. Peraltro, a norma dell’art. 27, comma 1-bis, del d. lgs. n. 141/2010, come aggiunto dal d. lgs. n. 218/2010, “Fino all'iscrizione nell'albo o negli elenchi previsti dai titoli III e IV del presente decreto ai soggetti iscritti negli elenchi di cui all'articolo 10, commi 1 e 2, e all'articolo 26, comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, vigenti alla data del 4 settembre 2010”.
Con
D.M. 20 ottobre 2010, n. 203 (in G.U. n. 286 del 7.12.2010), in vigore dal 22
dicembre 2010, è stato approvato il Regolamento
recante disciplina del funzionamento del Comitato di sicurezza finanziaria ai sensi dell'articolo 3, comma 4 del decreto legislativo
22 giugno 2007, n. 109.
Con Provvedimento della Banca d’Italia in data 24 agosto 2010 (in G.U. n. 230 del giorno 1.10.2010) sono stati elencati gli indicatori di anomalia al fine di agevolare l'individuazione di operazioni sospette da parte dei soggetti di cui all’art. 10, comma 2, dalla lettera a) alla lettera d), e lettera f), per gli intermediari finanziari e gli altri soggetti che svolgono attività finanziaria di cui all’art. 11 del d. lgs. n. 231/2007, e per i soggetti indicati all’art. 13, comma 1, lettera a) del medesimo decreto.
L’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), in collegamento con la tabella 1, allegata al medesimo decreto, ha prorogato al 31 marzo 2011 il termine, al partire dal quale è prescritto, per le carte di identità rilasciate a partire da tale data, che le stesse devono essere munite della fotografia e delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono (nuovo art. 3, comma 2, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773).
L’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), in collegamento con la tabella 1, allegata al medesimo decreto, ha prorogato al 31 marzo 2011 il termine (già prorogato dall’art. 1, comma 5, del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194) previsto dall’art. 64, comma 3, del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), a decorrere dal quale non è più consentito l'accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni, con strumenti diversi dalla carta d'identità elettronica e dalla carta nazionale dei servizi (ferma restando la disciplina riguardante le trasmissioni telematiche gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalle agenzie fiscali).
Con Comunicato in data 30 settembre 2010 (in G.U. n. 229 del 30.9.2010) sono state apportate alcune correzioni al D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, Codice dell'ordinamento militare.
In particolare, sono stati modificati i commi 3 e 6 dell’art. 335 del Codice, con riferimento all’approvazione prefettizia richiesta per gli atti di alienazione di beni immobili posti nelle zone di confine: il prefetto, previo parere dell'autorità militare, provvede in materia entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della domanda. In tale termine è computato anche quello di quarantacinque giorni concesso all'autorità militare competente per esprimere il proprio parere in ordine alle istanze di autorizzazione. Trascorso il predetto termine di quarantacinque giorni, se l'autorità militare non ha fatto pervenire al prefetto il richiesto parere, lo stesso si intende favorevolmente dato.
Sulla disciplina delle servitù militari, contenuta nel Codice dell’ordinamento militare, cfr. la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
L’art. 1, commi 87 e seguenti, e 125 e seguenti, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), in vigore dal 1° gennaio 2011, ha dettato alcune importanti disposizioni in materia di stabilità finanziaria degli enti locali (province, comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, e regioni), nell’àmbito delle quali assumono particolare importanza le previsioni dei commi 121 e 149: i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti devono essere corredati di apposita attestazione da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l'anno precedente. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione.
Con D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (in G.U. n. 229 del 30.9.2010), in vigore dal 15 ottobre 2010, è stato approvato il Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive (SUAP), ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133.
Per le finalità di cui al suddetto art. 38, comma 3, è individuato il SUAP quale unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività (art. 2, comma 1).
Le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività di cui al comma 1 ed i relativi elaborati tecnici e allegati sono presentati esclusivamente in modalità telematica, secondo quanto disciplinato nei successivi articoli e con le modalità di cui all’art. 12, commi 5 e 6, al SUAP competente per il territorio in cui si svolge l'attività o è situato l'impianto. In conformità alle modalità di cui all’art. 12, commi 5 e 6, il SUAP provvede all'inoltro telematico della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento, le quali adottano modalità telematiche di ricevimento e di trasmissione (art. 2, commi 2 e 3).
L’art. 3 disciplina il portale «impresainungiorno». Gli artt. 4 e seguenti regolano le funzioni e l’organizzazione del SUAP. Entro centoventi giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del regolamento, i Comuni attestano, secondo le modalità previste dall’art. 4, comma 2, dell'Allegato tecnico, la sussistenza in capo ai SUAP del proprio territorio dei requisiti di cui all’art. 38, comma 3, lettere a) e a-bis), del decreto-legge e all’art. 2, comma 2, del presente regolamento, trasmettendola al Ministero per lo sviluppo economico che cura la pubblicazione dell'elenco dei SUAP sul portale (art. 4, comma 10).
Nei casi in cui le attività di cui all’art. 2, comma 1, sono soggette alla disciplina della SCIA di cui all’art. 1, comma 1, lettera g), la segnalazione è presentata al SUAP. La SCIA, nei casi in cui sia contestuale alla comunicazione unica, è presentata presso il registro imprese, che la trasmette immediatamente al SUAP, il quale rilascia la ricevuta (art. 5).
L’art. 8 disciplina i raccordi procedimentali con gli strumenti urbanistici.
Con D.P.R. 9 luglio 2010, n. 159 (in G.U. n. 229 del 30.9.2010), in vigore dal 15 ottobre 2010, è stato approvato il Regolamento recante i requisiti e le modalità di accreditamento delle “agenzie per le imprese”, a norma dell'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (ossia del soggetto privato accreditato di cui all'articolo 38, commi 3, lettera c), e 4, del d.l. n. 112/2008, che svolge funzioni di natura istruttoria e di asseverazione nei procedimenti amministrativi concernenti l'accertamento dei requisiti e dei presupposti di legge per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione delle attività di produzione di beni e servizi da esercitare in forma di impresa).
L’art. 8 del D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 207 del 4.9.2010) ha sostituito il comma 7 dell’art. 58 del t.u.b. (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385), estendendo la disciplina delle c.d. cartolarizzazioni, contenuta in detto articolo (cessione di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco), oltre che a favore delle banche, “anche alle cessioni in favore dei soggetti, diversi dalle banche, inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata ai sensi degli articoli 65 e 109 e in favore degli intermediari finanziari previsti dall'articolo 106”.
L’art. 9 del medesimo d. lgs. n. 141/2010, come modificato dal D. Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (in G.U. n. 295 del 18.12.2010), ha modificato alcune disposizioni della legge 30 aprile 1999, n. 130 (in materia di cartolarizzazione di crediti). Più precisamente:
- a norma del nuovo art. 2, comma 6, della legge n. 130/1999, i servizi di riscossione dei crediti ceduti, ed i servizi di cassa e di pagamento possono essere svolti da banche o da intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall’art. 106 t.u.b. Gli altri soggetti che intendono prestare i servizi indicati nel comma 3, lettera c), chiedono l'iscrizione nell'albo previsto dall’art. 106 t.u.b., anche qualora non esercitino le attività elencate nel comma 1 del medesimo articolo, purché possiedano i relativi requisiti;
- è stato sostituito il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 130/1999: la società cessionaria, o la società emittente titoli se diversa dalla società cessionaria, aventi per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti, devono costituirsi in forma di società di capitali. Fermi restando gli obblighi di segnalazione previsti per finalità statistiche, la Banca d'Italia, in base alle deliberazioni del CICR, può imporre alle società di cartolarizzazione suddette obblighi di segnalazione ulteriori relativi ai crediti cartolarizzati al fine di censire la posizione debitoria dei soggetti cui i crediti si riferiscono;
- all'articolo 7-ter della medesima legge n. 130/1999 è stato aggiunto, in fine, il seguente comma: “1-bis. Ai soggetti cessionari di cui all'articolo 7-bis si applicano, nei limiti stabiliti dal Ministro dell'economia e delle finanze con regolamento emanato, sentita la Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni previste per gli intermediari finanziari dal Titolo V° del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.”
A norma dell’art. 10, comma 8, del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dal d. lgs. n. 218/2010, l'articolo 3, comma 3, della legge 30 aprile 1999, n. 130, continua ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni delle Autorità creditizie volte ad assicurare la continuità delle segnalazioni relative ai crediti cartolarizzati; le Autorità vi provvedono entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 141/2010. Ai soggetti cessionari di cui all'articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, l'articolo 3, comma 3, della medesima legge continua ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative indicate all'articolo 9, comma 3, del d. lgs. n. 141/2010.
L’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), in collegamento con la tabella 1, allegata al medesimo decreto, ha prorogato al 31 marzo 2011 il termine, già prorogato dall’art. 1, comma 14, del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, entro il quale – in caso di mancata entrata in vigore dei provvedimenti di cui all’art. 18-bis del d. lgs. n. 58/1998 (t.u.f.) – la riserva di attività di cui all'articolo 18 del d. lgs. n. 58/1998 non pregiudica la possibilità per i soggetti che, alla data del 31 ottobre 2007, prestavano la consulenza in materia di investimenti, di continuare a svolgere il servizio di cui all'articolo 1, comma 5, lettera f), del suddetto t.u.f. senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti (cfr. anche, sul punto, l’art. 23, comma 7, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, che ha modificato l’art. 19, comma 14, della legge 17 settembre 2007, n. 164).
Cfr. anche, sul punto, la Rassegna relativa al secondo semestre 2009, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con D.M. 5 ottobre 2010, n. 197 (in G.U. n. 277 del 26.11.2010) sono state approvate modifiche al regolamento attuativo dell’art. 37 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante norme per la determinazione dei criteri generali cui devono essere uniformati i fondi comuni di investimento.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 32 del suddetto decreto, in materia di adeguamento dei fondi comuni di investimento immobiliare che siano privi dei requisiti indicati nell’art. 1, comma 1, lett. j), del d. lgs. n. 58/1998 (t.u.f.), e di liquidazione del fondo comune di investimento nell’ipotesi in cui la società di gestione del risparmio non intenda adottare le delibere di adeguamento. In quest’ultimo caso si prevede che la delibera di liquidazione del fondo debba essere adottata entro trenta giorni dalla data di emanazione delle disposizioni attuative da dettarsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Si prevede ora che la liquidazione del fondo comune deve essere conclusa nel termine massimo di cinque anni. Inoltre, si prevede che gli atti di liquidazione del patrimonio immobiliare sono soggetti alle imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale. Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, alle cessioni di immobili effettuate nella fase di liquidazione di cui sopra si applica l’art. 17, comma 5, del d.p.r. n. 633/1972, salva la preventiva approvazione da parte del Consiglio dell’Unione europea; ai conferimenti in società di pluralità di immobili, effettuati nella fase di liquidazione, si applica l’art. 2, comma 3, lett. b), del d.p.r. n. 633/1972, e detti conferimenti si considerano compresi, agli effetti delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, fra gli atti previsti nell’art. 4, comma 1, lett. a), n. 3, della tariffa, parte I, allegata al d.p.r. n. 131/1986, nell’art. 10, comma 2, del d. lgs. n. 347/1990, e nell’art. 4 della tariffa ad esso allegata (quindi imposte fisse di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa).
A seguito della modifica dell’art. 35, comma 10-ter, del d.l. n. 223/2006, ad opera dell’art. 1, commi 15 e 16, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (in G.U. 21 dicembre 2010, n. 297), permane la riduzione alla metà delle imposte ipotecarie e catastali prevista da tale disposizione per gli atti di trasferimento immobiliare riguardanti i fondi immobiliari chiusi.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 (in G.U. n. 176 del 30.7.2010), di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 luglio 2010, ha modificato l’art. 3-bis del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, in relazione al capitale sociale delle società di riscossione dei tributi; ai sensi del nuovo comma 2-bis di detto articolo, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 (con il relativo obbligo di adeguamento dei minimi di capitale) non si applicano alle società a prevalente partecipazione pubblica.
A norma dell’art. 82, commi 25 e 26, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come modificato dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, le cooperative a mutualità prevalente di cui all'articolo 2512 del codice civile che presentano in bilancio un debito per finanziamento contratto con i soci superiore a 50 milioni di euro, sempre che tale debito sia superiore al patrimonio netto contabile, comprensivo dell'utile d'esercizio, così come risultante alla data di approvazione del bilancio d'esercizio (e in relazione agli utili evidenziati nei bilanci relativi all'esercizio in corso alla data di entrata in vigore del decreto e a quello successivo, quindi 2008 e 2009), destinano il 5 per cento dell'utile netto annuale al fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti di cui all’art. 81, commi 29 e 30, del suddetto decreto, secondo le modalità e i termini stabiliti con decreto non regolamentare emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro della giustizia. In attuazione di quanto sopra, con D.M. 5 agosto 2010 (in G.U. n. 260 del 6.11.2010), sono stati stabiliti modalità e termini per la destinazione al Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti del suddetto contributo del 5 per cento.
Con D.M. 23 giugno 2010 (in G.U. n. 197 del 24.8.2010) è stata aggiornata ed integrata la modulistica relativa ai verbali di revisione, di ispezione straordinaria e di vigilanza sulle Banche di credito cooperativo.
Con Deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas del 26 luglio 2010, n. ARG/elt 113/10 (pubblicata nel sito internet dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas in data 5 agosto 2010, a norma dell’art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69), è stata dettata la regolamentazione delle cooperative elettriche, di cui all’art. 4, n. 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, nell’ambito della liberalizzazione del settore elettrico, e sulla base quindi anche della legge n. 99/2009.
Il tutto anche per la necessità di conservare la specificità delle cooperative, riconosciuta da ultimo dal d. lgs. n. 79/1999, con particolare riferimento alla loro qualità di autoproduttori e alla loro natura mutualistica: a norma dell’art. 2, comma 2, di quest’ultimo provvedimento, autoproduttore è anche la cooperativa che produce energia elettrica per uso dei soci, trattandosi di società cooperativa di produzione e distribuzione dell'energia elettrica di cui all'articolo 4, numero 8, della legge n. 1643/1962. A norma dell’art. 9, comma 2, del d. lgs. n. 79/1999, le cooperative operanti alla data di entrata in vigore di tale decreto, continuano a svolgere, anche per la quota diversa dai propri soci, il servizio di distribuzione sulla base di concessioni rilasciate entro il 31 marzo 2001 dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e aventi scadenza il 31 dicembre 2030.
Ciò premesso, con la deliberazione in oggetto è approvato (art. 1) il Testo integrato delle disposizioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas per la regolamentazione delle cooperative elettriche (TICOOP), allegato sub “A” alla medesima deliberazione di cui forma parte integrante e sostanziale.
Con Deliberazione Consob in data 3 dicembre 2010, n. 17581 (in G.U. n. 290 del 13.12.2010), sono state approvate modifiche al Regolamento intermediari, adottato con deliberazione 29 ottobre 2007, n. 16190.
Con Deliberazione Consob in data 23 giugno 2010, n. 17389 (in G.U. n. 152 del 2.7.2010) sono state apportate modifiche al Regolamento n. 17221 del 12 marzo 2010, in materia di operazioni con parti correlate, nonché al Regolamento mercati n. 16191 del 29 ottobre 2007.
Con Deliberazione Consob 27 luglio 2010, n. 17439 (in G.U. n. 187 del 12.8.2010) sono stati definiti i termini e le modalità per l'iscrizione dei revisori e degli enti di revisione contabile di Paesi terzi, ai sensi dell'articolo 43, comma 9, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39.
Con D.M. 8 luglio 2010, n. 140 (in G.U. n. 200 del 27.8.2010), in vigore dal giorno 11 settembre 2010, sono state approvate modifiche al Regolamento recante norme per l'individuazione dei requisiti di onorabilità e di professionalità per l'iscrizione all'Albo unico dei promotori finanziari (regolamento adottato con d.m. 11 novembre 1998, n. 472, e modificato con d.m. 12 aprile 2000, n. 140). Il tutto in attuazione dell’art. 31, comma 4, del d. lgs. n. 58/1998, come sostituito dall’art. 14 della legge n. 262/2005, che demanda all'Organismo per la tenuta dell'albo dei promotori finanziari l'iscrizione al medesimo albo, previa verifica dei necessari requisiti, e svolge ogni altra attività necessaria per la tenuta dell'albo stesso.
Il D.Lgs. 5 ottobre 2010, n. 176 (in G.U. 253 del 28.10.2010), in vigore dal 12 novembre 2010, ha dettato disposizioni attuative del Regolamento (CE) n. 1060/2009, relativo alle agenzie di rating del credito, individuando nella Consob l’organo competente ai fini dell’applicazione delle disposizioni del suddetto regolamento, ed estendendo le sanzioni previste dall’art. 193 del d. lgs. n. 58/1998 (t.u.f.).
Con D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 (in G.U. n. 192 del 18.8.2010), in vigore dal 2 settembre 2010, sono state approvate modifiche al d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, recante il codice della proprietà industriale. Le modifiche, in conformità alla delega contenuta nell’art. 19 della legge 23 luglio 2009, n. 99, sono dirette a correggere gli errori materiali e i difetti di coordinamento presenti nel codice; armonizzare la normativa con la disciplina comunitaria e internazionale, in particolare con quella intervenuta successivamente all’emanazione del medesimo codice; introdurre strumenti di semplificazione e di riduzione degli adempimenti amministrativi; prevedere che, nel caso di invenzioni realizzate da ricercatori universitari o di altre strutture pubbliche di ricerca, l’università o l’amministrazione attui la procedura di brevettazione, acquisendo il relativo diritto sull’invenzione; riconoscere ai comuni la possibilità di ottenere il riconoscimento di un marchio e utilizzarlo per fini commerciali per identificare con elementi grafici distintivi il patrimonio culturale, storico, architettonico, ambientale del relativo territorio; lo sfruttamento del marchio a fini commerciali può essere esercitato direttamente dal comune anche attraverso lo svolgimento di attività di merchandising, vincolando in ogni caso la destinazione dei proventi ad esso connessi al finanziamento delle attività istituzionali o alla copertura dei disavanzi pregressi dell’ente.
Con D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (in G.U. n. 199 del 26.8.2010), in vigore dal 10 settembre 2010, è stato approvato il Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’art. 146, comma 9, del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Sono, in particolare, assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica gli interventi di lieve entità, da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela della parte III del Codice, sempre che comportino un'alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici, indicati nell'elenco di cui all'allegato I che forma parte integrante del regolamento.
Laddove l'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non coincida con quella competente in materia urbanistica ed edilizia, l'istanza è corredata dall'attestazione del comune territorialmente competente di conformità dell'intervento alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie o, in caso di intervento soggetto a dichiarazione di inizio attività, dalle asseverazioni di cui all’art. 23 del d.p.r. n. 380/2001 (art. 2, comma 1). Le ulteriori semplificazioni procedurali sono disciplinate dall’art. 4.
Il procedimento autorizzatorio semplificato si conclude con un provvedimento espresso entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della domanda (art. 3, comma 1). L'autorizzazione paesaggistica semplificata è immediatamente efficace ed è valida cinque anni (art. 4, comma 11).
Con D.M. 16 aprile 2010, n. 116 (in G.U. n. 172 del 26.7.2010), in vigore dal 27 luglio 2010, è stato approvato il Regolamento per lo svolgimento delle attività di trapianto di organi da donatore vivente.
Con D.M. 18 maggio 2010, n. 112 (in G.U. n. 167 del 20.7.2010), in vigore dal 18 settembre 2010, è stato approvato il Regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, di cui all'articolo 2, comma 629, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
In particolare, l’art. 5 prevede la realizzazione degli alloggi con possibilità di acquisto mediante riscatto. Gli articoli 6 e seguenti disciplinano le procedure per l’alienazione degli alloggi di servizio non più funzionali ai fini istituzionali delle Forze armate, ai sensi dell’art. 2, comma 628, lett. b), della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Da segnalare la previsione dell’art. 7, comma 18, a norma del quale “i contratti sono stipulati in forma pubblica, ricevuti dall'ufficiale rogante dell'Amministrazione della difesa, ovvero da professionista esterno abilitato e individuato dall'organismo di categoria nell'ambito di apposita convenzione con il Ministero della difesa, e approvati con decreto dirigenziale”. Cfr. inoltre la previsione dell’art. 8 (vendita con il sistema d’asta). Gli articoli 11 e seguenti disciplinano le procedure per l’assegnazione degli alloggi di servizio a riscatto.
L’art. 2, commi 7, 11 e 12 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (in G.U. n. 303 del 29.12.2010), ha dettato nuove disposizioni in materia di dismissione di immobili militari. In particolare:
1) - il comma 7 ha aggiunto, dopo il comma 196 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, i commi 196-bis e seguenti, ove si dispone che il termine per la conclusione delle operazioni di dismissione immobiliare di cui al comma 196 è fissato al 31 dicembre 2011, fermo restando quanto previsto dal comma 195, nonché dal comma 2 dell'articolo 314 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Nell'ambito di tale procedura è considerata urgente l'alienazione degli immobili militari oggetto di valorizzazione di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 3 del protocollo d'intesa sottoscritto in data 4 giugno 2010 tra il Ministero della difesa e il Comune di Roma, assicurando in ogni caso la congruità del valore degli stessi con le finalizzazioni ivi previste, ai sensi dell'articolo 2, comma 191, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. A tale fine i predetti immobili sono alienati in tutto o in parte dall'Agenzia del demanio con le procedure di cui all'articolo 1, comma 436, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e secondo criteri e valori di mercato. Non trovano applicazione alle alienazioni di cui al presente comma le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 437, della citata legge n. 311 del 2004;
2) – il comma 11 modifica l'articolo 314 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, sostituendo il relativo comma 4: il Ministero della difesa individua, attraverso procedura competitiva, la società di gestione del risparmio (SGR) per il funzionamento dei fondi e le cessioni delle relative quote, fermo restando che gli immobili conferiti che sono ancora in uso al Ministero della difesa possono continuare a essere da esso utilizzati a titolo gratuito fino alla riallocazione delle funzioni, da realizzare sulla base del crono-programma stabilito con il decreto di conferimento degli immobili al fondo. Nel caso in cui le procedure suddette non siano avviate entro 12 mesi, dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, si procede secondo quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 3 e 4 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.
Cfr., per la disciplina dettata dalla legge n. 191/2009, e dal d. lgs. n. 66/2010, le Rassegne relative al secondo semestre 2009, ed al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 (in G.U. n. 258 del 4.11.2010), in vigore dal 5 novembre 2010, è stato approvato il Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. a), ai fini della dimostrazione della capacità finanziaria, il richiedente deve possedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata.
Di particolare rilievo la previsione dell’art. 9, comma 2, a norma del quale “a seguito dell'iscrizione, l'organismo e il mediatore designato non possono, se non per giustificato motivo, rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
Ai sensi dell’art. 20, comma 1, “si considerano iscritti di diritto al registro gli organismi già iscritti nel registro previsto dal decreto del Ministro della Giustizia 23 luglio 2004, n. 222”.
Ciascun organismo è tenuto a istituire un registro, anche informatico, degli affari di mediazione, con le annotazioni relative al numero d'ordine progressivo, i dati identificativi delle parti, l'oggetto della mediazione, il mediatore designato, la durata del procedimento e il relativo esito. A norma dell'articolo 2961, primo comma, del codice civile, è fatto obbligo all'organismo di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione (art. 12).
Sul d. lgs. n. 28/2010, cfr. la Rassegna
relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/,
ed inoltre AA.VV., La nuova disciplina della
mediazione delle controversie civili e commerciali. Commentario al d. lgs. 3
marzo 2010, n. 28, a cura di Bandini e Soldati, Milano, 2010; LOMBARDINI, Il
nuovo assetto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali alla luce del d. legisl. n. 28/1010, in Studium
iuris, 2010, p. 1132 e 1259; TISCINI, Vantaggi e svantaggi della nuova
mediazione finalizzata alla conciliazione: accordo e sentenza a confronto,
in Giust. civ., 2010, II, p. 489; BRUNELLI, Il notariato nel nuovo
sistema mediazione - conciliazione, in Notariato, 2010, p. 570;
BRUNELLI, La mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie
civili e commerciali, in FederNotizie, 2010, 3, p. 109; VIGORITI, Mito
e realtà: processo e mediazione, in Nuova giur. civ., 2010, II, p.
429; FABIANI, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, in
Società, 2010, p. 1142; FABIANI-LEO, Prime riflessioni sulla
"mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali" di cui al d.lgs. n. 28/2010, in Riv. not., 2010,
p. 893; FABIANI-LEO, Il nuovo procedimento di mediazione di cui al decreto
legislativo 4 marzo 2010 n. 28: nota a prima lettura, in Studi e
materiali, 2010, 2, p. 399; COLNAGHI, Mediazione e conciliazione, in
FederNotizie, 2010, 4, p. 153.
A norma dell’art. 2, comma 1-sexies, del D.L. 5 agosto 2010, n. 125 (in G.U. n. 182 del 6.8.2010), convertito con modificazioni in legge 1 ottobre 2010, n. 163 (in G.U. n. 233 del 5.10.2010), ogni controversia relativa all'applicazione della disciplina dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (silenzio assenso) è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il Decreto Direttoriale 19 maggio 2010 (in G.U. n. 161 del 13.7.2010) ha approvato – mediante modifica del regolamento in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici, di cui al d.m. 22 gennaio 2008, n. 37 – i nuovi modelli di dichiarazioni di conformità degli impianti alle regole dell’arte.
L’art. 3, comma 2, del D.L. 12 novembre 2010, n. 187 (in G.U. n. 265 del 12.11.2010), in vigore dal 13 novembre 2010, ha dettato alcune disposizioni in materia di beni confiscati, modificando le previsioni del D.L. 4 febbraio 2010, n. 4, convertito in legge 31 marzo 2010, n. 50. In particolare:
- l’Agenzia per l’amministrazione dei beni confiscati richiede all'autorità di vigilanza di cui all'articolo 1, comma 2, l'autorizzazione ad utilizzare i beni immobili di cui all’art. 2-undecies, comma 2, lett. a-bis), della legge 31 maggio 1965, n. 575, per le finalità ivi indicate (nuovo art. 3, comma 4, lett. c-bis);
- la medesima Agenzia può, altresì, disporre, con delibera del Consiglio direttivo, l'estromissione di singoli beni immobili dall'azienda non in liquidazione e il loro trasferimento al patrimonio degli enti territoriali che ne facciano richiesta, qualora si tratti di beni che gli enti territoriali medesimi già utilizzano a qualsiasi titolo per finalità istituzionali. La delibera del Consiglio direttivo è adottata fatti salvi i diritti dei creditori dell'azienda confiscata (nuovo art. 7, comma 3-quater).
Sulla disciplina del d.l. n. 4/2010, cfr. la Rassegna relativa al primo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con D.M. 21 giugno 2010, n. 132 (in G.U. n. 192 del 18.8.2010), in vigore dal 2 settembre 2010, è stato approvato il Regolamento recante norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa, ai sensi dell’art. 2, comma 475, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Destinatari degli interventi di cui al suddetto regolamento sono i soggetti i quali alla data di presentazione della domanda di cui all’art. 4 sono titolari di un mutuo contratto per l'acquisto di un'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, sita nel territorio nazionale (art. 1).
A norma dell’art. 2, per accedere alle agevolazioni i beneficiari devono essere in possesso, alla data di presentazione della domanda, dei seguenti requisiti soggettivi:
a) titolo di proprietà sull'immobile oggetto del contratto di mutuo;
b) titolarità di un mutuo di importo erogato non superiore a 250 mila euro, in ammortamento da almeno un anno;
c) indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 30 mila euro.
Sul piano oggettivo, l'immobile non deve rientrare nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, non deve avere le caratteristiche di lusso indicate nel decreto del Ministero dei lavori pubblici in data 2 agosto 1969 e deve costituire l'abitazione principale del beneficiario alla data di presentazione della domanda.
Quanto ai presupposti, l'ammissione al beneficio è subordinata all'accadimento di almeno uno dei seguenti eventi, successivi alla data di stipula del contratto di mutuo e tali da determinare la temporanea impossibilità del beneficiario a provvedere al pagamento delle rate alla loro scadenza naturale:
a) perdita del posto di lavoro dipendente a tempo indeterminato o termine del contratto di lavoro parasubordinato o assimilato, con assenza non inferiore a tre mesi di un nuovo rapporto di lavoro;
b) morte o insorgenza di condizioni di non autosufficienza di uno dei componenti il nucleo familiare, nel caso in cui questi sia percettore di reddito per almeno il 30 per cento del reddito imponibile complessivo del nucleo familiare domiciliato nell'abitazione del beneficiario;
c) pagamento di spese mediche o di assistenza domiciliare documentate per un importo non inferiore a 5 mila euro annui;
d) spese di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione o di adeguamento funzionale dell'immobile oggetto del mutuo, sostenute per opere necessarie e indifferibili per un importo, direttamente gravante sul nucleo familiare domiciliato nell'abitazione del beneficiario, non inferiore a 5 mila euro;
e) aumento della rata del mutuo, regolato a tasso variabile, rispetto alla scadenza immediatamente precedente, direttamente derivante dalle fluttuazioni dei tassi di interesse, di almeno il 25 per cento in caso di rate semestrali e di almeno il 20 per cento in caso di rate mensili.
L’art. 3 dispone che, a fronte della sospensione del pagamento delle rate di mutuo, sono rimborsati dal Fondo alle banche:
a) i costi sostenuti dal beneficiario per eventuali onorari notarili anticipati dalla banca;
b) gli oneri finanziari pari alla quota interessi delle rate per le quali ha effetto la sospensione del pagamento da parte del mutuatario, corrispondente esclusivamente al parametro di riferimento del tasso di interesse applicato ai mutui e, pertanto, al netto della componente di maggiorazione (spread) sommata a tale parametro.
Nel caso in cui risulti che la concessione delle agevolazioni è stata determinata da dichiarazioni mendaci o false attestazioni anche documentali effettuate dal beneficiario o da altro soggetto competente a rilasciare la documentazione di cui all’art. 4, comma 2, il Gestore, previa contestazione dell'addebito nelle forme di legge, provvede alla revoca delle agevolazioni medesime e trasmette i relativi atti all'Autorità giudiziaria. La revoca dell'agevolazione comporta per il beneficiario l'obbligo di rimborsare al Fondo, entro i termini fissati dal provvedimento di revoca, la somma corrisposta alla banca, rivalutata secondo gli indici ufficiali ISTAT di inflazione in rapporto ai «prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati», oltre agli interessi corrispettivi al tasso legale.
Sulla disciplina della sospensione del pagamento delle rate di mutuo, cfr. la Rassegna relativa al secondo semestre 2007, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Con Determinazione in data 28 luglio 2010, n. 69/2010, del Centro nazionale per l'informatica nella Pubblica Amministrazione (DigitPA) (in G.U. n. 191 del 17.8.2010) è stata modificata la precedente Deliberazione in data 21 maggio 2009, n. 45, del medesimo Centro nazionale per l'informatica nella Pubblica Amministrazione, recante «Regole per il riconoscimento e la verifica del documento informatico».
Con Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate in data 25 ottobre 2010 (pubblicato sul sito internet dell'Agenzia delle entrate il 27 ottobre 2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono state dettate disposizioni attuative ai fini della comunicazione dell’impronta relativa ai documenti informatici rilevanti ai fini tributari, ai sensi dell’art. 5 del d.m. 23 gennaio 2004. Il soggetto interessato, il responsabile della conservazione ovvero il soggetto eventualmente delegato da quest’ultimo in base all’art. 5, comma 2, della deliberazione del Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA), del 19 febbraio 2004, n. 11, comunicano per via telematica all’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’art. 5 del d.m. 23 gennaio 2004, concernente le modalità di assolvimento degli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici e alla loro riproduzione in diversi tipi di supporto, entro il quarto mese successivo alla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’impronta dell’archivio informatico - sul quale è stata apposta la firma digitale e la marca temporale - dei documenti rilevanti ai fini tributari oggetto della conservazione, nonché la marca temporale (art. 1). La comunicazione all’Agenzia delle entrate dell’impronta dell’archivio informatico dei documenti rilevanti ai fini tributari oggetto della conservazione estende la validità dei documenti medesimi fino a che permane a fini tributari l’obbligo di conservazione dei documenti stessi (art. 3). Entro il termine previsto per l’invio dell’impronta dell’archivio informatico relativa al periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2010, devono essere inviate, distinte per periodo di imposta, le impronte degli archivi informatici dei documenti rilevanti ai fini tributari e degli ulteriori dati e notizie oggetto della conservazione, riguardanti i periodi d’imposta antecedenti a quello in corso al 1° gennaio 2010 (art. 7).
Con Provvedimento dell’Agenzia del Territorio in data 13 ottobre 2010 (pubblicato sul sito internet dell’Agenzia del Territorio il 13.10.2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), è stato esteso servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale – quale previsto dall’art. 1, comma 374, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 – a tutte le tipologie di atti di aggiornamento geometrico (Pregeo), di cui all’art. 8 della legge 1 ottobre 1969, n. 679, ed agli artt. 5 e 7 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 650, redatti da professionisti iscritti agli albi professionali.
Con Provvedimento dell’Agenzia del Territorio in data 26 ottobre 2010 (pubblicato sul sito internet dell’Agenzia del territorio in data 26.10.2010, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2010, n. 244), è stata prevista la sottoscrizione con firma digitale dei modelli unici informatici catastali trasmessi per via telematica da parte dei professionisti abilitati alla presentazione telematica dei documenti di aggiornamento catastale.
Con D.M. 2 settembre 2010, n. 169 (in G.U. n. 242 del 15.10.2010) è stato approvato il regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Il D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 212 (in G.U. n. 292 del 15.12.2010), ha disposto l’abrogazione, a decorrere dal 16 dicembre 2010, delle disposizioni legislative elencate nell'allegato al medesimo decreto, ai sensi dell'articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246.
Nel contempo, il D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 213 (in G.U. n. 292 del 15.12.2010), in vigore dal 16 dicembre 2010, ha dettato modifiche ed integrazioni al d. lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, recante disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore.
Con legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2010, n. 15 (in Suppl. ord. n. 19 del 13.8.2010 al B.U. n. 32 dell’11.8.2010) è stato approvato il Testo unico delle norme regionali in materia di impianto e di tenuta del libro fondiario.
Con D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 (in G.U. n. 186 dell’11.8.2010), in vigore dal 26 agosto 2010, sono state approvate Modifiche ed integrazioni al d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’art. 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Con Decisione del Consiglio dell’Unione europea in data 15 ottobre 2010, n. 2010/688/UE (in G.U.U.E. n. L294 del 12.11.2010), l'Italia è stata autorizzata ad esonerare dall'IVA i soggetti passivi il cui volume d'affari annuo non supera i 30.000 euro, e ad aumentare tale soglia al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali. La decisione si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011 fino alla data di entrata in vigore di una direttiva che modifichi gli importi dei massimali del volume d'affari annuo al di sotto dei quali i soggetti passivi possono beneficiare di un'esenzione dall'IVA o fino al 31 dicembre 2013, se questa data è anteriore.
Con Decisione del Consiglio dell’Unione europea in data 29 novembre 2010, n. 2010/748/UE (in G.U.U.E. n. L318 del 4.12.2010), è stata prevista la possibilità di richiedere la proroga, entro il 1° aprile 2013, delle misure di deroga alla percentuale di restrizione applicata al diritto a detrazione dell'IVA sulle spese relative ai veicoli stradali a motore non interamente utilizzati a fini professionali; precisandosi che la decisione scade alla data di entrata in vigore delle norme dell'Unione che stabiliscono quali spese relative ai veicoli stradali a motore non possono beneficiare della detrazione totale dell'IVA, e comunque al più tardi il 31 dicembre 2013, e che la medesima decisione si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011.
Con Direttiva 7 dicembre 2010, n. 2010/88/UE del Consiglio (in G.U.U.E. n. L326 del 10.12.2010) è stata modificata la Direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in relazione alla durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima, disponendosi (all’art. 1) che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2015 l'aliquota normale non può essere inferiore al 15%. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° gennaio 2011.
Con Direttiva 13 luglio 2010, n. 2010/45/UE del Consiglio (in G.U.U.E. n. L189 del 22.7.2010), è stata modificata la Direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione. Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 31 dicembre 2012, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva (art. 2).
Con Direttiva 1 luglio 2010, n. 2010/43/UE della Commissione (in G.U.U.E. n. L176 del 10.7.2010), in vigore dal 30 luglio 2010, sono state disciplinate le modalità di esecuzione della Direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda i requisiti organizzativi, i conflitti di interesse, le regole di condotta, la gestione del rischio e il contenuto dell'accordo tra il depositario e la società di gestione. A norma dell’art. 46, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 30 giugno 2011.
Con Direttiva 7 luglio 2010, n. 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (in G.U.U.E. n. L180 del 15.7.2010), in vigore dal 4 agosto 2010, sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma (con conseguente abrogazione della Direttiva 86/613/CEE, con effetto dal 5 agosto 2012).
Da segnalare, tra le altre previsioni, il disposto dell’art. 6, a norma del quale, “Fatte salve le specifiche condizioni di accesso a talune attività che si applicano ad entrambi i sessi in modo eguale, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le condizioni per la costituzione di una società tra coniugi, o tra conviventi se e nella misura in cui siano riconosciuti dal diritto nazionale, non siano più restrittive di quelle per la costituzione di una società tra altre persone”.
Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 5 agosto 2012 (art. 16).
Cfr. l’elenco delle disposizioni normative regionali maggiormente rilevanti, per quanto riguarda le materie attinenti o comunque collegate al diritto privato ed ai settori di interesse notarile, segnalate in PETRELLI, Novità normative regionali – secondo semestre 2010, in http://www.gaetanopetrelli.it/.
Gaetano Petrelli